Primissimi anni Ottanta. Le quattro &ldquo;sorelle&rdquo; giapponesi erano ancora tutte nella fase euforica, quella della rivoluzione permanente, estetica e tecnica, con la conseguente uscita sul mercato di continue e frastornanti novit&agrave;. Era il momento in cui alcune Case automobilistiche avevano scelto di puntare sulla sovralimentazione per incrementare le prestazioni e il rendimento dei loro motori senza aumentarne ancora la cilindrata, ma addirittura riducendola.  PER&Ograve;, A DIFFERENZA DI QUANTO ERA ACCADUTO negli anni Trenta, quando sulle auto pi&ugrave; sportive e sulle moto da corsa il compressore volumetrico aveva consentito il raggiungimento di eccezionali picchi di potenza, quarant&rsquo;anni pi&ugrave; tardi la sovralimentazione veniva proposta col &ldquo;turbo&rdquo;, ossia mediante un compressore posto in rotazione ad altissima velocit&agrave; da una turbina, alla quale il moto era impresso dai gas di scarico in uscita dal motore.  FU COS&Igrave; CHE, sull&rsquo;onda dell&rsquo;eclatante successo ottenuto dai primi modelli di automobili &ldquo;turbo&rdquo;, divenuti subito un &ldquo;must&rdquo;, anche i progettisti di moto pensarono bene di dimostrare di non avere nulla da imparare dai loro colleghi delle quattro ruote, anche se era loro ben chiaro che le differenti caratteristiche dinamiche dei motocicli avrebbero senz&rsquo;altro creato problemi. Temuto era soprattutto il ritardo di risposta del compressore alla riapertura della manopola del gas, ritardo che di conseguenza comportava non solo un breve tempo morto, ma anche il successivo arrivo &ldquo;al galoppo&rdquo; di tanti cavalli selvaggi tutti insieme e capaci di mettere in seria crisi l&rsquo;aderenza della ruota motrice.  NEL FRATTEMPO, PER&Ograve;, a soccorrere gli ingegneri erano arrivati i primi sistemi di gestione elettronica del motore. Ne approfitt&ograve; per prima la Honda, che nel 1981 anticip&ograve; tutte le concorrenti presentando la CX 500 Turbo, seguita poco dopo dalla Yamaha XJ 650 Turbo. Nel 1983 fu la volta della Honda CX 650 Turbo e della Suzuki XN 85 Turbo. Infine, nel 1984, arriv&ograve; sul mercato anche la Kawasaki, con la GPz 750 Turbo.  &nbsp;  TECNICAMENTE SOLO LA YAMAHA mantenne l&rsquo;alimentazione a carburatori, mentre le altre tre Case optarono per l&rsquo;iniezione elettronica. Importanti differenze si videro nella collocazione del gruppo turbina-compressore: davanti ai cilindri (i soli raffreddati ad acqua) in alto, sulla Honda, sotto il motore, all&rsquo;altezza del perno del forcellone, sulla Yamaha, dietro alla bancata dei cilindri sulla Suzuki e in basso, davanti al carter dell&rsquo;albero motore, sulla Kawasaki.    ERA BEN NOTO A TUTTI che la sovralimentazione consentiva un guadagno di potenza e coppia tale da permettere un&rsquo;ampia gamma di scelte prestazionali e quindi di caratterizzazioni delle moto. La Honda e la Yamaha si contennero e presentarono modelli di impostazione granturistica con 82 CV (che salirono a 100 nella versione di 650 cm&sup3;) la prima e 85 CV la seconda. 85 CV anche per la Suzuki, che per&ograve; (ma con evidente prudenza) si orient&ograve; su una linea pi&ugrave; sportiva. Questa lampante ritrosia da parte delle tre Case giapponesi a presentare i modelli sovralimentati con un&rsquo;impostazione degna della &ldquo;cattiveria&rdquo; che il motore era in grado di esprimere fu rifiutata in modo assolutamente esplicito dall&rsquo;ultima arrivata, la Kawasaki, che coerente alla propria immagine di sportiva senza compromessi, present&ograve; una motocicletta dalla linea grintosissima e dalla potenza esuberante: 112 CV (contro i 75 CV del motore standard aspirato), oltretutto giudicata anche la migliore fra le Turbo sul mercato.  LA KAWASAKI PER COGLIERE QUESTO RISULTATO aveva potuto sfruttare due vantaggi: il primo era che aveva gi&agrave; maturato notevole esperienza sul &ldquo;turbo&rdquo; fin dal 1978, grazie alla diffusione avuta in America e in Canada dalla versione sovralimentata della KZ 1000 (Z1-R TC) potenziata con un kit prodotto dalla californiana Turbo Cycle Coporation e venduta dalla rete distributiva della Casa giapponese senza garanzia. Il secondo vantaggio fu proprio l&rsquo;essere arrivata ultima sul mercato, evitando di incorrere negli stessi difetti (o diminuendone la portata, come nel caso del ritardo di risposta del turbo) delle concorrenti. 

Furono le Case giapponesi a darsi soprattutto da fare. Negli anni &lsquo;80, Kawasaki era la pi&ugrave; potente

Le regine del turbo, viaggio nel tempo

Furono le Case giapponesi a darsi soprattutto da fare. Negli anni &lsquo;80, Kawasaki era la pi&ugrave; potente, ma anche Yamaha XJ 650 Turbo, Honda CX 650 Turbo e Suzuki XN 85 Turbo non scherzavano affatto

Le regine del turbo - FOTO

Ci eravamo lasciati con una domanda: &ldquo;perch&eacute; nel mondo automotive ci sono cos&igrave; tanti motori sovralimentati?&rdquo; Vediamo di trovare una risposta facendo riferimento anche all&rsquo;interessante prototipo Recursion di Suzuki. Nel turbo compressore i gas in uscita dal motore accelerano una turbina montata su un alberino che trascina un compressore centrifugo. Maggiore &egrave; l&rsquo;energia dei gas di scarico (come velocit&agrave;, come portata e come temperatura) maggiore &egrave; l&rsquo;energia che pu&ograve; essere ceduta ai gas in aspirazione. Il mitico &ldquo;Turbo&rdquo; in stile anni ottanta &egrave; nato per tirar fuori potenza in quantit&agrave; da piccoli motori senza badare a rendimenti, consumi e guidabilit&agrave;. In effetti le potenze specifiche erano alte, ma i consumi stratosferici, ben superiori a quelli di un aspirato di pari potenza e cilindrata superiore, la curva di coppia poi, meglio lasciar perdere: motori con rapporto di compressione molto basso (8:1) erano sostanzialmente vuoti ai bassi regimi per poi rendere una fucilata di coppia quando la pressione garantiva l&rsquo;ottimale riempimento delle camere di scoppio, un &ldquo;optimum&rdquo; che durava duemila, tremila giri prima di far intervenire waste gate e limitatore per non fare esplodere tutto. Per conferma chiedere a chi in quegli anni si divertiva a dare su a pressione e numero di giri&hellip; &nbsp;&nbsp;  PROBLEMI DI CONSUMO E EROGAZIONE - Tutto nasce da un problema congenito delle turbine e dei compressori. Questi sistemi rotanti hanno una certa inerzia, tanto maggiore quanto lo sono le loro dimensioni. Queste inerzie provocano ritardi nell&rsquo;aumento del numero di giri rispetto alla richiesta di potenza dal parte del pilota (il cosiddetto turbo lag) per poi trovarsi con un aumento di spinta molto repentino, una spinta che viene garantita solo per range molto ridotti di portata di gas e velocit&agrave; di rotazione delle giranti. Questi limiti possono essere in parte arginati grazie ai moderni materiali e all&rsquo;elettronica, ma il problema di fondo rimane: se il turbo compressore &egrave; pensato per fare potenza pura i problemi di consumo e di erogazione saranno sempre presenti.&nbsp;  POWER TRAIN OTTIMIZZATO - Ma proviamo a ragionare diversamente e immaginiamo di dimensionare motore e turbo compressore secondo un altro criterio. Pensiamo ad un turbo compressore capace di garantire una modesta sovrappressione ma per un range di utilizzo maggiore di giri, serviranno portate pi&ugrave; basse e dimensioni delle giranti minori e quindi minori inerzie e minori ritardi di risposta. Poi pensiamo un motore con un rapporto di compressione leggermente pi&ugrave; alto (anche se non pari ad un aspirato, facciamo 10:1) capace quindi di reggere un aumento di pressione (e di prestazioni) pi&ugrave; limitato e pensato per girare ben pi&ugrave; piano di un aspirato. In pi&ugrave; introduciamo sistemi di regolazione dell&rsquo;alzata valvole variabili in modo da adeguarli ai vari regimi ed alle varie portate del compressore. Si investono poi un paio di miliardi di euro in ricerca e sviluppo e si ottiene un gruppo power train in cui il turbocompressore soffia in modo apprezzabile in tutto il range di funzionamento del motore, le potenze specifiche non sono altissime ma l&rsquo;erogazione risulta sempre piena perch&eacute; il turbo non lavora con picchi e tempi morti, ma in un modo pi&ugrave; costante possibile prelevando parte dell&rsquo;energia dei gas di scarico che altrimenti sarebbe dispersa nell&rsquo;ambiente.&nbsp;  RECURSION E&rsquo; UNA SOLUZIONE - Il risultato? Si chiama &ldquo;down sizing&rdquo;: un motore con una curva di coppia molto regolare, con una potenza pari ad un aspirato di cilindrata maggiore e con consumi molto contenuti. Ecco allora il perch&eacute; del ritorno dei turbo: per limitare i consumi e quindi le emissioni di anidride carbonica senza perdere in prestazioni! Ed &egrave; proprio a questo che pensava Suzuki quando ha iniziato a lavorare sul motore della Recursion, un prototipo che non &egrave; escluso precorra il futuro prossimo venturo. Si tratta di un piccolo bicilindrico parallelo fronte marcia (588 cm3) fatto per girare piano e per non essere particolarmente potente (100 CV a 8.000 giri), ma con un eccellente valore di coppia gi&agrave; ai medi regimi (100 Nm a 4.500 giri) garanzia di buona guidabilit&agrave;, e con consumi, ecco il punto, che saranno sicuramente pi&ugrave; bassi rispetto ad esempio ad una Suzuki GSR600 con 98 CV a 12.000 giri/min con coppia massima di 64 Nm a 9.600 giri/min. Insomma se nel futuro dovremo consumare di meno non &egrave; detto che per forza dovremo anche andare pi&ugrave; piano!&nbsp; 

Nelle moto i motori aspirati hanno sempre garantito un&#39;erogazione pi&ugrave; progressiva di quelli sovralimentati ma con la tecnologia di oggi qualcosa sta cambiando...

Sovralimentazione: perch&eacute; nelle moto &egrave; un&rsquo;eccezione - parte 3

Come promesso continuiamo a parlare di sovralimentazione, lo facciamo passando dalla teoria alla pratica analizzando l&rsquo;unica moto attualmente a listino dotata di un sistema di sovralimentazione: la Kawasaki H2 e la sua gemella cattiva H2R. Intanto chiariamo un aspetto: su queste moto la sovralimentazione &egrave; pensata unicamente per il motivo &ldquo;classico&rdquo; quello spiegato nella puntata precedente, per ottenere tanta potenza. &nbsp;In realt&agrave; ci sarebbe anche una seconda motivazione, in un periodo in cui le grandi innovazioni in campo motociclistico sono legate all&rsquo;elettronica, Kawasaki ha pensato bene di allestire una vetrina tecnologica per mostrare al mondo la potenza di fuoco del gruppo cui fa parte, non &egrave; un caso che il logo sul serbatoio sia il Kawasaki River Mark che campeggia anche su altri prodotti di Kawasaki Heavy Industries, un colosso che spazia dalla robotica, all&rsquo;aerospaziale fino alla cantieristica navale.    COMPRESSORE COLLEGATO ALL&rsquo;ALBERO MOTORE - Come detto, a Kobe hanno cercato prima di tutto tanta potenza e per farlo si sono affidati ad un compressore centrifugo, un oggettino che ha un solo grosso limite: ha un rendimento che dipende tantissimo dal suo regime di rotazione, per sfruttarlo a dovere si dovrebbe cercare di farlo funzionare in un range operativo il pi&ugrave; possibile ristretto. Per ovviare in parte a questo problema, invece di farlo ruotare affidandosi ad una turbina azionata dai gas di scarico che hanno una portata estremamente variabile dipendente non solo dal numero di giri del motore, ma anche dall&rsquo;apertura del comando gas, &egrave; stato deciso di collegare il compressore all&rsquo;albero motore, tramite ovviamente un moltiplicatore di giri. In questo modo si beneficer&agrave; di una sovrappressione che cresce in modo proporzionale (ma non lineare) col regime di rotazione, insomma quando si passeggia col motore a bassi regimi la spinta sar&agrave; quella di un tranquillo aspirato di pari cilindrata, quando invece si fa sul serio la spinta sar&agrave; molto maggiore. Il compressore &egrave; stato dimensionato proprio per dare il meglio di se agli altissimi regimi di rotazione del motore, per sincerarsene basta leggere le tecniche delle due versioni. La H2R ha il picco di coppia massima (165 Nm) a 12.500 giri/min e la potenza massima (310 CV) &egrave; a 14.000, insomma come un motore da competizione. Per ottenere la versione pi&ugrave; tranquilla H2 &egrave; stato tutto sommato semplice, la fluidodinamica &ldquo;tappata&rdquo; dalle normative di omologazione abbassa i valori assoluti di coppia e poi &egrave; stato posto il limitatore ad un regime di 11.000 giri/min addirittura inferiore al regime in cui la H2R sprigiona la coppia massima.&nbsp;    VALORI DI POTENZA AL TOP - Ribadiamo che in Kawasaki hanno scelto di sovralimentare il loro motore per arrivare a valori di potenza non ottenibili da un motore aspirato (le migliori MotoGp sfiorano i 280CV e con costi allucinanti). Un sistema di sovralimentazione cos&igrave; pensato non serve ad altro, la riprova &egrave; un confronto fra le emissioni di CO2 (precisi indicatori dei consumi) della H2 e della ZX-10R rilevate nel ciclo di omologazione. Sono motori della stessa cilindrata e di pari potenza, ma la prima ha fatto segnare 198 g/km, la seconda 162 g/km, come dire che se si pensa alla sovralimentazione in ottica potenza, per forza di cose si ottiene un motore che consuma di pi&ugrave; e che quindi va poco d&rsquo;accordo con le tematiche di rispetto ambientale di cui oggi giorno si deve tenere conto. Ma allora perch&eacute; nel settore auto cos&igrave; tanti motori sono sovralimentati? La risposta la troveremo nella prossima puntata analizzando quanto fatto da Suzuki&hellip; 

Passiamo dalla teoria alla pratica analizzando l&rsquo;unica moto attualmente a listino dotata di un sistema di sovralimentazione: la Kawasaki H2 e la sua gemella cattiva H2R

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Le regine del turbo, viaggio nel tempo

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Sovralimentazione: perché nelle moto è un’eccezione - parte 3

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