Ducati, una rossa anche nel cross? Un ritorno dopo più di 40 anni

Ducati, una rossa anche nel cross? Un ritorno dopo più di 40 anni

Rumors parlano di una prossima off-road che potrebbe debuttare nella MXGP e nell'Enduro tra un paio di stagioni. Ma fango e tassello non sarebbero una novità per la Casa bolognese

Redazione - @InMoto_it

17.08.2022 14:23

CORPO ESTRANEO

 di Dario Ballardini

C’è una macchia nella storia della Ducati. Fango. Ma non è un segno di ignominia, bensì il ricordo di un’impresa coraggiosa. Del breve periodo in cui Borgo Panigale corse ufficialmente anche nel cross, tra il 1977 e il 1978, con un’operazione che fece rabbrividire i vecchi dell’azienda. Non era la prima volta in assoluto che un pneumatico tassellato calpestava il sacro gres del Reparto Esperienze. Già negli anni 1960 e 1961 era stata prodotta una serie di moto nelle versioni cross e regolarità con i motori 175 e 200 a quattro tempi, ma erano state vendute solo in America per correre nelle gare di fuoristrada; ed anche nel 1971 erano state preparate alcune 450 R/T per la Sei Giorni di regolarità. Ma una moto ufficiale vera e propria, da schierare nel campionato italiano cross seguendola con una squadra ufficialissima, per giunta col motore a due tempi... no, proprio non era nelle corde pistaiole e quattrotempistiche di Borgo Panigale.

Probabilmente alla notizia l’ingegner Taglioni, il geniale progettista papà del Desmo e a capo del Reparto Esperienze, aveva fatto un bel salto. Ma eravamo alla metà degli anni Settanta, c’era il boom delle moto da fuoristrada e la Ducati era controllata dall’EFIM, l’Ente partecipazioni e Finanziamento Industrie Manifatturiere, terza finanziaria dello Stato italiano. E il capo aveva deciso che la moto da fuoristrada si doveva fare, pubblicizzandola con l’ottimistico slogan.

“Con la moto che vince vai anche a scuola”

Il risultato per la verità non era stato conforme alle aspettative: la 125 Regolarità era andata in produzione ma non era all’altezza delle KTM, SWM, Ancillotti, Gori e molto altro ancora. Non era bella quanto le rivali che avrebbe voluto sfidare e soprattutto era lunga e pesante, e non aveva le stesse prestazioni. Il motore era stato dimensionato con generosità nella prospettiva che, se ci fosse stato un certo successo commerciale, sarebbe stato possibile farne una versione di 250 cc. Le specifiche tecniche erano analoghe alla concorrenza, si trattava di un monocilindrico a due tempi di 123,6 cc (alesaggio e corsa 54 x 54 mm) con canna in ghisa, raffreddato ad aria; la distribuzione a 4 travasi era controllata dal movimento del pistone – lamelle e altre diavolerie erano ancora di là da venire – , la frizione era in bagno d’olio e il cambio a sei marce. Più o meno come gli altri; la potenza però non era la stessa, e quel brutto scarico che correva come un serpente sul lato destro... 

Quanto alla ciclistica, il telaio in tubi d’acciaio aveva un disegno a doppia culla chiusa diffusissimo a quei tempi, ma era lungo e il cannotto di sterzo era inclinato come quello di un chopper, il forcellone scatolato era esile e piuttosto corto; sospensione posteriore a due ammortizzatori come avevano tutti al tempo, con due belle unità Marzocchi a serbatoio separato all’ultimo grido della moda di allora, così come era Marzocchi la forcella. Il successo commerciale non ci fu.

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