Rewind, Harley-Davidson VR 1000: folle idea per la Superbike

Rewind, Harley-Davidson VR 1000: folle idea per la Superbike

A cavallo degli anni '90 le gare per derivate di serie erano all'apice, tanto da far produrre una supersportiva anche a Milwaukee, che realizzò la più anacronistica e strana SBK di sempre

29.01.2021 ( Aggiornata il 29.01.2021 12:08 )

Ricordo quando per la prima volta vidi su una rivista la VR1000, era la metà degli anni '90 ed ero un bambino affascinato dalla velocità e dalle moto estreme, come tutti i miei coetanei in fissa con i motori. La prima reazione che ebbi fu una smorfia, mi lasciò spiazzato e pensai fosse la cosa più brutta che avessi mai visto.

Come poteva una moto con quelle forme, quelle proporzioni e quel faro quadrato al posteriore (per intenderci, era preso direttamente dalla Softail Springer) fare una bella figura accanto a Ducati 916, Honda RC45 e Kawasaki ZX-7R? La mia mente di bambino si concentrava solo sulle forme e sui colori, e non potevo sapere che quella SBK made in Milwaukee nera a sinistra e arancione a destra in realtà era qualcosa di più di una moto brutta, era anche un progetto sbagliato, per nulla competitivo e fuori dal suo tempo, ed è per questo che merita di essere raccontata.

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VR 1000: I primi passi del progetto

Il mondiale Superbike nacque nella seconda metà degli anni '80 e già dal 1988 in Harley-Davidson venne proposto il progetto di una moto che potesse partecipare alle derivate di serie e “svecchiare” il marchio con un nuovo corso sportivo che avvicinasse di più la clientela europea e aprisse a nuovi settori di mercato. L'intenzione non era sbagliata, in quegli anni HD non aveva ancora mai osato spostarsi dal settore custom e cruiser, e la tentazione in un mondo di capitalismo galoppante era tanta.

Nei quartieri generali americani però mancava il know-how per costruire una sportiva e non si poteva di certo convertire un grosso e pesante motore ad aria per equipaggiare una moto ad alte prestazioni. C'era la necessità di prendere esperienza e tecnologie esterne per realizzare una moto che fosse all'altezza della sfida, e in Harley presero la prima cattiva decisione: fecero tutto in casa.

Tanta era la necessità di imparare a fare una moto da corsa, che passarono ben 6 anni prima di vedere il primo prototipo calcare la pista e la strada, perché non dimentichiamo che si tratta di una moto che per correre avrebbe dovuto essere messa in produzione in serie. La VR1000 nacque ufficialmente nel 1994 e ne vennero costruiti 50 esemplari per l'omologazione al campionato americano AMA Superbike. 

L'idea c'era, la sostanza meno

La maggior parte degli appassionati ebbe lo stesso approccio che ebbi io da piccolo, sbigottimento. In realtà le forme morbide, abbondanti e per nulla aggressive nascondevano un progetto tutto sommato buono: il motore bicilindrico DOHC a V di 60 gradi era raffreddato a liquido ed era stato progettato a partire da un foglio bianco. La potenza massima erogata era di 116 CV e il peso complessivo della moto di 175kg. Per intenderci la coeva Ducati 916, nuovo riferimento di categoria, aveva 112 CV e pesava 195kg a secco.

La ciclistica vantava un telaio a doppio trave dall'aspetto massiccio, così come il forcellone scatolato, mentre la ciclistica si affidava a sospensioni Ohlins di prima linea e le carene erano in leggerissima fibra di carbonio. Numeri ottimi ma la mancanza di esperienza dell'azienda con questo tipo di moto si vide nella gestione di pesi, centralizzazione delle masse e quote ciclistiche. In sostanza era una moto stradale più che buona, ma in pista non era facile da guidare e anche nella versione più estrema che correva nell'AMA si portava dietro errori progettuali che ne hanno limitato le prestazioni, senza parlare poi della limitata capacità di elaborazione della meccanica e di un'elettronica che non era minimamente paragonabile a quella delle moto europee e giapponesi, che già sviluppavano sistemi digitali per migliorare le prestazioni in pista.

Storia breve ma gloria eterna

Il progetto iniziale di Harley-Davidson era di partire dall'AMA per poi fare il salto nel mondiale e conquistare il mondo anche in pista, aprendo un nuovo filone sportivo che avrebbe cambiato la storia del marchio. In realtà il progetto, costato davvero tanti dollari, venne interrotto dopo la vendita dei 50 esemplari di omologazione e non ne seguì una vera e propria produzione di linea. Nel campionato americano non ottenne risultati importanti e corse fino a ridosso del nuovo millennio, ma con diverse strutture private nell'ultimo periodo. Dopo questa esperienza, Harley non parlò più di moto sportive o campionati in pista. 

In sostanza un vero e proprio buco nell'acqua (e nel conto dell'azienda) ma che portò anche qualcosa di buono. In primis, la decisione di ritornare a fare solo custom e cruiser ha convinto la direzione a dare il via libera a Buell per la produzione di moto naked e sportive con motori Harley, in secondo luogo il motore della VR1000 venne usato come base per lo sviluppo (con l'aiuto di Porsche) per il motore della V-Rod, la prima grande rivoluzione di successo dell'azienda.

Per quanto riguarda la VR1000 oggi, invece, non possiamo che rimanere affascinati dal suo stile unico, fuori da ogni tempo, e dallo sforzo incredibile di Harley per realizzare qualcosa di completamente opposto alla filosofia aziendale ma che fosse fortemente legato ai valori del marchio. Missione fallita, ma un posto nella storia assicurato.

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