Claudio Torri, l'uomo con l'aquila nell'anima: "La V85 TT? Bella, era ora!"

Claudio Torri, l'uomo con l'aquila nell'anima: "La V85 TT? Bella, era ora!"

La colorazione della Moto Guzzi V85 TT è un omaggio alla V65 portata alla Dakar del 1985 da un architetto bergamasco protagonista di un’avventura tutta italiana

Federico Porrozzi

31.03.2020 13:16

 

Ci racconta cosa l’ha spinta a correre la Paris-Dakar del 1985 con la V65 TT?

"Dopo aver partecipato a due Rally dell’Atlas in Marocco, due Rally dei Faraoni in Egitto e a una Parigi-Dakar sempre in sella a una KTM, ed essendo rimasto solo (il mio amico “Ciro” De Petri era passato alla Honda), decisi di cambiare, provando a personalizzare io stesso una moto. In base all’esperienza che avevo accumulato, volevo correre con una moto italiana e questa non poteva che essere una Moto Guzzi. Per il mio modo di guidare, avevo capito che la scelta migliore era passare ad una bicilindrica: con una monocilindrica ero costretto a tenere sempre il gas aperto per non perdere velocità, mentre con la bicilindrica, grazie soprattutto a una migliore coppia, potevo rallentare per poi riprendere velocità più facilmente. La scelta del modello è stata obbligata: ho preso quello che offriva il mercato, in considerazione anche del pochissimo tempo a disposizione per prepararla e presentarmi alla partenza. Ah, vorrei evidenziare il fatto che nelle mie esperienze ho avuto incidenti terribili, mentre, quando sono stato in sella alla Guzzi, solo normali cadute".

Quali erano i punti di forza di questa moto?

"La leggerezza. Era la meno pesante delle bicilindriche. E, per risparmiare ancora più peso, montammo il cambio Nato che ci permetteva di aver la messa in moto a pedale, evitando il motorino d’avviamento. La V65 partiva sempre alla prima pedalata ed era una libidine per uno come me, che veniva dall’esperienza del mono Rotax 560. Inoltre, la Guzzi consumava poco e questo ci permetteva di imbarcare meno benzina e viaggiare più leggeri o di non doverci fermare a fare rifornimento durante le prove speciali. La disposizione a V del motore consentiva un buon raffreddamento e un baricentro abbastanza basso. A livello meccanico, aveva una buona accessibilità e una facile manutenzione".

Una moto che ha sentito “sua” fin dai primi metri...

"Salii per la prima volta sulla moto in occasione del prologo di Cergy-Pontoise, vicino Parigi, perché prima non avevo avuto il tempo di provarla e rimasi sorpreso dal suo comportamento, nonostante fosse quasi di serie. Su piste con fondo duro era veloce anche se aveva qualche limite di ciclistica, mentre i cavalli limitati si facevano sentire su quelle di sabbia. Fino al giorno di riposo ad Agadez riscontrammo solo piccoli contrattempi, nessun problema di motore né di cambio. Senza l’inconveniente alla batteria, penso che la moto sarebbe arrivata senza problemi a Dakar".

E quali erano, invece, i difetti?

"Esistevano solo due grandi limiti: il telaio che sarebbe dovuto essere di tipo fuoristradistico per le grandi sollecitazioni a cui era sottoposto e la trasmissione posteriore a cardano che limitava l’escursione della sospensione posteriore. Poi sappiamo tutti che i piloti non si accontentano mai, soprattutto in una gara dura come la Dakar: avrei voluto anche più potenza, più coppia e un cambio con una spaziatura diversa con la prima, la seconda e la terza marcia lunghe e la quarta e la quinta più ravvicinate...".

 

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