Tourist Trophy: riflessioni su quelle vite al limite

Tourist Trophy: riflessioni su quelle vite al limite

Il Covid-19 ha stoppato l'edizione 2020 Il TT è una gara che apre spesso discussioni sul senso della vita, sulla libertà di affrontare il Mountain. Ecco il pensiero di alcuni grandi protagonisti

Mario Donnini

11.04.2020 ( Aggiornata il 11.04.2020 10:37 )

Peter Hikcman: "Le corse su strada? Un rischio, rispettate chi le fa"

"Il rischio fa parte del gioco, se fosse possibile estirparlo, toglieresti il bello della faccenda - ammette Peter Hickman, il rider più vincente del TT 2019 con tre centri in Superbike, Supersport e Superstock, oltre che detentore dallo scorso anno del record assoluto -. Le corse su strada sono questo. O le accetti o le eviti. Libera facoltà di scegliere. Ma con un dovere minimo: rispettare chi le fa".

Già, ma per quale motivo ogni anno, tra TT, Classic TT e Manx Grand Prix (non meno di tre-quattrocento piloti, tra moto moderne e d’epoca, più i sidecar, con pochi professionisti e tantissimi dilettanti) accettano con puntuale e innamorata passione la sfida del Mountain Circuit, pur consapevoli che in media due o tre di loro - tra le gare di giugno e quelle di agosto - non faranno ritorno a casa?

"Semplice - dice Nick Jefferies, zio del rimpianto David, veterano di 67 anni, al top nella F1 TT 1993 con la Honda ufficiale e fino a due stagioni fa buon pilota nel Manx - centinaia di piloti corrono ogni anno sul Mountain felicissimi di farlo perché gareggiare sul tracciato dell’Isola di Man è la cosa più eccitante che nella sua vita un uomo può fare da vestito".

Meno aforistico e più analitico Ian Lougher, 55 anni e a podio nel TT Zero 2019 per moto elettriche: "Il giudizio più superficiale e sommario che sento dare sul TT è che viene corso da pazzi o, peggio, da scriteriati. È vero esattamente il contrario. Ho preso il via a quasi 150 gare in oltre 35 anni di carriera, tra TT e Manx. Ho vinto 10 TT e sai quante volte sono caduto nella mia vita sull’Isola? Tre. Una mi si è chiuso lo sterzo in un tornantino, quindi non contarla. Un’altra volta sono scivolato sul liquido che il motore aveva perso imbrattando la ruota, perciò zero cavolate mie, e nella terza, a Union Mills, pochi anni fa, ho sbagliato io. Gran botta. Una sola con piena colpa mia, in quasi quarant’anni. E sai com’è? È troppo. Perché una volta basta per lasciarci la pelle, qui. Altro che folli e sconsiderati: i piloti specialisti del Mountain sono i più prudenti, ricamatori, calcolatori, freddi, sereni e precisi in tutto. Rispettano il tracciato come una divinità perché sanno che per ogni errore molto probabilmente non v’è perdono previsto né remissione possibile. L’attenzione assoluta - conclude Ian -, la dedizione al proprio senso del limite sono il prezzo da pagare al godimento totale promesso e concesso da un giro sul Mountain".

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