Abbiamo affrontato il tema della visibilità delle moto nel traffico e dell’attenzione alla guida con uno psicologo: molto si potrebbe fare, soprattutto per l’annoso problema degli automobilisti che spesso non vedono le moto
Sebastian Will, psicologo, lavora per il Würzburg Institute for Traffic Sciences (WIVW), un ente di ricerca che si occupa di approfondire il fattore umano e l’interazione umana con le macchine, in particolar modo nel settore auto e moto. Ci si era incontrati in Germania, a un evento del Connected Motorcycle Consortium, ed è stato naturale risentirsi per approfondire con un’intervista per In Moto.
“Ho iniziato a studiare psicologia nel 2008 – racconta Sebastian in videocall - e quando ero ancora studente sono finito a fare l’assistente per il mio professore, che si occupava di psicologia del traffico. Il comportamento del conducente era il nostro topic principale, lo analizzavamo per creare modelli e capire come evitare i comportamenti pericolosi. Nel 2012 sono stato assunto al WIVW, e ho continuato il mio percorso universitario, perché le due realtà sono molto vicine. Da allora ho il piacere di lavorare esclusivamente su temi legati all’uso della moto, con il ruolo di project manager. Lavoriamo molto con produttori di parti per veicoli, che ci chiedono, ad esempio, come far si che determinati messaggi di warning dal veicolo arrivino al conducente. E lavoriamo anche con organismi nazionali e internazionali, a livello europeo. Aggiungo che sono motociclista convinto, sin dall’età di 14 anni, quando lo scooter è stato il mio primo grado di libertà, aiutandomi a uscire dalla casa di campagna nella quale vivevo”.
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Come possiamo aumentare la sicurezza di marcia?
“Ci sono degli studi che dimostrano come un guidatore che abbia sia la patente auto che moto è più bravo ad anticipare uno scenario critico, perché ha la capacità di cambiare il punto di vista, di vedere le cose sia da automobilista che da motociclista. Prendiamo il caso di un possibile scenario di incidente, con collisione fra un’auto e una moto. Se ognuno fosse in grado di cambiare punto di vista e capire quello dell’altro, valutando come la situazione si sta evolvendo, tutti avrebbero una risposta più pronta ed efficace. Si dovrebbe lavorare su questo in fase di conseguimento della patente, perché potrebbe aiutare molto, e questa cosa dovrebbe valere per tutti: pedoni, ciclisti, motociclisti, automobilisti e conducenti di mezzi pesanti”.
“Una seconda azione da intraprendere sarebbe l’utilizzo di differenti spunti sensoriali. Un incidente tipico è SMIDSY, un acronimo che sta per: sorry mate I didn’t see you, scusa amico non ti ho visto. In pratica è molto frequente che qualcuno provochi un incidente perché non si accorge di un altro veicolo in rotta di collisione”.
“Succede con i guidatori d’auto, che potenzialmente potrebbero vedere una moto, perché non ci sono ostacoli fisici che riducono la visuale, e nonostante questo non la vedono. Si possono ovviamente indossare vestiti colorati e dotati di bande riflettenti, ma si potrebbe anche standardizzare un unico concetto di fanale anteriore delle moto. Dieci anni fa tutti i mezzi a due ruote sono stati obbligati ad avere le luci diurne. In questo modo gli automobilisti quando vedevano un faro acceso che si avvicinava di giorno, capivano subito che si trattava di una moto. Poi lo stesso obbligo delle luci diurne è stato esteso alle auto, e si è perso l’effetto pop-up, le moto sono tornate a essere poco riconoscibili. Ora si stanno facendo molti esperimenti: in Francia ad esempio hanno pensato gruppi ottici anteriori a forma di T, estesi lungo manubrio e forcella. Ma magari basterebbero anche delle luci gialle per le moto”.
“Il terzo aspetto importante è sicuramente la soluzione dei veicoli connessi, che si scambiano informazioni sulle modalità di marcia per evitare situazioni di pericolo”.
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Cos’è invece che distrae maggiormente il motociclista quando guida?
“Un problema è se l’HMI (Human Motorcycle Interface), attraverso la quale il motociclista interagisce con la propria moto, è progettata male, e le persone debbono entrare magari in tre diversi livelli di menu per trovare il parametro che vogliono modificare. Questo richiede troppi passaggi sul dashboard, ed è controproducente. È dunque fondamentale mantenere un basso numero di input per queste operazioni. E se avete un ‘Ride mode’ button, e potete intervenire solo spingendo quel bottone, ma anche se avete una strumentazione con icone ampie, e magari un settore ben definito, come quello in alto, riservato al dialogo fra macchina e pilota, questo non sarà controproducente. Questo è uno dei temi che qui in WIVW curiamo per conto delle aziende che producono dashboard”.
“Per quanto riguarda gli altri comportamenti che distraggono, fatica, stanchezza mentale, noia, abbiamo delle evidenze, ma solo in campo auto. E. non si può fare copia/incolla di quelle ricerche, perché auto e moto sono troppo differenti. La ricerca in campo motociclistico invece credo sia solo all’inizio”.
C’è un tema che sta disturbando molto i motociclisti, ed è l’invasività di dotazioni elettroniche che pure sono utili ai fini della sicurezza. Come si può superare questo scoglio?
“C’è un qualcosa che credo sia molto importante per l’accettazione di questi sistemi. La moto dovrebbe capire bene il pilota quando c’è un vero positivo, vale a dire un vero motivo per far intervenire il Forward Collision Warning perché il pilota è distratto, riconoscendo invece altre situazioni, nelle quali chi guida sta volutamente scorrendo nel traffico o si sta preparando a effettuare un sorpasso. Credo sia importante che il pilota possa settare un livello di sicurezza ben specifico, perché il sistema intervenga, senza che sia invasivo a livelli inferiori. O la moto dovrebbe essere in grado di apprendere da sola di che tipo e livello di assistenza ha bisogno il suo pilota. Questo sarebbe molto utile, ma siamo molto molto lontani ancora. Però questo sarebbe il modo giusto per incrementare la sicurezza senza ridurre il piacere di guida. Ma è solo una mia opinione”.
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