Motociclisti: troppe bandiere per chi vuole essere libero

Motociclisti: troppe bandiere per chi vuole essere libero

Il mondo del motociclismo si presta a suddivisioni, campanilismi e categorizzazioni. Le Case hanno fiutato l'opportunità e cercano sempre più di sfruttare la situazione, sta a noi tenere sotto controllo il confine di quello che è uno spazio nostro

Nicolò Bertaccini

31.08.2021 ( Aggiornata il 31.08.2021 09:59 )

Quello dei motociclisti è un microcosmo chiaramente identificato: i suoi confini sono facilmente identificabili, come la maggior parte dei gruppi sociali riconducibili ad una passione. 

Le categorie sono uno degli strumenti preferiti del nostro cervello. Il nostro organo cognitivo è uno strumento altamento complesso che si deve interfacciare con una realtà altrettanto complessa, ecco perché ama usare scorciatoie e tende a semplificare il più possibile la realtà, anche a costo di deformarla eccessivamente. Per il nostro cervello non è importante che una semplificazione possa indurre un errore (come ad esempio gli stereotipi), per lui è importante che funzioni, che sia un filtro fra la realtà ed il percepito. Ecco perché si dice spesso che “il percepito è più vero del reale”, perché la nostra realtà è quella che coglie il nostro organo principale del sistema nervoso.

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DA MOTOCLUB A OFFICIAL OWNER

Uno degli assiomi sulle passioni è che se condivise si accrescono. A quanti è capitato di essere a cena con colleghi, genitori dei compagni di classe dei figli e scoprire che il nostro vicino è un appassionato di moto? E' stata una bella scoperta, ha sicuramente risolto la serata. 

Però, anche fra i motociclisti esistono diverse categorie, siamo parte di questo gioco alla semplificazione. In alcuni casi che si sovrappongono e si intrecciano. Esistono suddivisioni per marca: Harleysti, Ducatisti, BMWisti, Guzzisti e via dicendo. Alcune di queste ripartizioni possono avere anche delle ulteriori suddivisioni. La più eclatante sono i Giessisti che sono una sottocategoria dei Bmwisti, così numerosi ed omogenei da mettere quasi in ombra la suddivisione “madre”. Succede una cosa simile anche con i possessori di Africa Twin che spesso si organizzano in club senza abbracciare per forza gli Hondisti.

Le case motociclistiche hanno cavalcato la nascita dei club, spingendo fortemente alla loro conversione in Owner Club, HOG, DOC, Motorrad Club. Quelli che erano nati come gruppi di appassionati si sono pian piano evoluti e trasformati. In molti casi il club è nato con una passione comune, un marchio di moto, e si è evoluto fino ad essere istituzioni considerate, ascoltate e coccolate dalle case madri. L'importante è che tutto sia sempre e comunque official.  I grandi costruttori hanno allungato i loro tentacoli su questi gruppi eterogenei, cercando di sfruttarne il potenziale. Si creano legami, amicizie, consuetudini che poi veicolano anche le nostre scelte d'acquisto. Quando tutti i fine settimana esci con i tuoi compagni di marchio, ci chiacchieri a tavola, fai le vacanze sulle Alpi e la cena a Natale poi è difficile pensare di ricominciare tutto per cambiare marchio. Le Case ne hanno intuito il potenziale e si stanno attrezzando per supportare le iniziative, coinvolgendo anche concessionari e officine. Fanno leva sul senso di appartenenza, un aspetto che consegue la categorizzazione. Il senso di appartenenza ad una categoria è un aspetto fondamentale. Da far parte di qualcosa a sentirsi parte di qualcosa, ecco il passo che fa la differenza. In alcuni casi vediamo anche che questa evoluzione prende derive al limite dell'intolleranza e questo dobbiamo tutti fare in modo che non accada, non dobbiamo permettere che fra di noi motociclisti possano esserci divisioni che superano la goliardia. 

Magari fra qualche anno questa strutturazione “farà il giro”, come si dice dalle mie parti, e ricominceremo ad organizzarci in motoclub eterogenei, oppure continueremo imperterriti a sovrapporre patch su patch rinnovando la nostra adesione annuale.

RIBELLIONE E LIBERTA'

Siamo però motociclisti, gente favolosa e quindi riusciamo ad essere in parte estranei a queste dinamiche che sanno più di marketing che di benzina. Tutti noi abbiamo chat carbonare dedicate all'uso che amiamo fare della moto: ci sono mille varianti “quelli della polvere”, “amici del fango”, “piegaioli”, ecc. ecc. Per quanto ci sentiamo seriamente vestiti dei colori del brand della nostra moto coviamo sempre uno spirito ribelle. Conosco Ducatisti che colorano di rosso anche la loro bicicletta e che si divertono in cava con un KTM, Harleysti che collezionano gillet e patch evocative che poi amano consumare cordoli e saponette su Suzuki iper preparate. Lasciamo che le case motociclistiche si impossessino di alcuni dei nostri riti, di alcune delle nostre abitudini, che richiedano un certo comportamento, che ci suggeriscano gli hashtag da usare e ci chiedano partecipazione agli eventi, però non ci facciamo comprare l'anima per uno sconto sul tagliando, un ingresso EICMA nelle giornate dedicate agli addetti ai lavori o un paio di gadget griffati. 

Non siamo i tipi che vendono l'anima al diavolo, ci sentiamo sempre un passo avanti, più furbi e forse è vero quello che una volta ha scritto un amico motociclista: “Ha detto il diavolo che per quelli come noi non c'è posto all'inferno perché lui problemi non ne vuole”.

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