Laverda 750 S Formula: un vero peccato!

Laverda 750 S Formula: un vero peccato!

Le premesse per affermarsi tra le sportive del suo tempo c’erano tutte, eppure la storia è andata diversamente: analisi di un insuccesso

08.10.2020 ( Aggiornata il 08.10.2020 11:43 )

Componentistica di alto livello. Impostazione da purosangue racing. Il fascino di un blasone che ancora oggi fa battere forte il cuore. Alla Laverda 750 S Formula non mancava davvero nulla per sfondare. Una freccia di Cupido puntata dritta al cuore degli appassionati di carenate made in Italy; e un’altra, avvelenata, pronta a colpire la rivale Ducati 748. Eppure, le cose sono andate diversamente.

ANALISI DEL MODELLO

Era il 1998 quando la 750 S Formula si mostrava per la prima volta al grande pubblico: telaio a doppio trave in lega di alluminio lucidato, sospensioni Paioli pluriregolabili, freni Brembo, terminali di scarico Termignoni rivestiti in carbonio, cerchi Marchesini, pedane regolabili; un concentrato di pura raffinatezza motociclistica, spinto da un bicilindrico frontemarcia ad iniezione elettronica a 8 valvole, accreditato di oltre 92 cavalli. La decina di cavalli in più rispetto alla 750 Sport da cui derivava erano stati ottenuti grazie ad un accurato lavoro di affinamento, che riguardava le termiche, il profilo delle camme, la forma dei condotti e l’adozione di valvole maggiorate. Oltre, naturalmente, ad una nuova mappatura della centralina. Interventi che avevano cambiato radicalmente il comportamento del propulsore, divenuto del tutto simile a quello dei motori da corsa: erogazione appuntita e netta propensione a girare alto.

Il look della moto era da togliere il fiato; e i dettagli, davvero curatissimi. Ma a stupire, era soprattutto la compattezza quasi da 250. Tra le particolarità della Formula spiccava il posizionamento del serbatoio benzina (quello vero) sotto la sella, con il bocchettone di rifornimento nascosto dal coperchio a chiave del codino monoposto. Soluzione comune alle Laverda di quel periodo, e adottata per abbassare il baricentro della moto, a tutto vantaggio della guidabilità.
Il punto di forza, però, era soprattutto la ciclistica, che come detto, puntava su componenti di altissima qualità. Precisa e stabile sul veloce, precisa e veloce nell’inserimento in curva. La frenata era eccezionale. Anche se, probabilmente, al retrotreno ci sarebbe stato meglio uno pneumatico da 180/55 anziché 160/60. Sebbene, infatti, quest’ultimo le donasse elevata maneggevolezza e rapidità, l’erogazione brusca e nervosa della coppia nella guida al limite, poteva metterlo facilmente in crisi.

LA FORMULA IN CIFRE

Snoccioliamo un po’ di numeri: 92 cavalli, 185 kg a secco, 235 km/h e un prezzo di oltre 23 milioni di lire chiavi in mano; concorrenziale solo nei confronti della Ducati 748, ma più alto di quello della ben più potente Yamaha R1, la “hypersport” di riferimento del periodo.

E ALLORA, PERCHÉ?

Una moto, che avrebbe dovuto “rilanciare” il glorioso passato della Casa vicentina, quello legato alle SFC 750 degli anni settanta. Ma allora, cos’è successo? Cos’è che non ha funzionato? Perché il mercato non l’ha premiata?
Diverse le concause: a partire da un’affidabilità non esattamente al top (noti i problemi d’avviamento), passando per la crisi finanziaria dell'azienda che alla fine l’ha messa in ginocchio. Ma anche un mercato moto che vedeva l’arrivo di sportive giapponesi più “trattabili”, e non meno emozionali grazie all’elevata potenza a disposizione; come ad esempio la Yamaha YZF R1, venduta per altro ad un prezzo inferiore

IL RISCATTO

Un piccolo riscatto, la Laverda 750 S Formula lo sta vivendo in tempi recenti tra i collezionisti; un mercato, in cui i pochi esemplari in circolazione vengono venduti a prezzi non da poco. Con la certezza, per chi riesce ad accaparrarsene una, di ritrovarsi in garage una sportiva dal carattere unico, e autentico appeal “da primadonna”.

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