La storia di Venturi e la sua 250 GP: "E finché sto in piedi continuo a lavorarci!"

La storia di Venturi e la sua 250 GP: "E finché sto in piedi continuo a lavorarci!"

Corrado è un geniale meccanico di Cervia, e a metà anni '80 si costruì una sua 250 GP mettendoci l'anima e... divertendosi un sacco

Dario Ballardini

16.08.2022 09:59

Questa storia è sconsigliata ai minori di 18 anni. Non ha nulla di pruriginoso ma una generazione cresciuta all’insegna di “Il secondo è il primo dei perdenti” rischia di non capire l’avventura di Corrado Venturi, geniale meccanico di Cervia: nel più candido spirito decoubertiano “L’importante è partecipare” quando si è costruito una 250 da Gran Premio non ha mai pensato che fosse possibile vincere, eppure ci ha messo l’anima. E si è divertito un sacco.

L'ISPIRAZIONE DAL ROTAX 

Ci vogliono due o tre ingegneri, oggi, per fare quello che lui ha fatto da solo e con la quinta elementare. La sua università sono state le botteghe da meccanico, il suo banco quello dell’officina. Ma siccome era bravo fece presto a trovarsi attorno diversi piloti in gamba. Uno tra tutti: Marcellino Lucchi, che poi divenne collaudatore dell’Aprilia GP, vinse 6 titoli tricolore e nel 1998 il Gran Premio d’Italia classe 250.

Il buon Corrado era nel mondo delle gare dal 1967 e pur avendo una normale bottega da meccanico, praticamente lavorava solo sulle moto da corsa. Ne aveva viste tante, alla fine gli venne voglia di costruirsene una come pareva a lui. Diversa da tutte le altre. Eravamo attorno al 1984 e in quegli anni Kawasaki e Rotax nella classe 250 si erano fatte valere, con i loro bicilindrici “tandem” a disco rotante. Venturi prese ispirazione da quelli e progettò un motore simile ma ruotato in avanti di 90°, quindi sempre a dischi rotanti ma con i cilindri che puntavano la ruota anteriore, sovrapposti.

"Feci tutto da solo: il disegno con le misure quotate, lo stampo in legno per fare i carter che vennero fusi in terra da un’azienda di Forlì, e poi li feci lavorare da un’officina di Imola". 

Vantaggi del due tempi, tanto semplice che anche un privato poteva costruirsi il suo motore. Con i quattro tempi di oggi sarebbe impossibile, sia per la complessità tecnica che per i costi. Già, perché Venturi non era Rockefeller e doveva tenere sotto controllo anche quelli.

"Mi feci gli alberi motore in officina e montai una coppia di cilindri Rotax usati che mi aveva dato Loris Reggiani. Mi mancavano ancora la frizione e il cambio e li presi da un motore Yamaha 250 GP che avevo in officina".

I TEST IN AEROPORTO

Raccontato così sembra facile, in realtà è un’impresa colossale. Ma Venturi sapeva il fatto suo e lavorando giorno e notte riuscì a portare in fondo il suo motore. A quel punto serviva una ciclistica su cui montarlo e rimediarne una non fu difficile. L’aveva già lì…

"Tra i piloti che seguivo c’era Edgardo Branducci, di Savignano. Correva con una MBA 250 e aveva voluto uno dei telai fatti dallo specialista Nico Bakker, io glie lo avevo montato e il suo telaio vecchio era rimasto da me. Così feci qualche modifica e lo usai per mettere in pista il mio motore senza costruirne uno appositamente".

Mancava solo l’ultimo pezzo: un pilota, possibilmente “buono”. Ma di quelli Venturi aveva l’officina piena. A guidare la bomba fu designato Ivan Carlo Villini, un ragazzo che correva in 125 e 250 e andava forte. Era di Cervia pure lui.

"La conoscenza con Venturi risale a quando feci la mia prima gara a Milano Marittima, nel 1968 – racconta oggi il romagnolo –. Siamo sempre stati insieme. Andammo a provare la sua moto un paio di volte a Misano ma a quei tempi molti test si facevano per strada: abbiamo qui vicino quella dell’aeroporto e andavamo lì a vedere la velocità in rettilineo, se andava forte o meno…".

Guida di una moto non omologata, priva di assicurazione, bollo, targa, luci e clacson, e poi eccesso di velocità, guida pericolosa, rumorosità… Calma ragazzi, calma, che il reato è caduto in prescrizione da un pezzo. In ogni caso fu una delusione.

"La moto era acerba: mancava di potenza e non girava abbastanza in alto. Ci iscrivemmo a un paio di gare a Imola e a Misano ma non facemmo una gran figura perché entrambe le volte non riuscimmo a qualificarci. Dopo non l’ho mai più guidata"

C’era ancora molto da lavorare per raggiungere la competitività. Correva l’anno 1985, Villini aveva già 33 primavere e nessuna intenzione di mettere in pratica la filosofia di De Coubertin.

"Fui io a dire “No, questa moto non va”. Non andavo a correre tanto per fare un giretto, mi sentivo un po’ più forte e se non c’è il risultato ti passa la voglia. Volevo puntare a qualcosa di più alto e non avevo più il tempo di aspettare".

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