Suzuki lascia MotoGP e Endurance (e forse la GSX-R): addio alle armi?

Suzuki lascia MotoGP e Endurance (e forse la GSX-R): addio alle armi?

Per la casa di Hamamatsu l'esperienza nelle competizioni sembra terminata del tutto, sperando termini solo questo...

Nicolò Bertaccini

14.07.2022 ( Aggiornata il 14.07.2022 10:15 )

Dopo gli annunci primaverili e le prime risposte ufficiali è arrivata la conferma che il prossimo anno Suzuki non correrà più la MotoGP. Mancava la “carta” e adesso è arrivata. Il comunicato è uno strano mix di motivazioni fumose e prospettive indefinite. Ovviamente, non possono mancare riferimenti alla sostenibilità (Aziendale? Ambientale?) e il rinnovato impegno a supportare i team da qui alla fine del campionato in corso, rassicurante come le mamme nate negli anni Cinquanta quando dicono “vieni qui che non ti faccio nulla”.

Nel Comunicato del 13 luglio 2022, si legge: "Le competizioni motociclistiche sono sempre state una sfida per l'innovazione tecnologica, compresa la sostenibilità, e per lo sviluppo delle risorse umane. Questa decisione significa che affronteremo la sfida di costituire una nuova attività motociclistica riorientando le capacità tecnologiche e le nostre risorse umane per studiare altri percorsi verso una società sostenibile".

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FINE DI UN'ERA?

In aggiunta è confermato anche l'abbandono del campionato Endurance. Il tutto segue l'addio alla MXGP del 2018. La casa di Hamamatsu ha quindi abbandonato ogni competizione. Da Settembre, se avete un Burgman, non potrete neppure più sfidarvi ai semafori con gli altri scooter.

Cosa significa questo abbandono? Le competizioni sono costose, richiedono investimenti di cui è difficile monitorare il ROI (Return on Investment) ma il loro impatto è comunque tangibile nel creare il famoso brand awareness, la notorietà e la reputazione del marchio. Certo, dalle competizioni si possono anche mutuare soluzioni tecnologiche ma anche questo legame “corse – vita vera” è più marketing che realtà. Ovviamente, le competizioni non sono l'unico mezzo per creare emozioni, per dare rinforzi emozionali ai prodotti. All'interno di una concessionaria BMW ci sono immagini che non suggeriscono cosa può fare una loro moto ma quanto potresti fare tu con una loro moto. Ma non siamo qui a parlare dei Bavaresi.

Tante domande, difficili risposte

Dismettere i reparti corse è una scelta che deve avere un forte piano B. Analizzando da fuori il mondo Suzuki questo piano B non lo si intuisce. Da nessuna parte. Prendendo i numeri di questo 2022 (gennaio – giugno) notiamo che non ci sono Suzuki fra i primi 30 scooter venduti (e mi pare che il Burgman 400 ci sia come novità 2022) e c'è una sola moto, il V-Strom 650, alla posizione 29 di 30. Insomma, pare che anche l'offerta di mezzi di Suzuki non trovi un gran riscontro di mercato.

Certo, è difficile interpretare i segnali da esterni all'azienda, ma se c'è una cosa che realmente stona è non avere percezione del progetto della casa giapponese. Negli anni alcune cose sul popolo del Sol Levante le abbiamo imparate. I Giapponesi ci hanno insegnato le visioni a lungo termine, i piani centenari di sviluppo delle aziende, difficile immaginare una Suzuki che naviga a vista. Una casa che da oltre 100 anni produce auto e moto è difficile pensare che semplicemente si lasci andare, che affronti una crisi, per quanto forte e deflagrante, facendo spallucce.

Stiamo parlando di un produttore che ha corso in quasi tutte le competizioni che si possono disputare su due ruote. La Paris-Dakar, Il Rally dei Faraoni (vinto), il mondiale motocross, la MotoGP, la Superbike, Suzuki ha anche vinto una Pikes Peak (ok, in auto, però nel crescendo di successi suonava bene).

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A tutto questo si aggiunge la voce di un possibile abbandono definitivo (dopo 600 e 750) del progetto GSX-R, uno dei mezzi più iconoci e riconoscibili del brand. Altre case hanno dovuto abbandonare le loro regine per via delle stringenti normative anti-inquinamento, vero, ma nel contesto Suzuki questo ulteriore rumor, è un altro tassello.

Sempre difficile leggere nei piani strategici e quasi intimi dei colossi giapponesi soprattutto quando i loro destini si incrociano inevitabilmente con altri business (auto nel caso di Suzuki). Difficile capire quale business stia inquinando e quale condizioni, non sono così sicuro che il problema delle moto nasca nel settore moto. 

La sensazione, vista da chi è davanti ad un PC a 9.720 km di distanza da Hamamatsu, è che manchi una leadership pioneristica e visionaria, capace di stimolare azienda e mercati verso traguardi raggiungibili in decenni. Ma forse sono figure che non esistono più e che sarebbero più adatte ad un museo che alla conduzione di un'azienda ai giorni nostri, in cui i business non si evolvono, semplicemente muoiono per far posto ad altri, appena nati. A noi resta la constatazione che un marchio storico, vincente e con un grande seguito ha preso una decisione forte e inaspettata. Una decisione che suscita molte domande alla quali non abbiamo ancora avuto una risposta capace di contrastare almento emotivamente il nostro stupore. Perché non basterà il pragmatismo e il realismo nipponico a tranquillizzarci dopo una decisione di questa natura.

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