Suzuki RE 5 Wankel, prestigio e illusione

Presentata nel 1974 e annunciata come una moto rivoluzionaria, la Suzuki RE 5 Wankel divise subito i tecnici di settore

Giorgio ScialinoGiorgio Scialino

20 giu 2019 (Aggiornato alle 12:03)

Primario obiettivo della Suzuki, all’inizio degli anni ’70, era realizzare un’ammiraglia che affiancasse la tricilindrica GT 750, con l’intento di contrastare la supremazia consolidata di Honda e Kawasaki. Le maestranze Suzuki videro nel motore a pistone rotante un’ottima opportunità per realizzare una granturismo esclusiva ed innovativa di elevata potenza.

LA SUZUKI PERSEGUÌ L'OBIETTIVO CON TUTTE LE SUE FORZE, allestendo apposite catene di montaggio dedicate e poi testando a lungo la nuova moto percorrendo migliaia di chilometri nelle situazioni più estreme. I risultati furono ottimi, al punto che quando la moto apparve per la prima volta al Salone di Tokyo del 1974, venne proposta con una garanzia integrale di un anno, oppure di 12.000 miglia.

IL MOTORE DELLA RE 5 era prodotto su licenza della tedesca NSU e aveva dalla sua una completa assenza di vibrazioni e un’erogazione molto fluida. Ottime qualità per una gran turismo. Per contro consumava molto, era quasi priva di freno motore e le sue prestazioni non erano eccezionali come ci si aspettava: arrivava a stento a 180 km/h.

OLTRE A QUESTE NON TRASCURABILI EVIDENZE, e nonostante i lunghi e severi collaudi, la moto, purtroppo, si portava appresso tutti i difetti intrinsechi in questo tipo di motore: era lenta a salire di giri aprendo il gas a fondo, scaldava in modo esagerato, i segmenti di tenuta tra rotore e statore si usuravano in fretta, così come le pareti interne dello statore (nonostante un riporto superficiale in tungsteno), e il Mikuni a doppio corpo di cui era dotata aveva grossi problemi di carburazione ai medi regimi.

DI NEGATIVO c’era anche un notevole ingombro verticale del motore e l’invadente e imponente radiatore necessario per le elevatissime temperature sviluppate in esercizio. Basti pensare che per evitare ai collettori di scarico di diventare incandescenti e proteggere le gambe da un eventuale contatto è stato necessario inserirli all’interno di un’altra struttura dotata di presa d’aria dinamica. Insomma, il motore che sulla carta appariva eccezionale, alla fine non risultava all’altezza delle aspettative.

GIÀ AL SUO ESORDIO la moto ricevette pochi consensi da parte del pubblico. La linea non convinceva e a nessuno piaceva la strumentazione racchiusa nel futuristico cilindro di plexiglas e alluminio disegnato da Giugiaro. Tanto meno le frecce sferiche e il gruppo ottico posteriore anch’esso di forma cilindrica.

OGGI LA STORIA È CAMBIATA e sono questi dettagli a fare la gioia dei collezionisti. Sulla seconda serie, uscita l’anno successivo e denominata B, i tecnici si prodigarono per quanto possibile per eliminare i difetti di gioventù. Venne anche sostituita la strumentazione, la luce posteriore e altri dettagli in favore di scelte più convenzionali, ma le vendite non aumentarono, anche perché, con i suoi 2.856.000 Lire nel ’75, la moto risultava costosa rispetto alla concorrenza.

IN ITALIA NE VENNERO VENDUTE CIRCA 80, quasi tutte della prima serie, e dopo meno di due anni l’unica moto di serie giapponese con motore Wankel fu tolta dal listino.

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