Quattro decenni fa le Case giapponesi furono capaci, di Salone in Salone, di esporre realizzazioni accattivanti, affidabili e ricercate, pur destinate a diventare obsolete nell&rsquo;arco di una stagione. Si strizza l&rsquo;occhio alla carenatura completa, anche per le semplici 125 rivolte al target giovanile; tutto deve apparire sportivo e ci&ograve; spiega la popolarit&agrave; delle Race Replica. Un esempio, nel 1982, la Kawasaki Z 1000 R ad emulare la moto con cui Eddie Lawson vinse l&rsquo;AMA Superbike. Sono tradotte in chiave moderna, le architetture dei propulsori pluricilindrici. Essi crescono in potenza e adottano la distribuzione a quattro valvole per cilindro, iniziano ad essere raffreddati a liquido e a volte privati dell&rsquo;alimentazione a carburatori a vantaggio di quella ad iniezione elettronica. A resistere, fino alla met&agrave; del decennio, il cambio a cinque rapporti, a sei compare sporadicamente. Si assiste al fenomeno Turbo, vera e propria meteora, con i motori sovralimentati che vanno ad equipaggiare le moto. I progettisti nipponici concentrano l&rsquo;attenzione sulla ciclistica, comparto in passato afflitto da notevoli carenze. Concepiscono telai equilibrati ed efficaci, spesso forniti di travi diagonali, per meglio supportare la nutrita cavalleria dei propulsori. Sulle forcelle agisce l&rsquo;anti-dive, dispositivo anti-affondamento dismesso in fretta al pari dell&rsquo;uso dei cerchi di 16&rdquo; all&rsquo;anteriore. Dietro si passa all&rsquo;ammortizzatore singolo, in sostituzione del doppio. Per le aziende dagli occhi a mandorla i nuovi brevetti assumono queste denominazioni: Uni-Trak (Kawasaki), Monocross (Yamaha), Pro Link (Honda) e Full Floater (Suzuki). Sull&rsquo;impianto frenante, si affermano, rispettivamente all&rsquo;avantreno e al retrotreno, il doppio e il monodisco. In questo contesto tanto fluido, la Kawasaki nella serie GPZ, scaturita da un piano di studi avviato nel 1978, perpetua un approccio costruttivo fatto di vitalit&agrave;, incisivit&agrave; e prestazioni. Attraverso un&rsquo;ampia gamma di modelli, alcuni dei quali neppure importati in Italia, declina dei classici, deputati a rappresentare il loro momento storico.  La serie GPZ e il 1980, sono inaugurati dalla 1100. &Egrave; una due ruote con cui la Kawasaki, segue l&rsquo;offerta giapponese, tesa ad enfatizzare il litro di cilindrata, ribadendo cos&igrave; la propria filosofia, volta a perseguire moto sempre pi&ugrave; potenti e veloci. Filo conduttore della top di gamma della neonata famiglia &egrave; la digital fuel injection. L&rsquo;idea dell&rsquo;iniezione elettronica serpeggia da qualche anno in quel di Akashi, bench&eacute; non si possa parlare della reale volont&agrave; di promuovere una sensibilit&agrave; ecologista. Gli intenti sono conquistare il mercato americano, adeguandosi alle stringenti norme in materia di ambiente e battere sul tempo la concorrenza. In parte ci riesce la GPZ 1100 esposta al Salone di Colonia del 1980, dalla nuda linea compatta, il manubrio alto, l&rsquo;imponente serbatoio e il motore verniciato in nero. Dal peso a secco di soli 236 kg, la piuma delle maxi in commercio, lancia la sfida di varcare la soglia dei 230 km/h ma, la funzionalit&agrave; dell&rsquo;iniezione &egrave; messa in discussione dalla centralina posizionata sul codino dove soffre le vibrazioni del quadricilindrico. Inoltre la bassa resa termodinamica e il prezzo importante, intorno ai sette milioni di lire, inibiscono l&rsquo;utenza. Va parzialmente meglio alla seconda serie dell&rsquo;82. Rivisitata l&rsquo;iniezione elettronica, arricchita dal cupolino e da nuovi terminali di scarico e una strumentazione razionale. Il giudizio diviene positivo e pure ai neofiti delle maxi concede una guida appagante, di certo il comportamento su strada privilegia un tracciato misto veloce anzich&eacute; strette curve in sequenza. La Kawasaki crede ancora nella bont&agrave; del progetto e intensifica gli sforzi approntando la 1100 Uni-Trak del 1983 che, esaltando le doti della sorella di seconda generazione, raggiunge una maturit&agrave; tanto compiuta da caratterizzare per eleganza del design l&rsquo;intera serie GPZ. Supersportiva, filante e sinuosa, beneficia di una ciclistica incentrata sul classico telaio a doppia culla in tubi di acciaio, per&ograve; sovvertita nella sospensione posteriore con il monoammortizzatore del sistema Uni-Trak il quale lavora verticalmente spinto verso il basso da bielle e rinvii che lo collegano al forcellone, in precedenza era stato sperimentato dall&rsquo;azienda sui modelli da cross e da competizione. Davanti agisce una forcella dagli steli di 37 mm &Oslash; con l&rsquo;anti-dive, il dispositivo antiaffondamento in frenata molto utilizzato in quegli anni. Inusuali le misure dei cerchi in lega a tre razze sdoppiate, 18&rdquo; all&rsquo;anteriore e 17&rdquo; dietro. La moto raggiunge i 238 km/h ed evidenzia un&rsquo;abitabilit&agrave; raccolta e comoda con ottimi comandi al manubrio ed al pedale. Bello l&rsquo;impatto visivo della strumentazione su tre livelli, difficile da tenere sotto controllo con un display LCD sul serbatoio, le spie di servizio ai lati della chiave di accensione e il tachimetro contachilometri insieme al contagiri nella tipica ubicazione. La GPZ 1100 Uni-Trak, trova nella lunghezza massima e nell&rsquo;interasse di 1.565 mm, i suoi elementi penalizzanti sui percorsi misti e nell&rsquo;affrontare le curve a stretto raggio. Il palpitante quadricilindrico di 1.089 cm&sup3;, salito in una manciata di anni da 97,5 CV a 8.500 giri a 120 CV a 8.750 giri dall&rsquo;indole sportivissima, esibisce un allungo da togliere il fiato e il tiro inesorabile lo elargisce dagli 8.000. I 400 metri con partenza da fermo li compie in soli 11 secondi netti. Un bel record per l&rsquo;erede di quello nato per la Z1 900, adesso indirizzato lungo l&rsquo;inevitabile viale del tramonto. Il valore collezionistico della GPZ 1100 Uni-Trak &egrave; attestato dai 2.000 ai 2.500 euro e quando esce dal listino, nel 1986, non lascia un vuoto incolmabile (eccetto per lo scrivente...). Dentro la crisi del settore motociclistico datata Anni Ottanta, vanno approfondite le ragioni delle sue vendite inferiori alle aspettative, con un dato su tutti: la produzione giapponese subisce un calo costante e dai 7,4 milioni di unit&agrave; del 1981 passa ai 2,69 del 1989. Per contrastare il trend la Kawasaki guarda allora anche ad altre cilindrate. Si concentra sulla 550 cm&sup3;, destinata a divenire punto di riferimento per una buona fetta di motociclisti, in prevalenza giovani.  La GPZ 550 presentata al Salone di Colonia nel 1980 e alla stampa italiana a Monza, nel febbraio del 1981, esprime l&rsquo;anima della Casa con la sua linea grintosa sottolineata dal cupolino e offre in sella un giusto compromesso turistico-sportivo. Carente nelle finiture, aveva il brillante propulsore bialbero a quattro cilindri e otto valvole dai 58 CV a 9.000 giri, il telaio a doppia culla chiusa dai rinforzi al cannotto di sterzo e al retrotreno, cerchi di 19&rdquo; davanti e 18&rdquo; dietro con doppio ammortizzatore posteriore e comandi robusti ed adeguati. Stabile sui curvoni veloci al pari dei rettilinei, era un pelo manchevole nella risposta dei due dischi freno anteriori. Quelle che sono percepite come piccole pecche, scompaiono sulla GPZ 550 Uni-Trak del 1982, il principale cambiamento consiste nell&rsquo;introduzione del monoammortizzatore regolabile al posteriore, il quale contribuisce ad ottimizzare il confort, la precisione e l&rsquo;efficacia della ciclistica. Bella la linea, da superare per armonia, eleganza, accuratezza nei particolari, l&rsquo;allestimento precedente. Impensabile per la Kawasaki sostenere investimenti per disegnare un altro motore e allora ecco riconfermatissimo il quattro cilindri bialbero accresciuto di 3 CV e di 500 giri da arrivare a 61 CV a 9.500 giri. L&rsquo;entusiastica accoglienza unita ai vantaggiosi raffronti con le coeve Yamaha XZ 550, Suzuki 550 Katana, Honda CBX 550, ne fanno la regina delle medie cilindrate. Il decorso produttivo della GPZ 550 Uni-Trak conclusosi nel 1985, annovera un allestimento totalmente aggiornato nell&rsquo;aspetto esteriore proposto al Salone di Parigi del 1983 da renderla uguale alle GPZ 1100 e 750. Sempre in quell&rsquo;occasione il propulsore di 553 cm&sup3; riceve un&rsquo;iniezione di CV e giunge a sprigionarne 65 a 10.500 giri. Dagli utenti &egrave; apprezzata per versatilit&agrave;, tenuta di strada, maneggevolezza e parsimonia nei consumi. Per un esemplare in buono stato di conservazione, possono essere richiesti 2.000 euro. La Kawasaki segue la generale riscoperta della &ldquo;tre quarti di litro&rdquo; determinata, tra l&rsquo;altro, dall&rsquo;inasprirsi delle norme di legge su limiti di velocit&agrave; e potenza in relazione al prodotto di serie.  La famiglia GPZ accoglie allora la 750 che nel 1982 acquisisce la veste definitiva, ritoccata nelle grafiche fino al 1986, e l&rsquo;Uni-Trak. Disinvolta senza compromessi, viene incontro ai fans delle maxi, intimoriti dal loro prezzo di acquisto, mole e difficolt&agrave; di costi di esercizio. Sul tradizionale quattro cilindri bialbero frontemarcia di 86 CV a 9.500 giri, l&rsquo;alimentazione come sulla GPZ 550 avviene tramite quattro carburatori Mikuni. Le valvole sono sempre otto mentre la concorrenza giapponese &egrave; passata a sedici. Il telaio a doppia culla si conferma validissimo al pari della forcella con anti-dive regolabile su tre posizioni. Sui cerchi in lega leggera da 18&rdquo; posti due dischi forati all&rsquo;anteriore da 236 mm e uno da 226 dietro, orientati a favorire una frenata modulabile e sicura. Spiccano tra le qualit&agrave; di questa ambiziosa 750 l&rsquo;efficacia aerodinamica, la grande stabilit&agrave; su qualsiasi percorso e l&rsquo;accelerazione. Volendo enumerare qualche difetto, lo sforzo per issarla sul cavalletto centrale e l&rsquo;inospitalit&agrave; per il passeggero, ma d&rsquo;altra parte non &egrave; obbligatorio per una moto sportiva essere anche accogliente. Alle rassegne d&rsquo;epoca, pu&ograve; essere acquistata spendendo circa 2.200 euro. La Kawasaki delle quattro sorelle giapponesi &egrave; l&rsquo;ultima ad entrare nell&rsquo;universo &ldquo;Turbo&rdquo;. Lo penetra nel 1981al Salone di Milano con la GPZ 750 Turbo, commercializzata in Italia dal settembre 1983. Svetta all&rsquo;apice del prezziario rispetto alla Honda CX 500 Turbo, Suzuki XN 85 Turbo e Yamaha XJ 650 Turbo, resistendo in listino due anni. Avendo come base la 750 alimentata a carburatori, la moto si distingue per la maggiore cilindrata e le migliori performance rispetto alle rivali. Il propulsore a 9.000 giri sfodera 112 CV, rimanendo il pi&ugrave; trattabile e docile da gestire. I rari esemplari reperibili oggi possono raggiungere quotazioni vicine ai 5.000 euro. In un periodo economicamente incerto quanto fervido e prolifico di perfezionamenti ed elaborazioni, nonostante poggino su vecchie idee, ogni azienda motociclistica investe con perseveranza e coraggio le risorse per ottenere il massimo dei benefici. Ad Akashi la ricerca e valorizzazione dell&rsquo;eccellenza in una cilindrata inconsueta d&agrave; origine alla GPZ 900 R, proiettata al top della gamma in sostituzione della GPZ 1100. Atterra sul nostro pianeta nel 1983 al Salone di Parigi per intraprendere la sua stimatissima permanenza fino al 2003, sebbene dopo due anni abbandoni l&rsquo;Italia e dal 1999 rimanga confinata nel continente asiatico. Diventa un sogno da concretizzare, &egrave; prescelta al cinema in &ldquo;Top Gun&rdquo;, campione di incassi nel 1986, in una scena memorabile con il protagonista Tom Cruise, ed impreziosisce nel 1998 la mostra &ldquo;The Art of the Motorcycle&rdquo; al museo Guggenheim di New York, condividendo a fatica la scena con la Honda VF 750 F, la Suzuki Katana 1100 e la Yamaha 1200 V-Max. Tra i neologismi coniati ipermoto &egrave; impeccabile, essendo la prima due ruote offerta al pubblico a sovrastare il muro dei 240 km/h. Incanta per il design, dalla carena aderente al motore al cupolino mutuato dalla GPZ 1100 Uni-Trak e GPZ 750 Turbo. In venti anni oltre 200.000 le unit&agrave; vendute ripartite in pi&ugrave; serie, in Italia 3.000 nel biennio &rsquo;84-&rsquo;85 al prezzo di 9.698.200 lire; inferiore a quello delle GPZ 1100 Uni-Trak (10.402.000 lire), BMW K100 RS (11.590.000 lire) e Yamaha FJ 1100 (10.815.000 lire). Alla GPZ 900 R il merito di avere rinverdito l&rsquo;interesse intorno al propulsore a quattro cilindri aspirato, in grado di sopravanzare quelli con cubature maggiori e i Turbo. Eroga 115 CV a 9.500 giri e dal passato eredita soltanto la disposizione dei cilindri in linea frontemarcia, il resto &egrave; riprogettato. Inediti l&rsquo;impianto di raffreddamento a liquido e la distribuzione a quattro valvole per cilindro, mosse da bilancieri sdoppiati e comandati da due alberi a camme in testa con la catena connessa alla sinistra dei cilindri. Finora in campo motociclistico era stata sempre privilegiata la posizione centrale della catena di distribuzione. Adottati poi, il cambio a sei rapporti ben spaziato e preciso negli innesti, ripreso e affinato da quello della GPZ 550, e un albero controrotante per limitare le vibrazioni.  Dalle misure interne superquadre &egrave; compatto con un ingombro orizzontale di appena 45 cm; ad alimentarlo, lasciata l&rsquo;iniezione elettronica sulla GPZ 1100, provvedono quattro carburatori Keihin. Al telaio in tubi dal trave superiore a traliccio con rinforzi ed una triangolatura posteriore, &egrave; appeso il motore che funge da elemento stressato della ciclistica. Definito &ldquo;a diamante&rdquo;, sar&agrave; ripreso sulla granturistica GTR. La forcella Kayaba, con steli di 38 mm &Oslash; munita del sistema antiaffondamento brevettato dalla Kawasaki AVDS &ndash; automatic variable damping system &ndash; si abbina al forcellone oscillante in tubi quadri di alluminio operante con l&rsquo;Uni-Trak. In sella la posizione &egrave; sportiva e polsi e braccia vengono caricati in modo quasi esagerato. L&rsquo;elasticit&agrave; del motore permette di usare le marce alte pure a basse velocit&agrave;, tuttavia &egrave; alle alte che d&agrave; immense soddisfazioni con le sospensioni pronte ad assorbire le asperit&agrave; del suolo facendo immaginare di procedere su una rotaia e i freni sempre pronti e progressivi.  Nata gi&agrave; grande, la GPZ 900 R subisce pochissimi interventi di rilievo negli anni, eccetto le variazioni cromatiche, l&rsquo;utilizzo di pinze freno a doppio pistoncino e del cerchio anteriore di 17&rdquo; in luogo di quello di 16&rdquo;, tipico della prima versione ambita dai collezionisti e prospettata ad oltre 2.300 euro. Fatto centro con una due ruote che nel 1984 &egrave; indicata in Europa moto dell&rsquo;anno, la Kawasaki per fronteggiare Honda, Suzuki e Yamaha con le loro VFR, GSX-R ed FZ, lancia nel 1986 la GPZ 1000 RX. Dovrebbe porsi come naturale evoluzione della 900 R, per essa si dichiarano prestazioni ragguardevoli, velocit&agrave; massima di 260 km/h scaturita da un motore di 125 CV a 9.500 giri. Il peso eccessivo, la linea affatto armoniosa e la scarsa maneggevolezza le tributano un ruolo pi&ugrave; da granturistica che da sportiva penalizzandola e, sono sufficienti due anni di listino per concedergli il pensionamento. Di tutt&rsquo;altra levatura il cammino della GPZ 600 R del 1985, detentrice di un florilegio di tecnica e performance che le spianano la strada verso i consensi. Di raffinata fattura e dal gruppo serbatoio, sella e codino integrati in maniera perfetta unitamente alla bella carenatura integrale, si mostra leggera, potente, scattante, ben gommata, precisa negli inserimenti e nel tenere la linea della curva. Per farla propria occorrevano 8.850.800 lire, chiavi in mano, attualmente, le valutazioni per un mezzo collocabile nell&rsquo;arco costruttivo protrattosi fino al 1989, permangono sui 2.000 euro. Il silenzioso quattro cilindri in linea sedici valvole raffreddato a liquido della GPZ 600 R, &egrave; vicino per concezione realizzativa a quello della 900 R ed eroga 75 CV a 10.500 giri, tocca la velocit&agrave; massima di 220 km/h e percorre i 400 metri con partenza da fermo in 12&rdquo; netti. Ridisegnato il telaio, a doppia culla chiusa in tubi a sezione rettangolare assistito dal forcellone oscillante e l&rsquo;Uni-Trak e dalla forcella Showa con steli di 38 mm &Oslash; e il sistema AVDS, i cerchi sono di 16&rdquo;. La ciclistica valida risente molto dell&rsquo;asfalto sconnesso mettendo a dura prova le capacit&agrave; di guida. La pista &egrave; l&rsquo;habitat naturale della GPZ 600 R. Assurta a modello di riferimento per la sua cilindrata, induce la Kawasaki a perseverare nel mantenere il primato. Tale onere, con minor successo, spetta alla GPX 600 R che prende elementi estetici e tecnici dalla 750 GPX-R. Appartenenti alla famiglia GPZ vanno menzionate la 500 S, bicilindrica sportiva ed economica, proposta dal 1986 al &rsquo;90 e la GPZ 305 S anch&rsquo;essa bicilindrica, dalla particolare cubatura e infrequente, per la produzione nipponica, trasmissione finale a cinghia dentata. 

L&rsquo;energia, il dinamismo e la voglia di cambiamento degli anni Ottanta si riflettono in campo motociclistico nella rincorsa alle novit&agrave; tecniche e stilistiche. Le GPZ furono tra le migliori interpreti di questa filosofia

Kawasaki GPZ

C&rsquo;&egrave; una moto nata quando il fumo non era ancora stato messo al bando, e che rappresenta la potenza pura, quella che ti allunga le braccia in accelerazione. La moto &egrave; la Kawasaki 750 H2 Mach IV e il periodo corre fra i primi anni Settanta, per la precisione il 1971, anno di inizio delle vendite del modello e il 1976, fine della carriera di un oggetto carismatico, ma soprattutto molto, molto presente nei ricordi dei motociclisti in zampa di elefante, Ray-Ban e, se andava bene, giubbotto di jeans. La H2 resta una pietra miliare nella storia della motocicletta, non fosse altro per l&rsquo;aver raggiunto traguardi mai pi&ugrave; sfiorati da altri modelli e costruttori (nel giro di pochi anni tutti abbandonarono i grossi plurifrazionati due tempi, salvo estemporanei casi di race-replica, ottimi, del resto) ma soprattutto per aver proposto una moto assolutamente viscerale, illogica, difficile; di quelle che scuotono l&rsquo;anima di un motociclista. In realt&agrave; la Mach IV del pilota scuoteva ben bene anche il corpo, che fra vibrazioni, sbacchettamenti inattesi e serpeggiamenti vari, non godeva certo di un trattamento regale; ma i miti non sono mai perfetti e forse affascinano anche per questo.  Dunque, nei primi anni Settanta, quando ancora le famigliole in gita fuori porta lasciavano i resti del picnic sulla riva del fiume, perch&eacute; non usava raccoglierli, e la crisi petrolifera con la relativa austerity, era ancora da venire, alcuni dei difetti che oggi riscontriamo come tali della Kawasaki non erano nemmeno considerati. Del fumo gi&agrave; si &egrave; detto, il consumo smodato era solo un fastidio per le frequenti soste dal benzinaio e le vibrazioni, oggi difficili da digerire, erano serenamente condivise con qualche concorrente. Nella &ldquo;guida all&rsquo;acquisto&rdquo; dedicata alle moto giapponesi (vedi In Moto n. 6/2012) citiamo tre modelli di Kawasaki in un legame stretto: la brillantissima 500 port&ograve; direttamente all&rsquo;eclatante 750 che, una volta cambiato il mercato, port&ograve; alla completamente nuova Z1 900, che abbiamo visto su In Moto n. 1/2013. La filosofia Kawasaki sta rinchiusa in questi tre modelli, epocali e bellissimi. Attuale ancor oggi la bialbero 900, ma le illogiche, irrazionali e devastanti due tempi hanno un fascino terribile. La H2 &egrave; stata prodotta in quattro serie, in verit&agrave; sempre meno interessanti, personali e prestazionali. Dal 1971 al 1976 &egrave; stata prodotta in poco meno di 50.000 esemplari, dei quali circa 1500 venduti in Italia; il numero risente evidentemente della concorrenza interna, a partire dal 1972, della Z1 900. Il motore tre cilindri raffreddato ad aria, due tempi, di 748 cm3, erogava 74 CV e consentiva alla leggera Mach IV di raggiungere i 200 km/h ma soprattutto di percorrere i 400 metri da fermo in 12 secondi, valore che ancor oggi &egrave; di tutto rispetto. Le sospensioni erano quello che in quegli anni passava il convento, senza infamia n&eacute; lode, al pari dell&rsquo;impianto frenante, con disco singolo davanti, doppio a richiesta e consigliato, e tamburo posteriore; il telaio in piccoli tubi faceva quel che poteva per gestire tutto l&rsquo;insieme, e infatti la Kawasaki non &egrave; passata alla storia per eccelse doti stradali. L&rsquo;esemplare nelle foto &egrave; una prima serie, disponibile nei colori oro oppure blu, con banda sul serbatoio; riteniamo che sia la pi&ugrave; rappresentativa di tutta la famiglia; con le serie successive forse anche la Casa stessa credeva meno alla formula tre cilindri.    Oggi, fermo restando le superiori doti stradali di svariate concorrenti, Moto Guzzi V7 Sport su tutte, si pu&ograve; anche dire che eravamo noi motociclisti italiani un po&rsquo; prevenuti nei confronti dei talenti della moto giapponese: con gomme e sospensioni in buono stato non era del tutto da disprezzare, l&rsquo;ammortizzatore di sterzo dava un piccolo aiuto da non sottovalutare; i lugubri soprannomi che le furono riservati donavano l&rsquo;aura di &ldquo;cliente&rdquo; difficile per i compagni di gita e sfida su strada, mentre i polsi &ldquo;dell&rsquo;occasionale&rdquo; tremavano ancor prima di salirci sopra. Diciamo che era certamente una moto non amichevole e come tale era necessario che le parti fossero in perfetta forma, comprese quelle di chi la guidava, sentimento della saggezza in primis. La H2 ebbe anche la nomea di essere propensa al grippaggio del cilindro centrale e la cosa era vera solo se la moto era utilizzata malamente e con lubrificanti di scarsa qualit&agrave;. Vere erano una discreta golosit&agrave; di candele e una scarsa durata della catena di trasmissione; oggi questi piccoli problemi sono del tutto risolvibili. La H2 crea sempre un bel capannello di appassionati: la curiosit&agrave; di quanto fumo far&agrave; all&rsquo;avviamento e il richiamo irresistibile del suo squillante 3 cilindri fanno presa. Resta un discreto pezzo da collezione con quotazioni medio-alte fra le giapponesi classiche, a livello di una buona Honda CB 750, pur senza avere la stessa fruibilit&agrave;. Ma mica sono moto che oggi si usano tutti i giorni! Si trova ancora qualche meccanico specializzato in grado di fornire anche i ricambi, non tutti facilmente reperibili e non a buon mercato, oltre a qualche club di appassionati in rete, fra i quali spicca il Club Giapponesi Classiche.  

Esagerata, scorretta, affascinante come una persona viziosa e sopra le righe. Da questi tre cilindri a due tempi non si and&ograve; pi&ugrave; avanti. Unica nel suo genere, irripetibile

Kawasaki 750 H2 Mach IV

Dopo circa 4 anni, la piccola Kawasaki si fa un bel &ldquo;lifting&rdquo;. Adesso finalmente la linea &egrave; moderna e piacevole. Cresce il motore e crescono i contenuti tecnici, ma non il prezzo. Il sogno di molti ragazzini, e non solo&hellip;.  &nbsp;  Scelta furba quella della Kawasaki di riproporre il suo piccolo gioiello migliorato in tutto, aumentato di cilindrata e ricco di innovazioni tecniche. Ovviamente restando attenti a non superare i limiti che, da questo gennaio, consentiranno di guidarla anche ai neopatentati. Infatti con i suoi 39 CV (29 kW) la &ldquo;Ninjetta&rdquo; entrer&agrave; nelle &ldquo;grazie&rdquo; e nelle possibilit&agrave; dei possessori di patente A2. Dati alla mano, notiamo che i potenziali acquirenti di questo modello sono proprio loro. Infatti, una fetta del 40% dei pi&ugrave; di 13.000 esemplari del vecchio modello venduti in Europa, dal suo debutto, &egrave; destinato a chi si avvicina per la prima volta al mondo delle due ruote. Un buon 22% &egrave; invece il pubblico femminile. E Kawasaki punta ad estendere il range di acquirenti a fasce diverse presentando un prodotto in grado di regalare doti e sensazioni di guida adatte al neofita come al motociclista pi&ugrave; smaliziato, magari quello stufo delle prestazioni e dei costi di gestione esagerati che le supersportive sono solite richiedere. Altro incentivo all&rsquo;acquisto, &egrave; che il prezzo non &egrave; superiore al precedente modello 250: 4.990 Euro f.c. Inoltre, con circa 600 Euro e 2 kg in pi&ugrave; si potr&agrave; acquistare anche il modello dotato di ABS. La posizione &egrave; comoda e i piedi toccano bene a terra anche grazie all&rsquo;altezza da terra della morbida sella: soli 780 mm. Le gambe, anche se un po&rsquo; raccolte (specialmente per i piloti pi&ugrave; alti), non creano comunque fastidi, mentre le braccia, caricate sull&rsquo;anteriore risultano comode e ben distese. Il manubrio &egrave; abbastanza largo e offre una piacevole sensazione di padronanza. 172 kg non sono pochissimi, almeno sulla carta, ma come ci si mette in movimento l&rsquo;idea del peso svanisce immediatamente tanta &egrave; la maneggevolezza della piccola Ninja. Merito di tutto ci&ograve;, un certosino lavoro di centraggio delle masse e dell&rsquo;azzeccata scelta delle gomme. In questo caso Kawasaki ha optato per le IRC andando ad aumentare la larghezza del posteriore, passando dal 130 della Ninja 250 al 140/70-17&rdquo; dell&rsquo;attuale modello, a beneficio della stabilit&agrave; senza andare a compromettere la maneggevolezza.  A colpo d&rsquo;occhio &egrave; difficile distinguerla dalla &ldquo;sorellona&rdquo; Z1000 SX, alla quale &egrave; simile nelle linee e nei particolari. A partire dall&rsquo;importante frontale per finire, come nella versione &ldquo;anabolizzata&rdquo;, all&rsquo;esiguo codone. Non possiamo assolutamente considerarla una rivisitazione del modello 250, casomai &egrave; pi&ugrave; appropriato definirla una perfetta e ben riuscita &ldquo;miniatura&rdquo; della gamma Z. L&rsquo;assenza di adesivi che riconducano alla cilindrata non aiuta di certo ad identificarla. Forse proprio per lasciare quel pizzico di curiosit&agrave; e interesse a chi si avvicina per osservarla. La nuova piccola di Akashi &egrave; tutta nuova. Abbandonate le linee rotondeggianti che le conferivano un aspetto ormai datato, fa del proprio &ldquo;abito&rdquo; il suo punto di forza. Anche grazie al modaiolo scarico 2-in-1 che sbuca da sotto la pedana destra, andandosi a sposare alla perfezione con la linea della moto. Pure gli specchi retrovisori (anche se un po&rsquo; piccoli) e gli indicatori di direzione anteriori integrati nella carena completano in perfetta armonia il nuovo &ldquo;Ninja style&rdquo;. Nuovo anche il disegno dei cerchi, ereditati anch&rsquo;essi dalla sorellona, cos&igrave; come i dischi a margherita. La sella per il passeggero &egrave; situata un bel po&rsquo; pi&ugrave; in alto rispetto alla seduta del pilota, ma il trasportato trova comunque una buona presa nelle maniglie occultate a regola d&rsquo;arte sotto il codone. Da segnalare il pregevole tentativo di ricavare un piccolo spazio sottosella sul posto del passeggero. I comandi sono semplici ma funzionali con leve pi&ugrave; vicine e facili da azionare che nel modello precedente, a tutto vantaggio di chi non &egrave; proprio un gigante. La frizione &egrave; pi&ugrave; morbida, grazie anche al sistema FCC. Inoltre, per chi intendesse personalizzarla e renderla ancora pi&ugrave; performante, sono previsti moltissimi optional: dallo scarico LeoVince al cupolino maggiorato fum&egrave;, dal coprisella per il passeggero ai tamponi paracarena sempre utili specialmente per i meno esperti, in caso di banali scivolate. La Ninja 300 &egrave; disponibile da subito in due colorazioni: lime green (verde) ed ebony (nero).    L&rsquo;accelerato borbottio del bicilindrico ai bassi regimi tende a sminuire un po&rsquo; le doti di questo modello, ricordandoci che la cubatura del motore &egrave; pur sempre quella di una piccola stradale. Probabilmente con lo scarico optional LeoVince l&rsquo;illusione di una sportiva di media cilindrata sarebbe durata ancora per un po&rsquo;. Infiliamo la prima e gi&agrave; le buone sensazioni che si hanno solo vedendola, si trasformano in ottime. La qualit&agrave; c&rsquo;&egrave;, si sente ed &egrave; palpabile su ogni singolo componente. Ad iniziare dalla frizione che risulta cos&igrave; morbida da dover stare attenti a non tenerci le dita, correndo il rischio di farla slittare. A coadiuvare la trasmissione troviamo anche un cambio morbido, preciso e ben spaziato. Il motore invece &egrave; poliedrico e versatile tanto che permette di svicolare nel traffico con una naturalezza paragonabile solo a uno scooter. Infatti, sotto agli 8.000 giri, sembra quasi elettrico, silenzioso e lineare, ideale per gli spostamenti urbani. Ma la nuova arrivata non &egrave; solo una tranquilla moto da far ammirare agli amici. Lasciati i libri a casa e imboccata la strada che conduce fuori citt&agrave;, si scopre finalmente il lato sportivo. Il sound del motore, varcati gli 8.000 giri, si trasforma. Il borbottio lascia spazio a un sibilo degno di un 4 cilindri e il motore inizia a tirare forte fino al limitatore con un allungo non trascurabile. &Egrave; possibile inserire le marce una dietro l&rsquo;altra senza avvertire alcun calo nella trazione, a patto che non si scenda sottocoppia. Basta comunque scalare una marcia che la bicilindrica riprende immediatamente vigore. Abbiamo potuto lanciarla sulle strade senza limiti della Germania e il contachilometri ci ha pi&ugrave; volte mostrato di superare i 180 km/h. Ci ha ricordato le care e potentissime 125 di un paio di decenni fa, con la sola differenza di avere, adesso, un motore magari meno potente, ma pi&ugrave; sfruttabile e affidabile: gli interventi di manutenzione si effettuano ogni 6.000 km. Il freno anteriore di 290 mm &Oslash; manca un po&rsquo; di mordente, se vogliamo una buona decelerazione dobbiamo continuare ad esercitare una discreta pressione sulla leva per tutto l&rsquo;arco della frenata, ricordando che l&rsquo;identikit dell&rsquo;utente a cui &egrave; destinato questo modello non &egrave; quello di un pilota che cerca prestazioni estreme. Il disco posteriore &egrave; invece progressivo ed efficace. Percorrendo le strade di montagna, l&rsquo;indole sportiva salta fuori come un felino dalla gabbia lasciata aperta. La moto si rivela di una maneggevolezza disarmante e di una precisione unica, merito sicuramente delle sospensioni tarate un po&rsquo; rigide per la citt&agrave; (&egrave; prevista solo la regolazione del precarico molla al posteriore) ma perfette per l&rsquo;uso extraurbano. Stabilissima nei curvoni veloci, e reattiva nei cambi di direzione. In ingresso curva poi, ecco la ciliegina sulla torta. Scalando un paio di marce, scopriamo con piacere che la ruota posteriore inizia a slittare dolcemente ma senza mai perdere di aderenza, consentendoci di impostare la traiettoria desiderata senza fare scherzi. Merito del dispositivo antisaltellamento FCC montato di serie su questo modello. S&igrave;, avete capito bene. Nei 5.000 Euro &egrave; compresa pure questa raffinata soluzione. Davvero impossibile e impensabile chiedere di pi&ugrave; a una entry-level, soprattutto, a questo prezzo. Una volta dentro la curva, la moto mantiene la traiettoria impostata invogliandoci ad inclinarla sempre di pi&ugrave;, tanta &egrave; la stabilit&agrave; e la benefica sensazione di appoggio riscontrata. In uscita il propulsore, lineare e costante, non riesce a mettere in crisi n&eacute; la ciclistica, n&eacute; le gomme di primo equipaggiamento e la Ninja continua la sua traiettoria senza brutti scherzi e senza allargare. E via cos&igrave; di curva in curva senza impensierire il pilota, anzi regalandogli un divertimento che credevamo ormai dimenticato. La nuova Ninja va a inserirsi in un segmento di mercato praticamente privo di concorrenza, e per questo riscuoter&agrave; l&rsquo;apprezzamento del pubblico anche in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando. D&rsquo;altronde, le cose fatte bene sono sempre gradite.  

Kawasaki Ninja 300

Crescono la cilindrata, la coppia ai medi regimi e il peso. Il design &egrave; pi&ugrave; aggressivo, mentre la guidabilit&agrave; e la versatilit&agrave; migliorano. Il comfort non &egrave; il suo forte  &nbsp;  Da qualsiasi lato la guardi scorgi la lettera Z. Sulla sella, in numerosi particolari e addirittura sul fanale posteriore, all&rsquo;interno del quale ci sono numerose luci a led, disposte in modo tale da formare due Z al momento dell&rsquo;accensione dello stop. Insomma, osservandola, anche in maniera sommaria, capisci subito che si tratta della mitica Kawasaki Z, che in passato, come nella storia recente, ha fatto la fortuna commerciale della Casa di Akashi. Come prima, pi&ugrave; di prima. &Egrave; questo il leitmotiv della nuova nuda giapponese. Il design &egrave; ancora pi&ugrave; estremo, caratterizzato da linee tese e spigolosissime che, grazie anche all&rsquo;utilizzo di grafiche bicolore, catturano l&rsquo;attenzione. Non &egrave; uno stile sobrio ed elegante, ma la Z &egrave; pensata per i giovani e gli smanettoni che vogliono una moto aggressiva, anche quando resta parcheggiata davanti al bar. Il motore non &egrave; inedito ma &egrave; cresciuto di cilindrata. Ha pi&ugrave; coppia ai medi regimi, pi&ugrave; allungo e un&rsquo;erogazione pi&ugrave; fluida. Neppure la ciclistica &egrave; stata stravolta, ma ora c&rsquo;&egrave; pi&ugrave; stabilit&agrave;.&nbsp; Purtroppo, poco &egrave; cambiato alla voce comfort. La Kawasaki Z non era e non &egrave; una moto adatta a lunghi trasferimenti; d&agrave; il suo meglio in citt&agrave;, dove si apprezza l&rsquo;incredibile elasticit&agrave; del suo quadricilindrico, e nelle strade tutte curve, dove il tiro ai medi regimi consente di divertirsi e guidare di buon passo senza sforzo. lo sporti vo &egrave; libero di muoversi  DA FERMO Accarezzandola difficilmente si trover&agrave; una superficie rettilinea. Le linee della Z800 sono come un mare in burrasca, caratterizzate da spigoli e linee curve che generano un andamento ondulato, sia delle poche carene, sia delle superfici metalliche. Il tutto &egrave; condito con due gruppi ottici che rappresentano la massima espressione dell&rsquo;aggressivit&agrave; e da un motore le cui forme si possono sposare solo con quelle della nuda di Akashi. La Z, insomma, non passa inosservata. La vedi e ti viene voglia di conoscerla. La osservi con attenzione e ti accorgi che i dettagli sono curati, che le fusioni non sono affatto porose e che i componenti, come ad esempio il manubrio, le leve, le pedane del pilota e del passeggero, la vaschetta del freno anteriore e le plastiche, sono di buona qualit&agrave;. Solo la bulloneria e la verniciatura opaca del silenziatore non convincono, per&ograve; sono solo due note stonate di uno spartito che piace. Poi scopri che la Z800 costa 8.890 Euro franco concessionario (il prezzo della versione ABS lievita di altri 600 Euro), ovvero un po&rsquo; pi&ugrave; di quanto avresti immaginato. A quel punto ti rendi conto che questa Kawasaki &egrave; ben fatta ma vale quel costa. La versione &ldquo;e&rdquo; (vedi l&rsquo;intervista a pag. 61) coster&agrave; 800 Euro di meno.    IN SELLA Sali a bordo e scopri che la posizione di guida &egrave; sportiva ma &egrave; stata studiata anche per garantire ampia libert&agrave; di movimento. Il manubrio basso e molto largo consente di trovare subito un buon feeling con l&rsquo;avantreno, senza avvertire un eccessivo carico sui polsi. Le pedane sono abbastanza avanzate ma, quando bisogna spostare il peso del corpo verso l&rsquo;avantreno per cercare il grip, non rappresentano un ostacolo. Tradotto, non ci si trova mai appesi al manubrio e il merito &egrave; anche della forma del serbatoio, che agevola sia gli spostamenti in senso longitudinale, sia quelli in senso trasversale. L&rsquo;unica critica che si pu&ograve; muovere alle pedane &egrave; che, per garantire una buona luce a terra, sono state posizionate un po&rsquo; troppo vicine al piano di seduta, pertanto lo spazio a disposizione per le gambe non &egrave; elevatissimo ed alla lunga si accusano indolenzimenti alle ginocchia. L&rsquo;unico vero difetto, per&ograve;, &egrave; l&rsquo;imbottitura della sella, minimalista e cedevole. Guidando in maniera sportiva si ha sempre l&rsquo;esatta percezione di ci&ograve; che il retrotreno ha intenzione di fare, per&ograve; &egrave; altrettanto vero che dopo circa sessanta chilometri gli indolenzimenti ai glutei iniziano a farsi sentire... Poco male, perch&eacute; chi sogna una Z sa cosa vuole acquistare, ovvero una moto sportiva, maschia, progettata e collaudata per emozionare e per non passare inosservata. Pertanto, se vi piace guidare, la Z &egrave; la scelta giusta. Se, invece, volete macinare chilometri, quanto meno vi converrebbe portare la sella da un buon tappezziere! Il nuovo motore di 806 cm3 ci &egrave; piaciuto molto di pi&ugrave; rispetto al vecchio quattro cilindri di 748 cm3. Sicuramente, per merito del rapporto finale pi&ugrave; corto (sulla Z800 c&rsquo;&egrave; una corona con 45 denti, mentre sulla versione 750 ce n&rsquo;era una con 43 denti) il propulsore mette in mostra sorprendenti doti di ripresa. Ovviamente &egrave; anche la maggiore cilindrata a fare la differenza, per&ograve; quel che conta &egrave; che il risultato finale &egrave; ottimo, sotto tutti i punti di vista. S&igrave;, &egrave; migliorata la ripresa, ma il nuovo propulsore di Akashi ha pure un maggiore allungo. Infatti, oltrepassati i 10.000 giri/&rsquo; si avverte un incremento della spinta, che fa letteralmente volare i led del contagiri a quota 13.000 giri/&rsquo;, limite oltre il quale non &egrave; possibile spingersi, a causa dell&rsquo;intervento del limitatore. L&rsquo;elasticit&agrave; era una delle doti migliori del vecchio 750 ma l&rsquo;800 &egrave; riuscito a fare di meglio e vi assicuriamo che non era facile. Ora, dopo avere inserito la sesta, ci si pu&ograve; davvero dimenticare del cambio e, nell&rsquo;utilizzo extraurbano, anche ai bassi giri, c&rsquo;&egrave; tutta la spinta necessaria ad effettuare velocemente un sorpasso, senza essere costretti a scalare una o due marce.  Poi, quando si inizia a fare sul serio, scopri che il cambio funziona benissimo, perch&eacute; la leva ha una corsa contenuta, gli innesti sono precisi ed una volta inserita la marcia non si ha quella spiacevole sensazione di &ldquo;gommosit&agrave;&rdquo; che non ti permette di capire se il rapporto &egrave; stato innestato correttamente. Il comando al manubrio della frizione &egrave; un po&rsquo; duro da azionare e per questo motivo, in citt&agrave;, alla lunga si accusano indolenzimenti all&rsquo;avambraccio sinistro. Quando si inizia a fare sul serio, le nuove doti del quattro cilindri nipponico assecondano le richieste del conducente. Nei tratti misti si pu&ograve; mantenere il contagiri a cavallo degli 8.000 giri/&rsquo;, poi, appena si scorge un lungo rettilineo, spalancando il gas, ci si pu&ograve; godere un allungo degno di nota. A 10.000 giri/&rsquo; il motore della Z800 cambia rumore e carattere. Intendiamoci, nonostante la notevole cilindrata (una 800, in fondo, &egrave; quasi una maxi), non sembra di essere alla guida di una moto sgarbata o troppo esuberante.  Insomma, il quadricilindrico della Z800 somiglia pi&ugrave; a un 600 che a un 1.000. &Egrave; facile da usare, non mette paura ma non &egrave; una di quelle unit&agrave; caratterizzate da un&rsquo;erogazione &ldquo;duetempistica&rdquo;, che costringe ad usare spesso il cambio per andare alla ricerca della coppia necessaria ad affrontare un sorpasso o una curva stretta. Con la Z800 ci si pu&ograve; divertire senza fare fatica e senza essere necessariamente dei piloti. Detto questo, stiamo pur sempre parlando di una moto di 806 cm3, che, quindi, va usata con attenzione, soprattutto se non si ha tanta esperienza alle spalle. Come dire... La Z800 vi dar&agrave; una mano e vi metter&agrave; a vostro agio ma non approfittatene! Uno dei limiti della Z750 era il peso. La Z800 non &egrave; stata alleggerita, anzi, &egrave; ingrassata di 3 kg (ora il peso dichiarato &egrave; 229 kg in ordine di marcia, mentre la Z750 si fermava a quota 226 kg). La nuova naked di Akashi, per&ograve;, &egrave; pi&ugrave; guidabile, grazie a un telaio e a sospensioni pi&ugrave; rigidi, che hanno migliorato la stabilit&agrave;, la precisione direzionale e il feeling con avantreno e retrotreno. La Z800 &ldquo;dondola&rdquo; meno della 750, cio&egrave; i trasferimenti di carico in staccata e in accelerazione avvengono pi&ugrave; lentamente, pertanto il peso elevato, pur restando un limite, non crea disagi nella guida. Solo nei tratti sconnessi, affrontati a velocit&agrave; sostenuta, la Z800 mette in mostra un comportamento un po&rsquo; &ldquo;ballerino&rdquo; ma, grazie anche al buon rendimento delle gomme Dunlop di primo equipaggiamento, mantenere la situazione sotto controllo non &egrave; mai un problema. Inoltre, grazie al manubrio largo e a un&rsquo;azzeccata distribuzione dei pesi, la Z800 risulta abbastanza maneggevole e facile da condurre su qualsiasi tipo di strada. L&rsquo;impianto frenante ci &egrave; piaciuto, perch&eacute; nella prima fase della staccata non mette in mostra un eccessivo mordente, man mano che si aumenta la trazione sulle leve, emerge, progressivamente la sua forza. Esattamente quello che serve, nell&rsquo;uso su strada. Abbiamo provato anche la versione ABS. L&rsquo;impianto ha un funzionamento ancora pi&ugrave; progressivo, per&ograve;, in questo caso, all&rsquo;inizio si sente la mancanza di un pizzico di mordente.  

Kawasaki Z800

La Casa giapponese cerca di rispondere alla crisi con una sportiva stradalizzata, dotata di controllo di trazione, sospensioni morbide e una progressione eccezionale  &nbsp;  La Kawasaki ha presentato nello splendido scenario californiano il ritorno della Ninja ZX-6R 636, una delle &ldquo;seicento&rdquo; sportive pi&ugrave; apprezzate, presente sul mercato fin dal 2006. Questo mezzo vuole essere la risposta della Casa di Akashi alla crisi che ha colpito il settore motociclistico delle medie sportive. Lo scopo &egrave; quello di dare un&rsquo;alternativa alle mille e alle seicento quattro cilindri, ritenute troppo selettive per ovvi motivi nell&rsquo;uso quotidiano. Partendo dal modello ZX-6R 600, che resta in produzione, la Ninja 636 &egrave; stata completamente evoluta, infatti, l&rsquo;aumento della cilindrata &egrave; solo il primo degli innumerevoli particolari modificati, per renderla ancora pi&ugrave; performante e guidabile nell&rsquo;uso stradale, ma di fatto &egrave; efficacissima anche in circuito con i suoi 137 CV all&rsquo;albero dichiarati a 13.500 giri. Infatti resta una moto dal DNA sportivo, ma resa ancora pi&ugrave; semplice e intuitiva grazie a una ciclistica pi&ugrave; stradale e al controllo di trazione, per la prima volta equipaggiato di serie su una media giapponese, e che la rendono adatta a piloti di qualsiasi esperienza. La 636 sar&agrave; commercializzata entro fine anno in due colorazioni, l&rsquo;affascinante verde-nero metallizzato e un pi&ugrave; sobrio bianco-nero opaco, disponibile anche con ABS. Il prezzo non &egrave; ancora stato ufficializzato, ma dovrebbe essere in linea con quello del mercato tedesco, stabilito attorno ai 13.200 Euro per la versione senza ABS. Un valore sicuramente adeguato all&rsquo;evoluzione delle caratteristiche tecniche, molto meno se lo si raffronta con le condizioni economiche del mercato. Saranno disponibili a catalogo numerosi accessori, tra cui l&rsquo;ammortizzatore di sterzo, non previsto sulla moto di serie.  DA FERMO  La ZX-6R 636 ha uno styling ancora pi&ugrave; spigoloso e aggressivo della serie Ninja, merito anche layout del doppio fanale anteriore, diviso dalla presa d&rsquo;aria frontale e dei nuovi specchietti retrovisori, funzionali nell&rsquo;uso stradale. Estremamente curata la conformazione della carena, con indicatori di direzione integrati e ampie feritoie laterali per favorire il dissipamento termico. Ridisegnata la parte posteriore con gruppo ottico a led integrato nella plastica inferiore, dove &egrave; inserito il &ldquo;disarmonico&rdquo; supporto portatarga. Particolare cura &egrave; stata usata nelle rifiniture a vista, come lo styling della piastra superiore di sterzo con i due tappi forcella anodizzati rossi e regolazioni in alluminio. Sulla ZX-6R &egrave; stata montata una forcella a steli rovesciati di 41 mm &Oslash;, la SFF-BP (separate function fork e big piston), caratterizzata da un&rsquo;unica regolazione del precarico sullo stelo sinistro e un&rsquo;unica doppia regolazione delle idrauliche sull&rsquo;altro stelo, settate per un maggior comfort di guida. Modifiche in tal senso anche sulla sospensione posteriore, con nuovi leveraggi e una molla pi&ugrave; morbida. Per migliorare la maneggevolezza &egrave; stato ridotto l&rsquo;angolo del cannotto di sterzo da 24&deg; a 23,5&deg; e sfilata la forcella di 2 mm. L&rsquo;impianto frenante utilizza le nuove pinze Nissin monoblocco a quattro pistoncini, pi&ugrave; performanti e leggere, che agiscono su due dischi a margherita di 310 mm &Oslash; con pompa radiale e leva regolabile. Al posteriore lavora un disco di 220 mm &Oslash; con pinza alleggerita. L&rsquo;ergonomia dei comandi sui semimanubri rispecchia lo schema classico, blocchetto di accensione a destra e tutti i comandi d&rsquo;illuminazione a sinistra, compreso quello per la selezione della mappa motore e della regolazione del traction control, mentre manca il lampeggio d&rsquo;emergenza.   &nbsp;  SU STRADA  L&rsquo;obiettivo di Kawasaki nel proporre una moto principalmente stradale, almeno per quanto riguarda l&rsquo;utilizzo del motore, &egrave; stato sicuramente raggiunto, sia per il risultato di coppia e potenza espresso ai medi regimi, sia per il fatto che con una cilindrata di 636 cm3, non potr&agrave; partecipare a nessuna competizione tra le pari categoria. Provandola sulle splendide strade delle montagne californiane, abbiamo principalmente apprezzato come questa Ninja, nell&rsquo;ultimo rapporto, dimostri una progressione eccezionale, lineare e senza alcuno strappo di trasmissione, gi&agrave; a partire da velocit&agrave; attorno ai 25-30 km/h (2.000 giri indicati). In tutti i rapporti &egrave; dotata di una buona spinta che dai 3.000 giri la porta decisa fino a 6.000, oltre i quali l&rsquo;erogazione si fa davvero brillante, ma senza particolari variazioni di coppia che possano destabilizzare durante la guida. Infatti, la potenza aumenta proporzionalmente di intensit&agrave; con il salire dei giri, con la massima accelerazione dagli 11.000 fino ai 15.500 giri indicati, con slanci al limitatore a 16.100 giri, dimostrando un&rsquo;efficacia conosciuta solo con moto di ben altra cubatura. Parlando della posizione di guida, diventa difficile vedere la ZX-6R 636 come una moto strettamente stradale, infatti, le geometrie restano simili a quelle della 600, e anche se l&rsquo;ammorbidimento del posteriore consente ad un pilota di media statura di arrivare a terra con entrambe le piante dei piedi, la posizione del busto spinto naturalmente in avanti, il discreto carico di peso sui palmi delle mani e soprattutto l&rsquo;altezza delle pedane, che costringono a un angolo delle ginocchia quasi completamente chiuso, dimostrano che il suo DNA resta quello prettamente sportivo. Anche l&rsquo;eventuale passeggero deve avere una buona agilit&agrave; per salire sull&rsquo;altissimo sellino, anche se poi l&rsquo;angolo delle ginocchia, per effetto della distanza delle pedane, non &egrave; cos&igrave; estremo. In movimento per&ograve;, pur non essendo una moto d&rsquo;indirizzo turistico, garantisce un divertimento unico, grazie all&rsquo;estrema semplicit&agrave; nella guida, oltre alle generose prestazioni del motore. In tutti i tipi di percorso, dal veloce al misto stretto, resta una moto molto intuitiva; in inserimento &egrave; molto rapida a scendere in piega, trasmettendo una grande sicurezza sull&rsquo;anteriore. Questo consente di forzare la frenata in curva anche a moto inclinata, pur mantenendo direzionalit&agrave; anche a traiettoria gi&agrave; impostata. Sul veloce &egrave; sempre molto precisa ed equilibrata, grazie a un assetto stradale che, prediligendo una taratura morbida delle sospensioni nella prima parte d&rsquo;escursione, riesce ad assorbire di buon grado gli eventuali avvallamenti dell&rsquo;asfalto, senza mai trasmetterli violentemente al pilota. Un vantaggio ciclistico che sfrutta anche in percorrenza, dove conserva sempre una grande solidit&agrave;, e anche quando condizioni improvvise richiedono una leggera pinzata a moto ancora inclinata, la Ninja riesce sempre a mantenere il massimo controllo, grazie anche alla modulabilit&agrave; del freno, mai violento nella prima azione e con un&rsquo;efficacia direttamente proporzionale alla forza esercitata sulla leva. In uscita di curva la 636, specie su strada, soffre di un leggero sottosterzo, dovuto principalmente alla regolazione morbida della sospensione, che soffrendo in accelerazione dei passaggi di carico dall&rsquo;anteriore al posteriore, tende a schiacciare l&rsquo;ammortizzatore, portandola ad allargare leggermente la traiettoria. La guida su strada ovviamente &egrave; molto lontana da quello che &egrave; il limite del mezzo, per&ograve;, potendo giocare tra 5&deg; e 6&deg; marcia con il regime di rotazione del motore tra i 6.000 e gli 8.000 giri, si &egrave; in grado di mantenere un ritmo sempre brillante; sfruttabile anche utilizzandola nella mappa Low, con rendimento invariato al di sotto di questo regime, mentre oltre la progressione si fa pi&ugrave; dolce e lineare. Questa Kawasaki non &egrave; la moto che cade dentro le curva, ma segue le indicazioni del pilota in modo progressivo ed efficace, cos&igrave; come nell&rsquo;affrontare i cambi di direzione, dove resta equilibrata e sincera nel trasmettere il grado di aderenza, sempre molto alto grazie ai pneumatici Bridgestone Battlax S20 di primo equipaggiamento. In condizioni di asfalto perfetto come durante la nostra prova, &egrave; stato difficile su strada sentire in funzione il controllo di trazione; sui livelli 1 e 2 lo si intravede solo sul display risultando impercettibile durante la guida, molto pi&ugrave; deciso invece nella mappa 3, che taglia con interventi pi&ugrave; netti specie nelle rapide partenze da fermo. La ZX-6R 636 ha una buona rapportatura del cambio su strada, sempre preciso e rapido, con una leva frizione veramente dolce da azionare. La protezione aerodinamica &egrave; abbastanza buona fino in prossimit&agrave; dei 130 km/h, oltre i quali bisogna abbassarsi bene dietro al cupolino.  Il test in pista si &egrave; svolto nel tracciato di Thunderhill, molto tecnico e impegnativo, che ha portato i tecnici Kawasaki ad adeguare opportunamente il setting della ZX-6R 636. Il risultato &egrave; una moto molto pi&ugrave; alta al posteriore con l&rsquo;inserimento di uno spessore di 4 mm, disponibile a catalogo, con un&rsquo;idraulica pi&ugrave; chiusa e una molla pi&ugrave; precaricata di ben 6 mm, oltre all&rsquo;utilizzo dei pneumatici racing in mescola Bridgestone Battlax Racing R10 Evo Type B. Quindi una posizione di guida ancora pi&ugrave; racing, con un incremento del carico di peso sui polsi, ma anche un ottimo controllo dello sterzo, che ha consentito di trovare un immediato feeling nella guida e di percorrere molti giri a ritmo elevato senza mai stancare eccessivamente, nonostante la posizione molto chiusa delle ginocchia. Ottima la stabilit&agrave; in frenata come la sicurezza dell&rsquo;anteriore nell&rsquo;inserimento in curva: anche se molto pi&ugrave; caricato, l&rsquo;avantreno mantiene sempre una grande sincerit&agrave; nel feeling, anche nel percorrere tratti di circuito in contropendenza. Potente e modulabile l&rsquo;impianto frenante, che arriva al bloccaggio solo quando lo vuole il pilota. In accelerazione si pu&ograve; contare sull&rsquo;elevato grip fornito dal pneumatico posteriore, che permette di aprire con decisione l&rsquo;acceleratore a moto ancora inclinata, senza rischiare improvvise perdite di aderenza. In particolar modo grazie all&rsquo;efficacia del controllo di trazione, che nei livelli 1 e 2, ottimali per l&rsquo;uso in pista, interviene in maniera dolce e quasi impercettibile, garantendo la massima trazione e spinta in uscita di curva. Durante la prova abbiamo riscontrato alcune sbavature del pneumatico posteriore in inserimento nelle curve veloci a gas chiuso, dove tendeva a derapare in modo graduale per mancanza di carico, a causa dell&rsquo;eccessivo spostamento di peso all&rsquo;anteriore. Negli scollinamenti del tracciato, si &egrave; fatta sentire la mancanza dell&rsquo;ammortizzatore di sterzo, con continui alleggerimenti dell&rsquo;anteriore, al limite dello sbacchettamento.  

Kawasaki Ninja ZX-6R 636

Nessuna sorpresa tra i modelli pi&ugrave; &ldquo;economici&rdquo;, dove prevale la BMW grazie alla ricca serie di accessori in dotazione, ma anche per l&rsquo;ottimo comportamento dinamico  Sulle prime non sembrerebbe, ma questo gruppo &egrave; il pi&ugrave; eterogeneo, visto che comprende modelli di diversa estrazione e concezione, come quel perfetto compendio tra praticit&agrave; e divertimento che risponde al nome di TMax e il vero concentrato di tecnologia e nuovi concetti d&rsquo;utilizzo della NC 700 S. A questo punto le moto pi&ugrave; tradizionali restano due: la ER-6n che punta forte sull&rsquo;ottimo rapporto qualit&agrave;/prezzo, e la F 800 R, che alla fine si &egrave; rivelata imbattibile all&rsquo;interno del gruppo, totalizzando oltretutto il 4&deg; punteggio assoluto! Sorprende anche il TMax, che divide il secondo posto a pari merito insieme alla ER-6n. Da fermo Innanzitutto &egrave; curioso, ma non casuale, che tutte le concorrenti del gruppo abbiano 2 cilindri paralleli frontemarcia, con cilindrate che in ordine di grandezza sono di 530 cm3 per lo Yamaha, 649 cm3 per la Kawasaki, 670 cm3 per la Honda e 800 cm3 per la BMW. Questo &egrave; infatti un tipo di propulsore che minimizza le complessit&agrave; tecniche aiutando a limitare i costi di queste moto, che tendono a economizzare il pi&ugrave; possibile. Le ciclistiche vedono la prevalenza di telai in tubi d&rsquo;acciaio con l&rsquo;eccezione dello Yamaha, che utilizza il pi&ugrave; pregiato alluminio, mentre a livello di sospensioni la pi&ugrave; ricca risulta la BMW, che oltre alla regolazione del precarico sul mono, presenta anche il registro di estensione. Le ruote sono tutte di 17&rdquo; ad eccezione dello Yamaha, che monta anteriore e posteriore di 15&rdquo;. Modernissimo e particolare risulta il propulsore Honda, dotato di corsa lunga dei pistoni e con ingombro in altezza molto limitato, &egrave; espressamente studiato per inquinare e consumare pochissimo. Pur essendo praticamente il minimo requisito in ambito Alpen Master, l&rsquo;elettronica vede la presenza dell&rsquo;utilissimo ABS su tutte le concorrenti. Posizione di guida Dopo una mezza giornata trascorsa con questo gruppo, siamo rimasti stupiti di quanto si possa gustare la guida anche con le pi&ugrave; economiche della prova. Anche nella guida si distinguono due coppie: da un lato Kawasaki e BMW, dotate di pi&ugrave; motore e con una ciclistica pi&ugrave; consona agli ambienti montani, dall&rsquo;altro Honda e Yamaha, meno agili tra le curve e con propulsori decisamente meno prestanti. Tutte offrono selle sufficientemente spaziose e ben imbottite. La Kawasaki &egrave; la pi&ugrave; compatta anche nella posizione di guida, visto che presenta pedane alte e un manubrio non troppo elevato e poco distante, con una postura che alla lunga risulta poco rilassante per le gambe. Non troppo dissimile &egrave; quella della BMW, anch&rsquo;essa piuttosto raccolta, con un manubrio leggermente pi&ugrave; basso e dritto e con pedane un filo pi&ugrave; comode della Kawasaki, ma comunque piuttosto rialzate. Molto pi&ugrave; confortevole risulta invece la Honda grazie ai maggiori spazi disponibili: permette una comoda posizione delle gambe e presenta un manubrio alto e largo rispetto alle altre. Lo Yamaha fa storia a s&eacute;, visto che permette di allungare parecchio le gambe in avanti, ma non le lascia arretrare a sufficienza per la guida tra le curve. Per essere quello di uno scooter, il manubrio &egrave; decisamente basso e facilita la guida sportiva. Escludendo il TMax, la protezione aerodinamica delle altre tre &egrave; quasi inesistente.  Il fondovalle Il primo tratto di percorso, caratterizzato dai larghi curvoni e dai lunghi rettilinei della statale della Val Stura, ha evidenziato la buona stabilit&agrave; della ciclistica per tutte e quattro le pretendenti. Queste infatti risultano estremamente facili da indirizzare nei lunghi curvoni, con la Honda che primeggia nel mantenere la traiettoria. Peccato che le manchi il motore, perch&eacute; con della potenza in pi&ugrave; avrebbe potuto facilmente raggiungere il secondo posto. Anche il TMax soffre di poca potenza rispetto alle altre, restando indietro su ogni rettilineo in salita. Come la Honda, il TMax si rivela molto stabile e per contro pi&ugrave; duro da inserire in curva. Oltretutto, essendo uno scooter, non permette di usare al meglio le gambe per direzionarlo, risultando il pi&ugrave; lento nei cambi di direzione e negli ingressi in curva. Le moto &ldquo;vere&rdquo; primeggiano, con la Kawasaki che resta dietro alla BMW a causa della minor spinta del propulsore e della ciclistica troppo agile, che la rende meno precisa della irreprensibile BMW.  Il passo di montagna Misto stretto, per non dire strettissimo, e fondo accidentato danno pochi problemi al gruppo delle piccole. Per le sospensioni, praticamente prive di regolazioni, ci si deve accontentare del settaggio offerto dalla Casa, che nel caso di Kawasaki e Honda &egrave; tendente al morbido, mentre per BMW e Yamaha risulta leggermente pi&ugrave; sostenuto. &Egrave; mantenendo andature non eccessivamente veloci che si gusta al meglio la guida, con tutte e quattro le pretendenti che copiano bene l&rsquo;asfalto senza subire particolari alterazioni dell&rsquo;assetto in presenza di forti sconnessioni. Forzando il ritmo, invece, le sospensioni cominciano a mostrare qualche scompenso di assetto e qualche fondocorsa della forcella. La prima a subire qualche affondamento di troppo sulle asperit&agrave; &egrave; la forcella della Kawasaki, mentre sorprendono Honda e Yamaha per il buon sostegno. La BMW, anche se di poco, si comporta meglio delle altre, digerendo bene anche i tratti di asfalto sgretolato. Le lunghe salite e l&rsquo;altitudine mettono alla frusta anche i propulsori e in questo frangente il piccolo bicilindrico Yamaha patisce pesanti distacchi. Pur imparando a spalancare in anticipo in uscita dalle curve si riesce a vedere (da lontano) solo la Honda, mentre le altre risultano imprendibili. Il bicilindrico a corsa lunga della Honda non gradisce gli alti regimi di rotazione e ci &egrave; parso pi&ugrave; adatto al cambio DCT, piuttosto che a quello manuale. Kawasaki e BMW risultano cos&igrave; imprendibili, con il propulsore della prima che paga qualcosa in termini di cilindrata e conseguentemente, di potenza. Pur salendo velocemente di giri, richiede di essere tenuto molto in alto per garantire buone accelerazioni, mentre con la BMW ci si pu&ograve; permettere di usare meno il cambio per ottenere le stesse prestazioni.  La discesa Il peso ridotto e le posture erette delle moto aiutano parecchio nella lunga discesa dal Colle della Lombarda. I freni non eccellono in termini di potenza, ma si sono dimostrati in grado di resistere bene agli sforzi prolungati, perlomeno guidando da soli e privi di bagaglio. Se avevamo qualche dubbio sul singolo disco anteriore della Honda, ce lo siamo velocemente levato verificandone la buona tenuta e modulabilit&agrave;, accompagnate da una potenza non da riferimento. Chi si &egrave; comportato benissimo sono state Yamaha e BMW, capaci di decelerazioni molto efficaci e ben assistite dai reattivi impianti ABS.

 Alpen Master 2012: medie stradali, BMW F 800 R, Honda NC 700 S, Kawasaki ER-6n, Yamaha TMax

Per il 2012 la Casa di Akashi ipoteca il primato della moto pi&ugrave; potente con la nuova ZZR 1400, che oltre all&rsquo;eccezionale propulsore stupisce per l&rsquo;ottimo comportamento della ciclistica. L&rsquo;abbiamo portata (quasi) al limite a Nard&ograve;  &nbsp;  Pesantemente castigati da sistemi Tutor, rilevatori al laser e colonnine Autovelox, gli amanti della velocit&agrave; da qualche tempo hanno dovuto raffreddare i propri bollenti spiriti, rassegnandosi ad andature rispettose dei limiti. Kawasaki, invece, non pare curarsi troppo di limiti e controlli e aggiorna la gi&agrave; esuberante ZZR 1400 con modifiche mirate proprio a migliorarne il comportamento in accelerazione e alle alte velocit&agrave;. Questa moto voluminosa, lunga e non troppo leggera, &egrave; in grado di dare soddisfazioni particolari, grazie a una ciclistica estremamente sincera e precisa, una maneggevolezza migliore di quel che si potrebbe pensare e un motore esageratamente generoso e potente. Un ben noto spot pubblicitario recitava: &ldquo;la potenza &egrave; nulla senza controllo&rdquo;, parole azzeccatissime anche per la ZZR 1400, che mette l&rsquo;elettronica a bada dei propri 200 CV offrendo una doppia mappatura della centralina e il controllo di trazione KTRC regolabile su tre livelli, oltre all&rsquo;ormai quasi scontato ABS. Il risultato &egrave; una moto che ha tanta potenza e un peso non indifferente, ma risulta perfettamente gestibile, relativamente maneggevole e pienamente in linea col proprio ruolo da sport tourer, oltre ad essere capace di raggiungere in un attimo i 299 km/h (autolimitati).  DA FERMO  I volumi non certo ridotti di questa Kawasaki stabiliscono subito un certo rispetto da parte di chi la osserva, mentre il profilo piuttosto basso la fa sembrare decisamente pi&ugrave; lunga di quella che effettivamente misura. Nella vista frontale si evidenziano i nuovi gruppi ottici, che ora sono due, lunghi e sottili, ognuno con due proiettori all&rsquo;interno, mentre il resto della carena non presenta variazioni di spicco, se non alcuni accorgimenti aerodinamici. Restano quindi il cupolino largo e basso con la voluminosa presa d&rsquo;aria dinamica centrale e gli ampi sfoghi d&rsquo;aria del radiatore dotati di vistose alettature. Alettature simili appaiono anche sui supporti degli specchi retrovisori e sulle protezioni della forcella e sono il frutto di attenti studi aerodinamici per migliorare la stabilit&agrave; alle alte velocit&agrave;. Il corpo centrale della moto si assottiglia parecchio per cercare la migliore abitabilit&agrave; per il pilota, mentre la parte posteriore torna a diventare voluminosa per la presenza dei due imponenti terminali di scarico. In opzione a questi, la Casa propone come accessorio due terminali Akrapovic in titanio, che permettono un risparmio di peso di 7 kg. Anche il comfort sulle lunghe percorrenze &egrave; stato particolarmente curato tramite l&rsquo;adozione di una sella di nuova conformazione, il riposizionamento delle pedane e l&rsquo;offerta di un cupolino pi&ugrave; protettivo dotato di spoiler. Per parcheggiarla ci si deve accontentare della stampella laterale, perch&eacute; il cavalletto centrale &egrave; fornito solo su richiesta. Il colore non poteva essere altro che il classico verde della Casa in una bella versione metallizzata, che in alternativa ha solo un pi&ugrave; elegante nero.    &nbsp;  IL TEST  Per mostrare appieno le notevoli doti propulsive e ciclistiche della ZZR 1400, la Casa di Akashi non poteva fare scelta migliore che portarci al Technical Center di Nard&ograve;, nei pressi di Taranto, complesso dotato di oltre 75 km di piste dedicate allo sviluppo e test di veicoli a motore, unico in Europa grazie ad un anello di velocit&agrave; di circa 12 km di lunghezza. L&rsquo;anello &egrave; composto da 4 corsie per auto e moto, progressivamente inclinate per poter guidare fino ai 240 km/h come se si fosse in un rettilineo infinito. Noi di In Moto, primi tra le riviste di settore, abbiamo iniziato a frequentare questo impianto &ldquo;nel secolo scorso&rdquo; (1995) tornandoci regolarmente anche per i nostri record di velocit&agrave; con Pirelli e la Suzuki Hayabusa, e qualcuno ricorder&agrave; la prima foto dello strumento a 300 orari con la macchina fotografica montata sulla piastra della forcella della Honda CBR 1100 XX. Il programma del test prevede l&rsquo;esperienza decisamente unica di percorrere qualche giro dell&rsquo;anello a velocit&agrave; crescente, fino a restare a gas spalancato in sesta! A parte il fatto che non capita tutti i giorni di guidare una due ruote da 200 CV, quello che ci fa pensare &egrave; il restare a 299 km/h per cos&igrave; tanto tempo, in un ambiente diverso da tutto ci&ograve; a cui siamo abituati. La curiosit&agrave;, mescolata a un po&rsquo; di apprensione, si fa sempre pi&ugrave; forte. Il rispettabile peso di 268 kg dichiarati non riesce a nascondersi sotto alla carena di questa super Kawa e al primo contatto da ferma non pare troppo amichevole. Basta per&ograve; montare in sella per trovare un ottimo comfort e due semimanubri che non sono cos&igrave; bassi come pensavamo. Per stringere i lati di serbatoio e carena le gambe sono costrette in una posizione un po&rsquo; aperta, in compenso le pedane sono comode e lasciano le ginocchia poco piegate. Anche il manubrio risulta comodo perch&eacute;, non troppo lontano dalla sella, permette al busto di non doversi inclinare troppo in avanti, sgravando molto peso da braccia e polsi. Teniamo a precisare che stiamo ragionando sui parametri relativi a una sport touring e non su quelli di una vera turistica. Cos&igrave; da fermi, il cupolino pare largo, ma molto basso per poter offrire grande protezione, ma nel corso della prova ci ricrederemo. La sella &egrave; sufficientemente bassa per permettere un buon appoggio a terra dai nostri 175 cm di statura, ma la massa della moto non ci rende la vita facile se cerchiamo di manovrare restando in sella, cos&igrave; in alcuni casi preferiamo scendere per fare retro, situazione in cui manca un&rsquo;ampia maniglia.  UNA VOLTA messo in moto manovriamo con un po&rsquo; di attenzione (il peso si sente...) per uscire dal parcheggio e alle bassissime andature gas e frizione ci vengono incontro con una modulabilit&agrave; perfetta, che trasmette un immediato feeling. Aumentando leggermente l&rsquo;andatura il peso scompare per buona parte, lasciando il posto a un facile e intuitivo controllo della moto. Le sospensioni lavorano parecchio sulle asperit&agrave; regalando parecchio comfort, ma filtrando parzialmente anche le sensazioni che arrivano dall&rsquo;asfalto. Nonostante questo setting tendente al morbido, il buon sostegno di mono e forcella contiene alla grande i trasferimenti di carico, anche nelle corposissime accelerazioni e nelle frenate pi&ugrave; decise. Proprio per provare questo tipo di comportamento ci spostiamo in un&rsquo;apposita area di Nard&ograve; dove effettuiamo accelerazioni e frenate. Qui proviamo una dozzina di lanci a gas spalancato, o perlomeno ci proviamo ad aprirlo tutto! La ZZR ci spara ogni volta fuori dalla linea di partenza come una fionda e rispetto ai tentativi da fermo, in cui modulare 200 CV con la frizione non &egrave; cosa immediatamente facile, restiamo impressionati dalle partenze lanciate a 40 km/h in seconda, dove la progressione del contagiri dai 4.000 agli 11.000 giri &egrave; impressionante, tanto che sembra di essere su un dragster. Un punto assolutamente positivo della ZZR &egrave; il sistema ABS, che ci ha dato uno dei migliori feeling di sempre, grazie a un intervento davvero poco invasivo, che trasmette ottima confidenza e permette, dopo qualche tentativo, di effettuare frenate al limite a 200 km/h con grande scioltezza. Anche se gli spazi di frenata saranno influenzati dal peso, il comportamento in staccata &egrave; da 10 e lode, grazie anche al buon sostegno della forcella e all&rsquo;ottima modulabilit&agrave; e potenza della leva al manubrio. Dopo un lancio di qualche chilometro, sulla terza corsia dell&rsquo;anello abbiamo provato la velocit&agrave; massima. Gli spazi enormi del circuito e l&rsquo;ottima stabilit&agrave; della ZZR fanno sembrare i 200 km/h una tranquilla andatura da viaggio autostradale. Ci stupisce anche quanto poco basti abbassarsi per essere protetti dal cupolino e viaggiare rilassati! Aprire il gas a manetta a questa velocit&agrave; e con la sesta inserita vuole dire trovarsi con la lancetta sui 270 orari in un attimo e con la moto che ancora fila via bella liscia. Abbiamo raggiunto il confine oltre il quale la faccenda si fa pi&ugrave; impegnativa. Da qui in poi l&rsquo;ago rallenta la sua corsa e l&rsquo;avantreno comincia a mostrare qualche imprecisione. Si arriva comunque in fretta oltre il fondoscala, fin quando il limitatore comincia a intervenire a ripetizione per tenerci a 299 km/h, con il propulsore che ne avrebbe ancora e urla bloccato a 11.000 giri. Il busto &egrave; sdraiato sul serbatoio, ma il casco possiamo permetterci di tenerlo un po&rsquo; sollevato per vedere meglio innanzi a noi. La moto non vibra pi&ugrave; di tanto, ma serpeggia leggera e costante, richiedendo attenzione. Oltretutto siamo oltre la velocit&agrave; di compensazione della pista, quindi dobbiamo pensare anche a curvare leggermente a sinistra. Stiamo percorrendo 83 metri al secondo e tre chilometri di pista ce li beviamo in circa 40 secondi. Si tratta di una dimensione che non si pu&ograve; conoscere altrove. La pista di handling &egrave; un tracciato dalle varie configurazoni, che nel nostro caso si presenta con un lungo rettilineo e un tratto guidato che alterna curve lente e veloci. Adottando una guida sciolta e pulita, la ZZR risponde in maniera molto coerente. Relativamente veloce nei cambi direzione, richiede pi&ugrave; impegno per arrivare alla corda a centro curva e mantenere la traiettoria. La ciclistica resta comunque precisa e non accusa movimenti o perdite di assetto. Il propulsore &egrave; un vero portento visto che dai 4.000 giri fornisce una montagna di coppia e una progressione impressionante. Proviamo a percorrere il tratto misto con una sola marcia, seconda, terza o quarta e la cosa non cambia, perch&eacute; in uscita dalle curve continuiamo a gustarci accelerazioni corposissime. Facciamo qualche tentativo col KTRC: a livello 3 &egrave; troppo invasivo e taglia violentemente in uscita di curva alterando l&rsquo;assetto, mentre a livello 2 o 1 si mostra pi&ugrave; adatto alla guida sportiva intervenendo solo in caso di evidenti perdite di aderenza e limitando in maniera molto utile le impennate in uscita dalle curve lente. La ZZR non &egrave; pensata per un uso spinto in pista e risente principalmente del limite dato dal notevole peso. Le staccate e gli ingressi in curva sono le fasi che richiedono pi&ugrave; accortezza e dopo pochi giri la corsa della leva destra si allunga. Il freno posteriore ha buona sensibilit&agrave; per la pista e proprio per questo ci fa pensare che nell&rsquo;uso a pieno carico possa essere poco potente, ma avremo modo di appurarlo meglio in futuro.  

Kawasaki ZZR 1400

Non di soli tempi in pista si vive, ma la BMW convince anche per altri motivi  Il fine ultimo non era definire la moto pi&ugrave; veloce sul giro, bens&igrave; cercare quella che mediamente si comporta meglio in mano a tester diversi, tenendo ben presente anche le caratteristiche che deve avere la moto ideale per un utilizzo stradale. La classifica quindi &egrave; frutto di queste considerazioni, come anche del prezzo di acquisto, una variabile che oggi risulta quanto mai importante. Nazioni diverse e stili diversi, ma ancora una volta c&rsquo;&egrave; un&rsquo;opinione comune: indipendentemente dai tempi ottenuti la moto migliore di questa prova &egrave; la BMW. Le sue prestazioni sono inavvicinabili, anche se per fare la differenza in pista serve un pilota esperto. Ma &egrave; l&rsquo;assieme di tutte le sue caratteristiche a convincere, razionale in ogni sua scelta, disponibile con tantissimi accessori a corredo, utilizzabile anche per strada e dotata di tutte le soluzioni che possono risultare un valido contributo alla sicurezza attiva.  1&deg;&nbsp; classificata: BMW I tempi sul giro la dichiarano la pi&ugrave; veloce sia in mano a piloti che a comuni mortali. La qualit&agrave; poi non si discute, tantomeno la dotazione tecnica e l&rsquo;affidabilit&agrave;. Per averla full optional bisogna spendere, ma si viene ripagati dalle prestazioni. Attenzione solo ai pruriti del polso destro.  2&deg;classificata: Kawasaki La verdona ha realizzato il secondo tempo assoluto, e ben si &egrave; comportata in mano a tutti i tester, che hanno lamentato solo un motore meno pieno di altri ai medi regimi e un minor feeling. La dotazione tecnologica &egrave; pi&ugrave; che completa, a un prezzo alto ma non esorbitante. L&rsquo;utilizzo su strada &egrave; a largo spettro.  3&deg; classificata: Honda Per alcuni tester &egrave; la seconda classificata, per via della facilit&agrave; di guida che le permette di rivaleggiare in pista anche con avversarie pi&ugrave; dotate di cavalli e tecnologia. Terza quindi a un&rsquo;incollatura, pi&ugrave; che altro per alcune mancanze che dispiacciono su una moto presentata nel 2012.  4&deg; classificata: MV Agusta Per look e componentistica sarebbe la prima classificata, e le prestazioni in pista sono da podio, ma solo se messa nelle mani giuste. L&rsquo;esclusivit&agrave; si paga cara e un eventuale uso per strada implica grosse limitazioni. Da rivedere anche qualche parametro della mappa motore.  5&deg; classificata: Yamaha Facile da guidare in scioltezza, un po&rsquo; meno da portare al suo limite. Le prestazioni sono allineate alle rivali, ma leggermente inferiori. In pista servirebbe una ciclistica pi&ugrave; sostenuta, su strada un motore e un impianto di scarico che scaldassero di meno. Manca l&rsquo;ABS e il prezzo d&rsquo;acquisto &egrave; alto. n

Comparativa 1000 sportive - finale -BMW S 1000 RR - Honda CBR1000RR C-ABS - Kawasaki ZX-10R - MV Agusta F4 RR - Yamaha YZF-R1

Colori vivaci, soluzioni intelligenti e anticonformiste, manca giusto un maggiore equilibrio fra le linee dell&rsquo;anteriore e del posteriore  Al momento della pubblicazione dei dati tecnici nella Ninja tutti gli addetti ai lavori rimasero stupiti. Fu subito chiaro che i tecnici di Akashi avevano cercato di spremere le &ldquo;vecchie&rdquo; misure di alesaggio e corsa fino all&rsquo;osso alla ricerca di pi&ugrave; cavalli. Il motore &egrave; nuovo come disegno e inconsueto come scelte progettuali a partire dal collocamento della frizione e degli alberi del cambio (estraibili), mancano alcune soluzioni all&rsquo;ultimo grido: niente trombette di aspirazione a geometria variabile o distribuzione a dito, presenti invece condotti di aspirazione allargati, airbox pi&ugrave; capiente e pistoni pi&ugrave; leggeri. Il lavoro svolto &egrave; encomiabile: per aumentare la potenza serve aumentare il regime di rotazione utile e con una misura di alesaggio limitata a soli 76 mm la velocit&agrave; media del pistone si impenna, a parit&agrave; di regime di potenza massima Kawasaki ha addirittura 23,8 m/s contro i 21,5 m/s di BMW. Da questo punto di vista il motore Kawasaki &egrave; il pi&ugrave; stressato di tutti, e con sezioni di passaggio della miscela aria-benzina limitata dal diametro delle valvole, la coppia non pu&ograve; crescere pi&ugrave; di tanto. Ma i cavalli ci sono e pure tanti. E sono imbrigliati da una ciclistica pi&ugrave; tradizionale rispetto al modello precedente, infatti il telaio in alluminio doppio trave abbraccia il motore e non ci passa pi&ugrave; sopra. Inusuale &egrave; invece il posizionamento dell&rsquo;ammortizzatore, in pratica orizzontale e completamente sopra al forcellone, in questo modo l&rsquo;impianto di scarico &egrave; stato realizzato con minori vincoli, a tutto vantaggio della fluidodinamica in uscita. La Ninja &egrave; la pi&ugrave; elettronica delle giapponesi, difatti integra al pari di Honda un evoluto sistema ABS, e al pari di Yamaha il sistema di controllo di trazione settabile su tre livelli con un software molto complesso per arrivare a &ldquo;predire&rdquo; le perdite di trazione partendo da pochi parametri acquisiti: velocit&agrave; delle ruote, giri del motore, posizione della valvola a farfalla, accelerazione istantanea. Il sistema S-KTRC si integra poi a tre diverse mappature di gestione motore: &ldquo;full&rdquo; e &ldquo;medium&rdquo; con la stessa potenza ma diversa erogazione, e la pi&ugrave; docile &ldquo;low&rdquo;che fornisce circa 60 CV in meno.    IN MARCIA I 200 cavalli dichiarati all&rsquo;albero, che dovrebbero addirittura diventare 209,9 con airbox in pressione, sono francamente un po&rsquo; ottimistici, ma ad ogni modo la prova al banco ha mostrato una potenza invidiabile. Una volta in pista non si percepisce quella spinta violenta che ci si aspetterebbe, in effetti la coppia &egrave; in alto e per accelerazioni mozzafiato bisogna vedere i led rossi del contagiri e insistere fino al limitatore, quasi fosse una moto di cilindrata inferiore. Ma guidando in questo modo la velocit&agrave; cresce in fretta, tant&rsquo;&egrave; che, dati alla mano, la Ninja &egrave; la moto che perde meno dalla BMW nel lungo rettifilo del circuito teatro della nostra prova. E come nei rettilinei anche nelle curve la Ninja non d&agrave; mai l&rsquo;idea di essere la prima della classe, ma i responsi cronometrici la mettono sempre nelle prime posizioni. La posizione in sella, con un quadro strumenti e un cupolino che appaiono &ldquo;lontani&rdquo;, non sembra quella di una racer pura e le sensazioni trasmesse dai semimanubri appaiono sempre un po&rsquo; ovattate. Non &egrave; una moto che istiga alla guida cattiva, a cominciare dalla frenata, dove un assetto molto carico sull&rsquo;anteriore per dare agilit&agrave; mette un po&rsquo; in crisi prima la forcella poi il sistema ABS, che nelle staccate pi&ugrave; violente allunga gli spazi di frenata. Meglio quindi anticipare un pelo la frenata, e poi magari insistere a freni tirati fino a centro curva, frangente nel quale la Ninja si lascia guidare senza difficolt&agrave;. Poi la Kawasaki si fa largo in uscita di curva, dove sente molto i trasferimenti di carico. Il peso sulla gomma posteriore regala tanto grip, la coppia del motore abbastanza diluita permette di aprire con decisione, al punto che il controllo di trazione ben difficilmente si attiva. Il risultato &egrave; una accelerazione decisa, con al limite una certa tendenza ad allargare le traiettorie che va contrastata di fisico, dovuta al progressivo alleggerimento dell&rsquo;anteriore. Volendo chiedere qualcosa di pi&ugrave; alla ZX-10R ci orienteremmo non tanto al motore, basta usarlo al meglio, quanto alle sospensioni, con una forcella pi&ugrave; sostenuta per una maggiore aggressivit&agrave; in frenata, e un ammortizzatore pi&ugrave; &ldquo;controllato&rdquo; di idraulica.

KAWASAKI ZX-10R

Sul circuito di Almeria, il meteo clemente ci ha permesso di mettere alla frusta le maxisportive del 2012. Piccole e grandi modifiche pensate dalle Case per detronizzare l&rsquo;Aprilia RSV4 vincitrice lo scorso anno. Arriva la Kawasaki, mancano la Suzuki GSX-R 1000 e la Ducati 1199 Panigale  Ci sar&agrave; anche la crisi, ma qualcosa bisogna pur fare, direbbe qualcuno! Il mercato delle sportive anni fa era una miniera d&rsquo;oro per le Case, e oggigiorno non rinuncia al suo prestigio, anche se crisi economica, costo dei carburanti, condizioni delle strade e limiti di velocit&agrave; raffreddano parecchi bollori. Ma gli appassionati restano e le piste continuano ad attirare. Anzi quasi tutti hanno capito ormai che &egrave; solo l&igrave; che certe moto possono essere godute, e solo l&igrave; si pu&ograve; dare libera soddisfazione alla voglia di guida sportiva, nell&rsquo;impianto sportivo dedicato a questa attivit&agrave;, come un campo da tennis, una pista di atletica ecc... Anno dopo anno le moto diventano pi&ugrave; performanti, anche sotto la spinta tecnologica di un mondiale Superbike sempre pi&ugrave; seguito, e in effetti sono tante le Case che propongono per il 2012 maxisportive rinnovate. BMW ha lavorato di fino e in profondit&agrave; per regalare un po&rsquo; di agilit&agrave; a una moto tremendamente performante e, come se non bastasse, ha migliorato anche la gestione del motore. Ciclistica profondamente rivista per Honda, mentre Kawasaki non presenta novit&agrave; ma finalmente possiamo mettere alla prova la ZX-10R introdotta a 2011 avanzato. MV invece ha rinnovato profondamente a livello di motore la sua F4 RR. Infine per Yamaha da segnalare l&rsquo;adozione di un avanzato sistema di controllo della trazione e di piccoli ma fondamentali ritocchi al setting delle sospensioni. Forza, si parte anche quest&rsquo;anno, vediamo come va a finire. 

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