Tanti modelli che hanno segnato decenni e generazioni, stabilendo ogni volta nuovi parametri a cui aspirare. Ecco, secondo noi, quali sono stati i più significativi degli ultimi 50 anni

Moto che hanno fatto storia: quando osare diventa leggenda

<p>Di moto che hanno <strong>segnato la storia</strong> ce ne sono tante. Ogni motociclista, poi, è legato a un modello in particolare che scatena ricordi ed emozioni. Ma parlando oggettivamente, da dove cominciare? Senza dubbio dalla <strong>Honda CB750</strong> del 1969, da molti definita la prima moto sportiva (e non solo) dell'era moderna. Senza di lei non ci sarebbero stati tanti altri esemplari di successo, per i quali gli appassionati nutrono una profonda devozione. Ecco quali abbiamo scelto.</p>

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<h2>Honda CB750</h2>

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<p>Aprire con la <strong>Honda CB750</strong> è obbligatorio. Da molti considerata un vero e proprio <strong>mito delle due ruote</strong> e anche la <strong>prima moto moderna</strong>, la CB750 viene prodotta dal <strong>1969</strong> su richiesta dell’importatore americano del marchio. Per gli Usa ci voleva una moto dotata di motore abbastanza grande e soluzione tecniche al passo coi tempi, per battere la concorrenza che in quegli anni era soprattutto europea. Nasce così la Honda CB750 Four, spinta da un quattro cilindri - progettato per essere robusto e affidabile - da 68 CV, un freno a disco anteriore e accensione a pulsante. Ma soprattutto il suo prezzo era quasi la metà delle concorrenza e ciò ha contribuito al suo grandissimo successo.</p>

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<h2>Kawasaki Z1 900</h2>

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<p>Quando è arrivata, nel <strong>1972</strong>, <strong>solo Kawasaki poteva osare sfidare se stessa</strong>: dopo le indimenticabili 500 Mach III e le furiose 750 Mach IV, arrivò una<strong> regina autoritaria</strong> chiamata <strong>Z1 900</strong>. Già dalla prima serie, sui fianchetti laterali, era riportato tutto quello che c’era da sapere. Sotto la scritta 900, che dichiarava la cilindrata più alta mai raggiunta per le moderne maxi moto a quattro cilindri, c’era scritto “Double Overhead Camshaft”: Doppio Albero a Camme in Testa. La moto venne presentata nel 1972, in occasione del Salone di Colonia, e conquistò in un sol colpo pubblico e critica. Il motore, esteticamente splendido, vantava una potenza di 82 CV a 8.500 giri/min, disponeva di un cambio a 5 rapporti e aveva una velocità di punta di quasi 213 Km/h. L’accelerazione era ottima, inoltre la moto era maneggevole nonostante dichiarasse un peso a secco di 230 kg e, contrariamente alle precedenti 2T, disponeva di una discreta tenuta di strada. La prima serie ha ormai da tempo raggiunto uno status di Cult, ed è comunemente detta "Testanera", per via della verniciatura in nero del gruppo termico e dei carter centrali.</p>

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<h2>Ducati 750 SuperSport </h2>

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<p>Fino agli ’60 Ducati era conosciuta soprattutto per le sue moto di piccola cilindrata, prestigio accresciuto gli anni successivi grazie ai suoi motori desmodromici sportivi. Nel <strong>1972</strong>, dopo la vittoria nella 200 Miglia di Imola di Paul Smart in sella alla 750 Sport Competizione con distribuzione desmodromica, l’azienda italiana decide di produrre l’anno successivo una <strong>replica stradale</strong>, la <strong>750 SuperSport</strong>, che al momento della sua uscita era considerata <strong>la moto più rara e ricercata in vendita</strong> grazie alle sue prestazioni e ai freni, alla componentistica da corsa e al motore, elaborato da Ducati. A proposito del motore, derivava dalla GT 750 e fu l'unico motore carter tondi a montare testate desmodromiche.</p>

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<h2>Honda GL1000 Gold Wing</h2>

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<p>Grazie alla <strong>Honda GL1000 Gold Wing</strong>, nel <strong>1975</strong>, adesso abbiamo i moderni <strong>tourer</strong> che tanto ci piacciono. Una moto che al debutto lasciò tutti a bocca aperta, nonostante fosse nell’aria il progetto Honda di affiancare una maxi granturismo alla CB750. A ciò si aggiunge che la GL1000 nasceva soprattutto per il mercato americano (dove la parola d’ordine era viaggiare comodi in autostrada). Oltre a puntare a questa fetta di mercato, l’azienda giapponese ristabilisce il proprio dominio nel settore delle maximoto (intaccato dalla Kawasaki Z1 900). Un motore da 1000 cc, quattro cilindri boxer: si tratta della prima Honda in commercio a toccare questi numeri e anche la prima, a essere prodotta in serie, a 4 tempi dotata di raffreddamento ad acqua e impianto frenante del tutto a disco. Tante soluzioni adottate per la GL 1000 Gold Wing sono di stampo automobilistico.</p>

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<h2>Yamaha RD350LC</h2>

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<p>Dici<strong> Yamaha RD350LC</strong> e, a più di una generazione, tornano alla mente gli anni ’80. Moto piccola, linee sicure, carattere sportivo. Spinta da un bicilindrico frontemarcia da 47 CV di potenza a 8.500 giri e peso 157 kg (a secco). Una delle novità più importanti di questo modello sta nella sigla LC, ovvero Liquid Cooled: viene adottato il <strong>sistema di raffreddamento a liquido</strong> che porta a un rendimento più uniforme e a un migliore controllo della carburazione se paragonato al modello ad aria.</p>

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<h2>BMW R80G/S</h2>

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<p>Nessuno, alla fine degli anni ’70, poteva immaginare cosa sarebbe diventato BMW Motorrad. Il marchio tedesco ha l’intuizione per fare il grande salto con una moto nuova, entusiasmante e facile da produrre, che potesse attrarre particolarmente il mercato statunitense. Nasce così la<strong> BMW R80G/S</strong>, nel <strong>1980</strong>, una <strong>viaggiatrice inarrestabile</strong> che monta un motore da 800 cc.</p>

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<h2>Kawasaki GPz900R</h2>

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<p>Sportiva dalle linee spigolose, la <strong>Kawasaki GPz900R</strong> debutta nel <strong>1983</strong> ed è alimentata a carburatori, ha buone doti di accelerazione e i suoi 115 CV la spingono fino a 245 Km/h, nonostante il peso di 239 kg. Il telaio è a diamante e sfrutta il motore come parte portante, tre freni a disco con pinze a pistoncino singolo, ruota anteriore da 16”, posteriore da 18”. Alla sua uscita il costo era di 9.698.000 Lire f.f.</p>

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<h2>Suzuki GSX-R750</h2>

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<p>Si tratta della prima moto giapponese prodotta in serie, derivata quasi interamente dalle corse. Senza la <strong>Suzuki GSX-750</strong> lanciata nel <strong>1985</strong>, le attuali sportive sarebbero decisamente diverse: niente leggerezza, niente telaio in alluminio, niente compattezza e proporzione. La trovata di Suzuki sta tutta nel concetto di base: capire i vantaggi che sarebbero derivati dalla guida se avessero preso in prestito l’esperienza di guida in pista. Come modello è stata utilizzata la Suzuki XR69 GS1000. Oltre al telaio in alluminio, quindi, arriva anche il motore 4 cilindri raffreddato a olio. Così facendo, la Suzuki GSX-750 diventa la sportiva più radicale mai costruita per l’epoca.</p>

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<h2>Ducati 851</h2>

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<p>Fu l’ingegner Massimo Bordi, a metà degli anni ‘80, a volerla fortemente. Spiegò ai vertici <strong>Ducati</strong> (a quel tempo, i Castiglioni)  che serviva un modello rivoluzionario e li convinse a sposare il suo progetto. Con l’aiuto di Luigi Mengoli, costruì un motore innovativo: di base era il classico propulsore a due cilindri ad aria (quello della precedente F1) ma questo, pur mantenendo la fisionomia conosciuta, era equipaggiato con alcune importanti novità. Tra le altre, il raffreddamento ad acqua, l’alimentazione a iniezione elettronica e le nuove teste bialbero a quattro valvole. Inedito il nuovo schema della distribuzione desmodromica bialbero, che oggi è un grande “classico” della Casa di Borgo Panigale. Il <strong>motore bicilindrico a quattro tempi da 851 cc</strong>, dotato di cambio a 6 marce e frizione multidisco a secco, era fissato su un telaio a traliccio e sprigionava (nelle prime versioni) una potenza di 102 cv a 9000 giri/min. Sui cerchi da 16” era montato un impianto frenante a doppio disco anteriore da 280 mm e a disco posteriore da 245 mm. La ciclistica era completata da una forcella Marzocchi M1-R a steli non rovesciati e da un monoammortizzatore Marzocchi sul posteriore. Il peso a secco era di 185 kg.</p>

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<h2>Honda CBR900RR Fireblade</h2>

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<p>Con questa moto, <strong>Honda si rimette in gioco tra le Supersportive</strong>. La silhouette è da 750 e la potenza prossima a quella di una 1000. Buone maneggevolezza, erogazione ed abitabilità. Il quadricilindrico alimentato a carburatori erogava 124 CV, velocità massima di oltre 260 Km/h, ruota anteriore da 16” e posteriore da 17”, telaio a doppia trave in alluminio e un peso a secco di 195 Kg. Costava 17.600.000 Lire f.c.</p>

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<h2>Ducati 916</h2>

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<p>Una "nuova rivoluzione" debutta nel 1994. La <strong>Ducati 916</strong> piazza un "macigno" di paragone per tutte le sportive in divenire. Dotata di un design esclusivo e raffinatissimo, ulteriormente qualificata nelle finiture, nel motore e nella trasmissione, rappresentava davvero un grande salto in avanti rispetto alla concorrenza. Dotata del bicilindrico a V di 90° derivato dalla unità della serie 851/888, ma qui con misure di alesaggio e corsa 94 x 66 mm per una cilindrata di 916 cm3 e dalla potenza massima di 114 CV a 9000 giri/min. Il peso a secco si attestava sui 195 kg. Il prezzo nel 1994 per la versione biposto era di Lire 23.950.000 f.f.</p>

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<h2>Yamaha YZF-R1</h2>

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<p>Ai saloni autunnali del <strong>1997</strong>, <strong>Yamaha</strong> presentò al mondo la <strong>YZF-R1</strong> e <strong>molte cose, nel mondo delle sportive ad alte prestazioni, cambiarono</strong>. La creazione dell'ing. Miwa era quanto di più aggressivo il mercato avesse mai visto fino a quel momento: moto compattissima, carenatura dalle linee tese ed aggressive, e tante soluzioni inedite con dati tecnici dichiarati da bava alla bocca: 177 Kg (196 in ordine di marcia), 150 CV, 1395 mm di interasse. Erano  i numeri della prima R1. I numeri di quello che, ben presto, divenne il metro di paragone di tutte le moto sportive in quel periodo. Man mano che i primi esemplari venivano consegnati ai clienti, crescevano le voci, i miti, su questa moto: difficile da controllare, pronta a impennare e scodare, moto non per tutti. Ed in parte era proprio così. Molti furono i casi di appassionati che la rivendettero dopo appena una settimana dall’acquisto. Protagonista il motore esuberante in termini di coppia fin dai regimi più bassi, di un peso inferiore alla media e di un interasse da record, inferiore a molte 600 dell'epoca. L’interasse ridotto, e sospensioni non troppo sostenute, rendevano però la R1 nervosa come poche.</p>

<p>Tanti modelli che hanno segnato decenni e generazioni, stabilendo ogni volta nuovi parametri a cui aspirare. Ecco, secondo noi, quali sono stati i più significativi degli ultimi 50 anni</p>
