Il Covid-19 ha stoppato l'edizione 2020 Il TT è una gara che apre spesso discussioni sul senso della vita, sulla libertà di affrontare il Mountain. Ecco il pensiero di alcuni grandi protagonisti
"Mai vista una pistola puntata sulla tempia di nessuno, da queste parti - prosegue McGuinness -. Chi viene ha tutto il tempo per studiare cosa succede sul circuito. Se vuole, corre. Se non vuole ci sono traghetti e aerei che partono dall’Isola di Man ogni giorno: può acquistare un biglietto e andarsene".
Ascoltare John sull’argomento non è solo beccarsi il fluire di frasi secche unite ad argomenti duri e scabri, mai grigi e volutamente black&white. C’è pure spazio per cogitanti sfumature: "Dal 2003, a seguito della morte del fortissimo David Jefferies a Crosby Village, al TT non si corre più se piove. È una buona cosa. Tre anni dopo hanno istituito una Mountain License che obbliga chi vuol gareggiare a disputare un minimo di gare, nell’anno solare precedente. C’è un esercito di oltre cinquecento marshal lungo il tracciato, nessun centimetro resta scoperto a vista, ovunque è pronto personale medico e paramedico e l’eliambulanza in sei-sette minuti può raggiungere qualsiasi sezione teatro di un ipotetico crash. In altrettanto tempo il pilota ferito, stabilizzato e messo per quanto possibile in sicurezza, può ritrovarsi al Nobles Hospital, il nosocomio dell’Isola, con reparti e personale di altissimo livello. Voglio dire, sull’asfalto il rischio non è pazzesco ma ragionevole e si lavora da anni e anni verso il massimo contenimento possibile dello stesso. È una sfida non solo entusiasmante, ma anche filosoficamente posta a condizioni accettabili. Tuttavia non puoi cambiarla, renderla più soft e ingentilirla senza stravolgerne la natura. Ecco perché il tracciato da un secolo è praticamente lo stesso e tale resterà".
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