Il motociclismo sta attraversando una trasformazione profonda, silenziosa ma radicale. Un tempo le motociclette erano mezzi meccanici nudi e crudi, compagni ruvidi ma sinceri capaci di restituire emozioni pure, immediate, fisiche. Oggi, invece, ci troviamo di fronte a piattaforme complesse, sofisticate, dove l’anima meccanica è incapsulata dentro un guscio elettronico fatto di sensori, algoritmi, display a colori, interfacce utente degne di un’astronave e una quantità crescente di controlli attivi e passivi che promettono sicurezza, efficienza, comfort e personalizzazione.
Tutto questo è stato pensato per rendere l’esperienza del motociclista più sicura, più confortevole e più “moderna”. In certi casi il beneficio è tangibile, come nelle situazioni limite dove un triangolino che si illumina nello specchietto retrovisore può realmente fare la differenza tra un sorpasso sicuro e un incidente per colpa della scarsa visuale dell’angolo cieco.
Ma questa esplosione tecnologica oltre che migliorare la sicurezza, sta anche inquinando l’esperienza di guida con una sovrastruttura di complessità, distrazione e – paradossalmente – maggiore rischio?
Perché se da un lato i dispositivi elettronici sono progettati per intervenire nel momento del bisogno, dall’altro l’interfaccia utente per gestirli sta diventando talmente articolata da richiedere attenzione continua, studio e familiarizzazione con logiche di menu e sottomenu, aggiornamenti software e una soglia di concentrazione che spesso si allontana molto dal concetto stesso di “piacere di guida”. I blocchetti comandi, un tempo semplici e intuitivi, si stanno trasformando in controller multifunzione simili a quelli di un’auto di lusso o di un videogame avanzato, con una moltitudine di tasti, rotelle, joystick e shortcut personalizzabili. Questo livello di sofisticazione, che in sé non è né buono né cattivo, diventa un problema quando interferisce con l’attenzione sulla strada, perché la moto – al contrario dell’auto – non perdona la distrazione.
Dove sta il confine tra l’innovazione che protegge e quella che complica? Tra l’utile e il superfluo?
Per esempio, sulla Tracer 9 siamo ancora a un livello di complicazione gestibile, ma abbastanza al limite. Nel mondo auto il cosiddetto “effetto wow” ha preso il sopravvento sulla funzionalità e tantissimi accessori come schermini che ruotano e lucine che brillano sono pensati solamente per stupire in concessionario al momento dell’acquisto, trasformando il mezzo in una vetrina tecnologica da sfogliare più che da guidare.
Nelle moto non siamo ancora a questi livelli ma ci stiamo avvicinando. Il motociclismo non può e non deve diventare un esercizio di configurazione digitale ma deve restare un’esperienza autentica in cui la tecnica è al servizio dell’uomo e non viceversa. E forse, solo riportando al centro la semplicità, si potrà davvero godere dell’innovazione.
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