Himachal Pradesh e Kashmir

Himachal Pradesh e Kashmir

Redazione - @InMoto_it

01.05.2012 ( Aggiornata il 01.05.2012 14:19 )

Affitto una moto e faccio il turista: il nostro amico non immagina cosa l’aspetta, ma sarà un’esperienza esaltante. Con le Enfield sulle strade impervie delle montagne più alte del mondo, il racconto del viaggio dal punto di vista di un ironico olandese   Questo viaggio comincia in un modo diverso da come sono abituato. Normalmente quando sono pronto ho la moto fuori con il bagaglio e giro il manubrio verso il sud Europa. Le Alpi mi aspettano! Ma ora le montagne dove sto andando sono due volte più alte e anche il traffico non è come da noi. Tengono la sinistra... oppure la destra, dipende da dov’è l’asfalto! In India tutto è diverso. La cucina, il traffico, le gente, e anche la moto che avrò non sarà la mia Moto Morini, ma una Royal Enfield. Una moto degli anni ’50 che ora costruiscono ancora in India. Di recente è stata anche modernizzata. Il cambio è a sinistra, ha un avviamento elettrico e un freno a disco anteriore, ma per il resto sono d’epoca. E sono bellissime da vedere e da sentire in moto. Un primo sguardo sulla pianta mi dice che le distanze sono piccole. 150 km di media al giorno. Ma sulle strade di qua sono troppi! Ci sono tanti Tata (camion made in India) da sorpassare e succede spesso che manca l’asfalto. Così hai bisogno di concentrarti molto perché non si sa mai cosa c’è sotto l’acqua che attraversi con le ruote. Succede infatti che devi guadare dei fiumi che scavalcano la strada. E la neve che diventa acqua e cerca una modo per andare verso l’Indo o il Gange. Qualche volte l’acqua arriva alle ginocchia, oppure c’è tanta sabbia che la moto ha voglia di seguire solo le tracce già segnate, in ogni caso sapere come guidare in fuoristrada è una buona cosa. A Delhi c’è la possibilità di comprare un casco per pochi soldi se non hai voglia da portarne uno nel bagaglio. Il clima è terribile, senza muovermi perdo litri di sudore perché è tanto caldo (quasi 40º) e umido. È la stagione del monsone e la sera arriva tanta pioggia. Subito fuori l’aeroporto c’è il primo impatto con il traffico. Che casino! Sembra Napoli, ma tutto più lento. Regole ci sono, ma nessuno le rispetta... Gli specchietti delle macchine sono quasi tutti rovinati ma non si arrabbia mai nessuno! Partiamo con un pullman verso Manali, porta dell’Himalaia. Manali era il luogo di pellegrinaggio degli “hippie” degli anni ‘60 e anche ora si sente l’atmosfera di quegli anni. Colori e profumi a volontà arrivano da negozi e piccoli ristoranti. I visitatori sembra siano ancora nel 1968 e credo di aver visto uno dei Beatles... Qua restiamo un giorno anche per “conoscere” le nostre moto e acclimatarci (siamo già a 2.200 metri). Le Enfield sono il modello più moderno, ma non girano comunque molto in alto col motore, anche se hanno una buona coppia. Quando undici Enfield, quanti siamo noi, si mettono in moto insieme sembra un piccolo terremoto! Che bel rumore! E la mia ha fatto solo 613 km! È ancora vergine, extravergine! Il primo giro è bellissimo. Nella valle ci sono tante cose da vedere. Seguiamo il fiume Beas e ogni tanto c’è un guado, così facciamo pratica. Ad un certo punto vedo un gommone che viene da destra! Qui si pratica molto rafting. Forse aveva la precedenza... Per sorpassare in India non serve guardare nel retrovisore e davanti, bisogna essere sicuri che chi vuoi passare ti ha visto, allora bisogna fare tanto rumore con il clacson e quando hai 40 cm di spazio, a tutto gas! Anche la precedenza ha altre regole, ce l’ha sempre il veicolo più grande. Pensare che hai ragione non vale e alla fine ti fai male. Per guidare qua l’Enfield ha abbastanza potenza. Le strade sono piccole e per quasi tutto il giro non c’è asfalto, a 100 all’ora sembra di volare. Quando chiudi il gas sei accompagnato da una serie di scoppi dalla marmitta a “fiasco”. A fine giro ci sono tante facce felici, c’è la possibilità da aggiustare ciò che serve e chi vuole può avere un manubrio più alto. I meccanici sono a disposizione, che lusso. Ci sarà anche un furgone di assistenza con meccanici e pezzi di ricambio durante il viaggio. 12069gp9 Dopo un giorno a Manali è tempo per la prima sfida: il passo Rohtang. Altezza 3.980 m. La prima parte ha un asfalto bellissimo. Dopo cambia tutto. Si vede subito chi ha già esperienza di guida fuoristrada. Io no. E poi per evitare problemi fisici è importante salire piano. Lungo la strada ci sono negozi per mangiare e bere qualcosa. La bevande nazionale è il “tjaj”, tè con molto latte e zucchero. È buono e dà energia. Strani i sacchetti delle patatine, tutti gonfi a causa della minore pressione dell’aria. A metà strada per il passo c’è tanto traffico. Gli indiani hanno poca pazienza, vogliono essere tutti davanti, ma se ci sono due corsie e vedi tre file capisci che diventa per forza un caos. Anche con la moto è impossibile passare. Siamo vicino al Kashmir, un pezzo di India con molti problemi etnici. Ci sono molti militari che in poco tempo liberano una traccia per noi motociclisti e per fortuna riusciamo per passare. È caldo sotto il casco. Pochi chilometri dopo una pala meccanica ha liberato la strada da una frana ma ha lasciato tanto fango. L’Enfield non sembra più così nuova. La parola avventura che l’organizzatore ha usato non è una bugia! Ci hanno anche detto di stare attenti ai sassi nei tornanti... Veramente ci sono solo sassi, dappertutto... Dopo il passo si vede il cambio di popolazione. Sembra di essere in Cina. Un altro nome per questa zona è “piccolo Tibet” e si vede. Arriviamo al primo “checkpoint” dove mangiamo alla tibetana con riso e pecora, lenticchie e brodo con noodles che sembrano spaghetti all’arrabbiata. Agli indiani piace mettere molte erbe e usano il piccante. Proseguiamo a fianco del fiume Chandra, ma a un certo punto c’è anche un altro fiume sulla nostra strada. Mi avevano assicurato che le scarpe erano impermeabili ma ho i piedi bagnati! E fa impressione sentire la marmitta sotto l’acqua, sembra uno strano tipo di pesce. Pochi chilometri prima di arrivare a Keylong c’è la prima foratura. In questa piccola città con una grande porta d’ingresso e molte tracce di Buddismo ci fermiamo un altro giorno per acclimatarci degli altri 1.000 metri che abbiamo salito. C’è un museo con quadri e foto storiche mantenuto da buddiste e chi vuole fare un’escursione a piedi può arrivare al monastero, qui si chiama Gompa. In città si vede un misto di Buddismo e Induismo, ci sono i classici rotoli di preghiere, i mantra, che se si girano è come se si pregasse. Il legno dipinto è bellissimo e molto colorato. C’è una grande statua di Hanuman, il dio delle scimmiette dell’Induismo. Alla partenza, di mattina, piove. Peccato, ma l’aria così è più respirabile. C’è anche meno polvere sulle strade.. ma più fango. Di una pozzanghera non vedevo quanto era profonda, ma ho scoperto che lo era abbastanza. Povera Enfield, che colpo ha preso, ma funziona ancora bene. L’ambiente diventa incredibile, impossibile non fermarmi per le foto. Dopo ogni curva c’e ancora un panorama indimenticabile. Guidiamo verso Pang, un campo militare ma anche per camionisti e turisti in bici, in moto... Ma prima di Pang altro guado e molti tratti inondati: sembrava di guidare nel fiume. Facciamo strada ai camionisti. A Pang siamo a quasi 4.600 metri, qualcuno ha mal di testa. Per sicurezza ho preso delle medicine per l’altezza, ma al mio stomaco questo non piace tanto e il giorno dopo l’ho fatto sul furgone. Peccato perché non sembrava un brutto giorno per guidare. Dopo sei giorni siamo così a Leh, capitale del Ladakh. Oltre al buddismo una piccola parte pratica l’Islam e ogni sera si sente il muezzin per pregare. Il giorno dopo faccio tutto lentamente, riprendermi dopo il viaggio nel furgone è impegnativo. Prendo un taxi verso Tikse dove c’è un grande monastero, da vedere una grandissima statua alta come una palazzina di tre piani, coloratissima e dalla bella manifattura eseguita su legno. Anche qui il panorama è stupendo, dal lato verso le montagne sembra la luna. Al di sotto invece si vede con chiarezza come è ben sfruttata nelle coltivazioni l’acqua dell’Indus. Il taxi mi aspetta e mi riporta ancora a Leh, circa 50 km, tutto per più o meno 10 Euro. da LEH partiamo per il punto più alto di questo viaggio, il Passo Kardung a 5.600 metri! La strada che porta al passo è molto bella, panoramica e incredibilmente asfaltata. Ma c’è anche tanta sabbia sulla strada, ed è ancora obbligatorio stare attenti. Almeno per fortuna c’è poco traffico. Ma subito dopo torna l’abituale sequenza di buche, fango, sabbia... un casino. Tre curve prima dall’arrivo ho visto su una roccia una vecchietta che faceva la calza! Che ridere, pensavo di fare qualcosa di eroico e invece c’è chi se la prende davvero comoda in questo inferno. Sul Passo c’erano tanti altri “eroi”, anche in bicicletta. Considerando la scarsità di ossigeno, se hanno pedalato fin qui è notevole. Anche un cartello ricorda che non è consigliabile restare più di 30 minuti. Ho ancora una giornata da spendere a Leh, faccio un giro per comprare qualche souvenir. C‘è una gran confusione in giro, e poi ci sono le mucche che non sono proprio educate, ma qui sono sacre e nessuno le disturba. Quasi tutto il centro di Leh è un grande mercato e una volta era un luogo di sosta lungo la Via della Seta. Mangiare e bere costa poco in India, per solo 1 o 2 Euro o puoi fare una buona cena (sul menù ci sono anche gli “spaghetti alla bolognese”) e approfitto anche per farmi la barba da un barbiere. Leh è una città simpatica ma dopo due giorni si può anche partire. La strada ci porta verso Tscho Kar. Asfalto perfetto per quasi tutto il percorso e finalmente mi sento come un vero pilota, quasi Valentino Rossi! So che Vale non guida una Enfield. Forse però qui vado meglio io... Seguiamo a lungo l’Indus, il panorama per quanto incredibile può anche diventare noioso, e alla fine c’è il lago di Tscho Kar. Non c’è acqua, solo sabbia e grandi pezzi di sale, che si alzano in grandi nuvole quando passa qualcuno. A sera il tramonto cambia ogni minuto con un grande spettacolo di colori e atmosfere incredibili. Quando il sole va via la temperatura lo segue e diventa freddissimo, dopo cena vado a letto in tenda, e per dormire bene c’è una coperta molto grande, sembra fatta di pelo di yak, il bovino di queste montagne. Dormo abbastanza bene perché sono molto stanco, ma la mancanza di ossigeno mi dà una strana sensazione; sembra come se dovessi ancora imparare a respirare. Qua siamo ancora a un’altezza di 4.700 metri. Ci vogliono due giorni per tornare a Manali da dove siamo partiti, e siccome non ci sono molte strade, il ritorno avviene su molte strade già percorse in precedenza. Per l’ultimo giorno Pluvio aveva un sorpresa per noi: tanta pioggia! Tutta la strada è diventata una sagra del fango e ci sono tanti guadi da superare. Ma ormai siamo abituati... 12069gp5

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