La sportiva bicilindrica di Iwata faceva "il verso" alle stradali italiane, ma aveva un carattere molto particolare e il motore in comune con la TDM 850. Una moto bistrattata dal nostro mercato, ma che ha lasciato comunque il segno
Era la "copia della SuperSport" per molti motociclisti degli anni '90, ma in realtà la TRX 850 di Yamaha era qualcosa di molto diverso. Il dibattito è acceso ancora oggi, rispetto a certe dinamiche di evoluzione del mercato che vanno a ripetersi ciclicamente con gli anni. C'è stato il caso della Honda CX 500 con motore bicilindrico trasversale, uscita quando le Moto Guzzi erano il top della produzione italiana e paradossalmente ritenute più affidabili e trattabili delle mandelliane a cui si ispirava.
Con la TRX possiamo fare un esempio simile. Con il suo telaio a traliccio, la semicarena e il look da sportiva stradale, l'ispirazione alla SS è fin troppo palese, ma la combinazione di dinamica volta all'efficienza su strada e l'apprezzato bicilindrico parallelo della TDM 850, ha portato a una moto più facile, più trattabile e più sincera della ducatona, che pagava di sicuro la natura troppo sportiva e rigida della sua dinamica di guida. Nel 1996 abbiamo messo alla prova l'imputata TRX in una comparativa "in casa" con la sorella TDM, e già da quella prova possiamo capire quanto - estetica e ispirazione ciclistica a parte - la Yamaha sia veramente una sportiva del tutto diversa dall'italiana.
Giusto per sparare un po' di numeri, la TRX 850 andava fiera del bicilindrico parallelo con 5 valvole e manovellismo a 270° (ne parliamo nel dettaglio nella prova) e le prestazioni fanno segnare una potenza di 82,9 CV a 7.500 g/min, mentre la coppia di 8,5 kgm arrivava al picco a 6.000 g/min. L'alimentazione era a due carburatori Mikuni da 38, il peso di 190 kg a secco e la velocità massima di 225 km/h. Il prezzo nel 1996 era di 15.900.000 lire.
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