Fulmini sul passaggio all’elettrico: nel 2030 a rischio 500mila posti di lavoro

Fulmini sul passaggio all’elettrico: nel 2030 a rischio 500mila posti di lavoro

Si infiamma la discussione sulla proposta della Commissione Europea di vietare la vendita di auto e furgoni che emettono CO2 a partire dal 2035. Si perderanno 500mila posti di lavoro, dicono le industrie dell’indotto. Ma anche il mondo politico sembra essersi accorto che la proposta va rivista. E intanto si studiano gli E-fuels

10.12.2021 15:43

Sono tanti i motivi per pensare che 13 anni sono troppo pochi per convertire l’intera produzione di veicoli in elettrici. Non a caso recentemente anche il Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, ha affermato che l’Italia chiederà una revisione di questa proposta avanzata dalla Commissione Europea. Proprio per venire incontro alle esigenze dell’industria italiana dell’Automotive. Ed è per le stesse motivazioni che Italia e Germania, i due paesi europei che hanno l’industria automobilistica più forte, non hanno ratificato l’accordo raggiunto al COP26, la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, recentemente tenutasi a Glasgow.

Insomma, sono in molti a rendersi conto che l’annunciato stop alla vendita di auto e furgoni con motore termico a partire dal 2035 è stato avventato. L’ultimo in ordine di tempo è stato Paolo Gentiloni, commissario europeo agli affari economici, che ha auspicato un profondo miglioramento del progetto da parte degli stati europei, chiamati ora a discuterlo.

Da parte del mondo industriale, l’Acea, l’Associazione Europea dei Costruttori di Automobili, attraverso un “Position Paper” chiede di posticipare al 2028 la decisione sulla transizione elettrica obbligata dal 2035 per le automobili. A influenzare la decisione, secondo i costruttori di auto, dovrebbe intervenire l’avvenuta o meno realizzazione di una rete capillare di colonnine di ricarica. Viste le carenze che ci sono al momento.

Paradossalmente chi sarebbe favorevole a questa svolta sono i produttori di supercar, almeno a giudicare dalla presa di posizione di Oliver Blume, il CEO della Porsche, secondo il quale tutte le case sono chiamate a combattere le emissioni inquinanti. E ha aggiunto che le prestazioni dell’elettrico a breve surclasseranno quelle del motore termico.

Di certo i produttori di supercar sono in grado di affrontare i costi dello switch all’elettrico, anche perché probabilmente potranno scaricarli sul cliente finale. E la facilità di avere 1000 e più cavalli su un’auto, convincerà anche i clienti con la maggiore ritrosia a passare all’elettrico.

Chi avrà più problemi sarà invece chi sarà chiamato a offrire ai suoi clienti un veicolo che funzioni bene, che abbia un’autonomia accettabile, tempi di ricarica veloci e che non costi un occhio della testa. Ecco perché per noi del mondo della moto, l’elettrico è un po’ più difficile da digerire in tempi stretti.

Attenzione però alle ricadute sul mondo del lavoro!

L’allarme: si perderanno 500mila posti di lavoro

L’ultimo allarme per l’annunciata rivoluzione elettrica lo ha lanciato Clepa, l’Associazione Europea dei Fornitori Automobilistici, le aziende dell’indotto. Se si proseguirà con il progetto Fit for 55, in Europa si perderanno 500mila posti di lavoro nel settore automotive, il 70% dei quali salteranno già fra il 2030 e il 2035.

Lo dice uno studio commissionato a PwC Strategy&, che ha preso in esame diversi scenari possibili. Lo stesso studio ammette anche che la conversione all’elettrico di suo porterà nuovi posti di lavoro, ma se ne prevedono solo 226mila; molti meno di quanti se ne perderanno. E chi pagherà di più saranno proprio le aziende dell’indotto, legate da contratti a lungo termine alle case automobilistiche, che impediranno loro di reagire con flessibilità a questa disruption.

La soluzione sarebbe allora consentire un periodo di convivenza fra veicoli elettrici e veicoli con motore termico alimentato da carburanti alternativi. In questo modo si potrebbe ridurre l’emissione di CO2 del 50% già entro il 2030, salvaguardando i posti di lavoro e generando ulteriore ricchezza.

Il nodo E-fuels

I carburanti sintetici, o E-fuels, al momento sono una rarità e costano cari. Con l’aumento della domanda (e della produzione), nel giro di una manciata d’anni potrebbero scendere a quotazioni poco più alte di quelle dell’attuale benzina. E-fuel Alliance ipotizza un prezzo compreso fra 1,45 e 2,24 euro al litro. Al quale bisognerebbe però aggiungere le accise...

Gli E-fuels possono sostituire la benzina e abbattono le emissioni di anidride carbonica di circa l’85%, con anche meno particolati e ossidi di azoto. La Porsche, insieme a Siemens, ne sta aprendo uno stabilimento di sintesi in Cile. Ma la produzione prevista a regime potrebbe equivalere ad appena un centesimo di quanto l’Italia consuma da sola: mezzo miliardo di litri di carburante contro 50 miliardi di litri.

E non mancano altri dubbi. Uno studio del 2017 di Transportenvironment.org pone anche un problema di efficienza del nuovo carburante. Posto che la propulsione a batteria di un’auto ha un’efficienza del 73% (dalla presa nel muro alla ruota), quella delle celle a combustibile sarebbe del 22% e quella degli E-fuels solo del 13%. Ma la ricerca è proprio su questo che sta lavorando, attendiamo a trarre conclusioni.

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