Faccia a faccia con Geoff Liersch, il responsabile dell'unità Two-Wheeler and Powersport della Bosch. Australiano, ingegnere, motociclista. Coordina lo sviluppo degli equipaggiamenti elettronici
“Sono Geoff Liersch, sono originario dell’Australia, e dal 2014 vivo in Giappone, dove ho avviato e dirigo l’unità Two-Wheeler and Powersports della Bosch”. È iniziata così la nostra intervista con l’uomo che tiene le fila dello sviluppo dei sistemi elettronici che equipaggiano la maggior parte delle nostre moto. Lo abbiamo incontrato nello stand Bosch in occasione dello scorso EICMA, ed è proprio dall’unità di cui Liersch figura come presidente che decidiamo di partire, la Two-Wheeler and Powersports. Di che si tratta?
“Nel 2014, l’allora CEO di Bosch, Volkmar Denner, si è reso conto che la nostra azienda faceva molto per ridurre gli incidenti e le emissioni delle automobili, ma era meno impegnata nel settore moto. È partito da qui l’impulso per far nascere l’unità dedicata alle due ruote. Con obiettivi molto chiari: aumentare la sicurezza di moto e scooter e ridurne le emissioni. Lo stesso Denner era un motociclista, e nello sviluppare le nuove funzioni aveva ben chiaro che bisognava salvaguardare il piacere di guida; perché tutti noi abbiamo scelto la moto per divertirci. Così abbiamo iniziato a lavorare con queste linee guida, lo abbiamo fatto negli ultimi dieci anni, e continueremo a farlo in futuro”.
Anche lei è motociclista?
“Sono un motociclista. Ho iniziato a guidare motociclette quando avevo quattro anni. Sono cresciuto in una fattoria nel mezzo del nulla in Australia, c'erano 3.000 acri - oltre 1200 ettari - ed era troppo per camminare a piedi. Così ho iniziato a guidare moto molto giovane, per andare dal punto A al punto B. E mi sono trovato a fare sempre del fuoristrada”.
Qual è il modo di lavorare della vostra azienda: sviluppate autonomamente i vostri equipaggiamenti o collaborate con altre case, come anche con i produttori di moto?
“Per molte delle vere innovazioni, come nel caso della funzionalità radar, abbiamo lavorato autonomamente. Se si guarda al nostro gruppo di lavoro, tutti i collaudatori sono anche ingegneri. E se si vuol sapere in che direzione indirizzare lo sviluppo, considerando il punto di vista degli utenti finali, cioè dei motociclisti, basta chiederlo alla nostra squadra di lavoro. Sono tutti collaudatori, sono tutti motociclisti, alcuni di loro sono piloti, alcuni sono fuoristradisti. In questo modo abbiamo un buon mix di persone che comprendono la tecnologia di cui abbiamo bisogno per avere successo. In questo modo sviluppiamo internamente le nuove funzioni, fino a quando arriviamo al punto di essere certi che la nuova funzionalità è molto buona. Solo in questa fase cerchiamo un partner, uno degli OEM - produttori, ndr - con cui lanciare assieme la nuova funzionalità sul mercato attraverso un determinato modello di moto. Nello stand abbiamo due esempi di collaborazioni. La Ducati con il Race e-CBS e la KTM con la prossima generazione di tutte le funzionalità radar. Ciascuna delle funzioni innovative di quella KTM è stata sviluppata da noi fino a un determinato livello, quindi siamo andati dalla casa austriaca e gli abbiamo detto che secondo noi era a punto. Loro hanno detto OK, ma poi volevano adattarla meglio, così noi siamo andati un po’ più a sinistra e poi un po’ più a destra!”.
Scherza Liersch, e ci strappa una risata, mimando con le mani un andamento incerto, mentre va a ruota libera con la sua (complicata) parlata australiana.
”È così che vanno le cose. Quella moto abbiamo iniziato a svilupparla nel 2019. È servito tempo per sviluppare le funzioni, testarle ed essere sicuri che tutto andasse per il meglio. Ed è questo in media il tempo necessario per uno sviluppo di quel tipo, quattro anni”.
Ad EICMA avete portato dei nuovi display TFT con molte funzioni. Troppe informazioni fornite attraverso un grande display a colori programmabile potrebbero però distrarre il pilota. Vi siete posti il problema?
“Sì, ed è sempre un compromesso su questi argomenti. Oggi vediamo che tutti fissano il telefono alla moto. Ma per usare un telefono devi staccare le mani. Noi abbiamo implementato la possibilità di dare input anche tramite i comandi al manubrio”.
Torniamo a sorridere: Liersch aveva pronta la risposta.
“Abbiamo introdotto i touchscreen, è vero - dice con il tono di chi vuole giustificarsi -, perché per il motociclista può essere fastidioso dover inserire in altro modo i dati di un giro sul navigatore. Ma la funzionalità touch la si usa prima di partire, poi una volta in marcia si possono usare i normali comandi al manubrio. Quindi la risposta è sì, ci occupiamo anche di ridurre questo tipo di rischio”.
”Un’altra peculiarità dei nostri strumenti è di avere due canali audio verso i caschi. In questo modo una volta in viaggio si possono facilmente usare le istruzioni audio per seguire l’itinerario indicato dal navigatore, e non si ha più necessità di consultare visivamente il display, che verrà utilizzato solo alla partenza e all’arrivo”.
Ancora un dubbio: molti motociclisti rifiutano i controlli elettronici. Come affrontate questi comportamenti di chiusura?
“Abbiamo lanciato l’ABS molto, molto, molto tempo fa. Quando lo abbiamo lanciato, tutti i motociclisti dichiaravano di non averne bisogno. Guardate la Ducati qui fuori, quella dotata di Race e-CBS. Credo sia realistico pensare che il 99,9% delle persone non è in grado di portarla al limite oltre il quale il sistema interviene. Perché l’e-CBS interviene solo nel momento nel quale hai praticamente già perso il controllo. Eccola la situazione ideale: un sistema che non intervenga affatto in condizioni normali, ma che può salvarti quando commetti un errore. Quando abbiamo iniziato eravamo lontani da questo obiettivo. Oggi, se ascolti il feedback dei motociclisti professionisti che guidano quella Panigale, tutti ammettono di aver sempre detto in passato di non avere bisogno di un ABS per la moto da pista. Ma oggi ammettono anche di aver cambiato opinione, perché stanno tutti girando 2-3 secondi al giro più forte di quanto fanno escludendo il sistema. Siamo arrivati alla fase nella quale il nostro sistema migliora le loro prestazioni, non le peggiora. Il nostro obiettivo è proprio questo, spingere in alto i limiti, per fare sì che tutti si accorgano che la tecnologia sia poco invasiva e porti dei vantaggi nella guida, senza ostacolare”.
Potremmo avere nuove dotazioni elettroniche nelle corse in futuro?
“Credo di sì. Perché anche i professionisti della moto patiscono gli high side. Non sarebbe davvero fantastico avere una dotazione che blocchi questo pericoloso comportamento del nostro mezzo? Non credo che qualcuno rifiuterebbe un sistema che non interferisce mai con la guida, tranne nei casi nei quali senza il suo intervento l’incidente sarebbe sicuro”.
Passiamo ad altro: sappiamo che la vostra azienda sta lavorando anche al dialogo fra veicoli. Qual è il futuro?
“Anni fa, credo nel 2017 o forse 2018, abbiamo dimostrato un sistema di comunicazione da veicolo a veicolo e tra un corpo e un veicolo. La tecnologia è pronta, è disponibile e affidabile; possiamo farlo, non è un problema. Quello che stiamo aspettando è che per le autovetture si decida quale sistema di comunicazione standardizzare. Perché la frequenza e il metodo di comunicazione devono essere stabiliti e, ovviamente, unici per tutti”.
Cosa succederebbe se una moto di nuova generazione, dotata di questa tecnologia che consente il dialogo fra veicoli, incontrasse una moto priva di tali funzionalità? Come reagirebbe la moto dialogante di fronte al silenzio dell’altra?
“Non sarebbe un problema. Con il sistema radar attuale, abbiamo la capacità di frenare autonomamente. Questo implica che abbiamo algoritmi per determinare la traiettoria sia del nostro veicolo che degli altri. Se ci fosse rischio di collisioni, allora tutto quello che dovremmo fare sarebbe rallentarne uno per lasciar passare l’altro. Non è difficile, ma devi determinare i dati di movimento di entrambi i veicoli. Con le auto questa operazione è abbastanza semplice, perché non hanno cambi di direzione repentini. Al contrario, con le moto è molto più difficile, perché possono passare da una piega a destra a una piega a sinistra rapidamente, e questo rende difficile prevedere dove andranno. Quindi ci si basa sull'angolo della piega, sugli input dello sterzo; tutti parametri fondamentali per prevedere dove andrà la moto e se avrà un impatto. E se si capisce che l’impatto ci sarà, allora si può agire per evitarlo. Quindi non è difficile per quanto riguarda l'attuazione. Lo abbiamo già su moto esistenti. Quello che ci manca è la standardizzazione delle comunicazioni, perché ci sono diverse tecnologie concorrenti e non avrebbe senso avere quattro tecnologie su ogni veicolo. È questo che stiamo aspettando”.
Qui in Eicma avete presentato degli ADAS (Advanced Driver Assistance System) che prevedono sistemi automatici per la frenata d’emergenza, abbiamo il cruise control adattativo, cambi automatizzati… Cosa manca? Qual è il futuro?
“Ci sono alcune funzionalità delle quali non siamo ancora soddisfatti. Quando dico non soddisfatti mi riferisco all’aspettativa dell’utente abituato al Cruise Control Adattativo (ACC). Quando non ce l’hai pensi che sia inutile. Ma dopo aver guidato una moto dotata di ACC, se si ritorna su una che ha un semplice controllo della velocità ci si sente infastiditi dal dover fare tante cose extra e ‘non utili’ - ride -. All’inizio abbiamo creato un Cruise Control Adattativo che funzionava solo in rettilineo, in autostrada. Ha funzionato così bene che si dimentica di avere il cruise control inserito, fino a quando l’auto che ti precede sparisce alla vista perché scollina o è in curva. Quindi abbiamo dovuto farlo funzionare anche in curva. Ecco, ogni volta che fai qualcosa, entri in un nuovo scenario in cui c'è un nuovo problema da risolvere. Oggi se stai seguendo un’auto su una strada di montagna, il nostro sistema funziona molto bene: se l’auto rallenta la moto rallenta, quando l’auto torna ad accelerare, anche la moto fa lo stesso. Dove il sistema non funziona così bene è quando l'auto scompare completamente alla vista, perché allora il cruise control non sa che c’è una curva, e il guidatore per percorrerla dovrà frenare manualmente, sconnettendo il cruise control. Non sarebbe molto meglio se l’ACC individuasse autonomamente la curva, rallentasse e poi tornasse ad accelerare in uscita? È questo per me il prossimo step, impedire che il Cruise Control ti faccia entrare troppo forte in curva, cosa che tutti intuiscono essere molto sgradevole. Quindi vorremmo raggiungere un livello tale per cui l’ACC saprà valutare che se si manterrà una determinata velocità entrando in curva si avranno problemi. E allora sarà lui stesso a rallentare quanto basta per essere sicuri che il pilota possa curvare in sicurezza”.
Si percepisce la passione dietro le sue parole.
“Amo questa tecnologia. È tutto ciò che possiamo fare con le motociclette per renderle più sicure, senza cancellare il gusto di guidarle; perché tutti noi guidiamo moto per il piacere di farlo. Ma tutti noi vogliamo anche tornare a casa a fine giornata, e questo è il compromesso che dobbiamo accettare. È chiaro che è rischioso, più di quanto non lo sia viaggiare in auto, ma è anche chiaro che la moto è molto più divertente dell'auto. E abbiamo questo continuo conflitto fra il fatto che cerchiamo il divertimento, tentando però di avvicinarci il più possibile ai livelli di sicurezza delle auto. E penso che la tecnologia che stiamo sviluppando abbia proprio la possibilità di aumentare la sicurezza, salvaguardando il piacere di guida. Credo che potremo ridurre il numero di incidenti proprio grazie alla tecnologia. E questo è ciò su cui continueremo a spingere per il futuro; oltre ai sistemi di gestione del motore”.
C’è margine di sviluppo anche per quelli?
”Se guardiamo indietro, avevamo delle moto poco potenti che consumavano molta benzina. Ora abbiamo sempre più potenza con consumi assai ridotti. Il merito è delle nuove tecnologie che mettiamo ‘intorno’ al motore. Perché la meccanica non è cambiata così tanto, a parte i sistemi di fasatura variabile, che però non fanno crescere tanto la potenza. La differenza la fa l'elettronica moderna. E questa è un’altra area sulla quale continueremo a spingere. Dobbiamo ridurre le emissioni senza perdere potenza, perché questa fa parte del divertimento. E questo compromesso è sempre lì, su entrambi i lati, potenza ed emissioni”.
Un'ultima domanda, più politica: la vostra azienda sta parlando con la Commissione europea per rendere obbligatorie alcune di queste dotazioni?
“In genere non spingiamo nessuna tecnologia dal punto di vista degli obblighi normativi. Il nostro lavoro è rendere disponibili tecnologie potenzialmente utili. Se poi chi scrive le leggi dovesse ritenere di dover rendere obbligatori i nostri equipaggiamenti, ovviamente ne saremmo più che felici”.
“Prendiamo ad esempio il Motorcycle Stability Control (MSC), che abbiamo reso disponibile nel 2013. Non è regolamentato né imposto da alcuna legge, ma il mercato europeo lo ha adottato quasi completamente. Il motivo è nel fatto che funziona molto bene, aumenta la sicurezza e il guidatore ne percepisce i vantaggi. A volte abbiamo bisogno di una normazione per iniziare qualcosa, ma una volta iniziato si può andare avanti come con qualunque altro sistema. Non è legiferato, ma la gente lo vuole. Quindi stiamo lentamente arrivando a un punto che non abbiamo più bisogno di avere un obbligo di legge. Possiamo semplicemente portare buone caratteristiche e funzioni, le persone li compreranno senza alcuna imposizione”.
“Chiaro che il nostro obiettivo è la diffusione delle tecnologie che proponiamo. Per questo mettiamo a punto delle buone dotazioni. Se qualcuno vuole renderle obbligatorie andrà benissimo, ma se non ci saranno obblighi noi quelle funzionalità le lanceremo comunque sul mercato e faremo di tutto per diffonderle. Un esempio di ciò è nel mercato indiano, dove ci sono molti veicoli di piccola cilindrata - sui quali normalmente non vengono installate determinate dotazioni di sicurezza particolarmente costose, ndr -. Si tratta di un mercato, assieme a quelli asiatici, dove si registrano però veramente troppi incidenti. Per questo stiamo comunque tentando di diffondere anche su moto di ridotta cilindrata la tecnologia MSC, perché dobbiamo fare qualcosa per ridurre l’incidentalità”.
Siamo in chiusura, e ci tornano in mente due frasi fra le tante ascoltate in questa lunga chiacchierata. La prima è relativa al fatto che nello sviluppare nuovi ADAS motociclistici, ci si deve comunque porre la condizione di conservare il piacere di guida. La seconda è che i migliori sistemi di assistenza alla guida sono quelli che non vengono percepiti dal guidatore, ma che intervengono a salvarlo un attimo prima della caduta. In queste due semplici frasi è nascosto il segreto per realizzare dei sistemi elettronici di ausilio alla guida che i motociclisti accettano di buon grado sulle loro moto. Insieme all’effettiva efficacia di un sistema sono il segreto del successo.
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