C&#39;era una volta Laverda, un marchio di motocilette italiano dal grande fascino e dal palmares sportivo di tutto rispetto, che non &egrave; mai diventata una big ma si &egrave; difesa molto bene durante gli anni &#39;60 e &#39;70 con prodotti al top di performance e qualit&agrave;. Negli anni &#39;90 non navigava in buone acque, e dopo un primo fallimento la produzione riprese con una serie di sportive e naked fuori dal tempo, dotate tutte di motore bicilindrico raffreddato ad aria e feeling da moto artigianale.&nbsp;  Un prototipo pensato per la rinascita    Nel 1998 al Salone di Monaco, la factory di Breganze present&ograve; un modello particolarissimo in forma di prototipo: la TTS 800. Non assomigliava a nient&#39;altro prodotto prima di allora, e sposava la solita scelta meccanica a due cilindri con un concetto estetico e filosofico tutto nuovo. La moto era alta da terra, con sospensioni rialzate e una seduta ampia e comoda ad accentuare il carattere turistico, in un mix di stili che ora chiameremo senza dubbio &quot;crossover&quot; e che all&#39;epoca era prerogativa della Yamaha TDM 850, prima moto di questa tipologia ad avere grande successo sul mercato e che condivideva con il prototipo italiano anche l&#39;architettura meccanica bicilindrica frontemarcia.&nbsp;  La TTS di Laverda, per&ograve;, aveva anche ciclistica rigorosamente stradale con telaio in tubi d&#39;acciaio e ruote da 17&quot; con impianto frenante davvero sportivo, probabilmente ripreso da quello della serie Formula 750 cos&igrave; come il motore, che nella carenate esprimeva fino a 92 CV, molti pi&ugrave; dei 77 della TDM. Alcune soluzioni tecniche innovative portate da questo prototipo erano senza dubbbio il serbatoio posizionato sotto la sella per abbassare il baricentro e il vano portaoggetti ricavato al posto del tradizionale posizionamento della benzina, che in questo caso ospitava anche l&#39;airbox. La strumentazione era completissima, quasi da GT, e la capacit&agrave; di portare bagagli era affidata a un portapacchi posteriore e a una serie di valigie laterali (non presentate con la moto, ma nel programma di accessori dedicati). Bello anche il doppio scarico alto dal sapore off-road.    &nbsp;  Dimenticata in brevissimo tempo  Come le altre Laverda dell&#39;epoca, l&#39;estetica era la cosa che pi&ugrave; faceva discutere. In questo caso il senso di moto artigianale dal design non molto curato &egrave; parecchio evidente. Sia la scelta cromatica che le linee disarmoniche rendevano la TTS una moto sia poco attraente che poco personale, bench&egrave; il cupolino a punta con il doppio proiettore fosse qualcosa di moderno e inedito, ma poco in armonia con il resto del mezzo, penalizzato anche da una scelta bicromatica non proprio felicissima.  Di questo prototipo, a parte qualche foto e i dati tecnici descritti, non si sa nient&#39;altro. L&#39;idea era buona ma come sappiamo tutto il progetto Laverda naufrag&ograve; pochi anni dopo a causa delle scarse vendite (quasi tutte all&#39;estero) dei modelli Formula e Ghost, che port&ograve; poi all&#39;acquisizione da parte di Aprilia nel 2000, a sua volta comprata dal Gruppo Piaggio nel 2004. Gi&agrave; Aprilia, per&ograve;, aveva in mente altro per l&#39;azienda vicentina e la TTS fu semplicemente messa via e mai pi&ugrave; ripresa in considerazione.  Laverda 650 Sport: la moto del rilancio 

Quando negli anni &#39;90 Yamaha lanci&ograve; la TDM fu un successo,&nbsp;in Italia&nbsp;Laverda decise di creare qualcosa di simile. Un&nbsp;prototipo ma che rimase tale e di quella&nbsp;moto oggi restano&nbsp;solo qualche foto e pochi dati tecnici

Laverda TTS 800: la crossover dimenticata

Una moto che avrebbe dovuto segnare il definitivo rilancio del marchio veneto, ma che a causa di tanti problemi in fase di omologazione &egrave; arrivata tardi sulle strade e non ha mai dato possibilit&agrave; all&#39;azienda di tornare ai fasti di un tempo. Questa &egrave; la prova di Motosprint del 1992

Laverda 650 Sport 1992 FOTO

Cosa vi viene in mente quando pensate a Laverda? Con molta probabilit&agrave; i missili arancioni marchiati SFC che davano filo da torcere alle Ducati nelle gare Endurance degli anni &#39;60 e &#39;70, o il mitico 6 cilindri a V. In pochi, forse nessuno, associa il nome della storica Casa veneta alla moto del nostro Rewind, perch&egrave; la 650 Sport &egrave; l&#39;inizio del capitolo conclusivo della Laverda e forse anche il meno glorioso, quello degli anni &#39;90.  LAVERDA 650 Sport, l&#39;anti-Ducati  Nei primi anni &#39;90 una cordata di piccoli imprenditori veneti ha voluto recuperare il marchio Laverda e studiare il modo di rilanciarlo. In casa c&#39;erano ancora i progetti e le linee dei vecchi motori Formula degli anni &#39;80, dei bicilindrici paralleli raffreddati ad aria, e da qui cominci&ograve; la progettazione di una nuova sportiva di media cilindrata che potesse giocarsela ad armi pari con la regina della categoria di quegli anni, la Ducati Super Sport.  Nasce qui la 650 Sport, una moto compattissima e dalle linee equilibrate, con una ciclistica di ottima qualit&agrave; costruita attorno a un telaio doppio trave in alluminio sviluppato su commissione da un&#39;industria aeronautica. L&#39;estetica non &egrave; di quelle che lasciano il segno, ma &egrave; senza dubbio tipicamente italiana, e quello che davvero sorprende sono le dimensioni compatte e le quote svelte, oltre al motore che era capace di erogare pi&ugrave; di 70 CV, un risultato di tutto rispetto dato che la Ducati 750 SS dell&#39;epoca non riusciva ad arrivare a quella cifra. Con una 650, Laverda aveva lanciato il guanto di sfida alla settemmezzo Ducati.    Una ripartenza che non &egrave; mai veramente arrivata  Nel 1992 Motosprint ha provato un prototipo di preserie della 650 Sport, che ad oggi &egrave; sicuramente il modello pi&ugrave; raro della Laverda degli anni &#39;90. Si present&ograve; subito come una moto ancora grezza, ricca di potenziale ma con un senso di ruvidezza complessivo da dover lisciare. Le sovrastrutture, in parte, erano povere e da rifinire, le colorazioni erano fatte un po&#39; alla buona senza una vera cura stilistica di adesivi e qualit&agrave; della verniciatura, mentre la ciclistica era gi&agrave; in ordine. Il tester era stato piacevolmente colpito dal comportamento dinamico, bench&egrave; si trattasse di un punto di partenza da sviluppare e affinare per essere vincente sul mercato.  Ecco, quel punto di partenza rimase tale e l&#39;evoluzione del progetto fu molto lenta, tanto da ricevere l&#39;omologazione solo in alcuni paesi europei e con le vendite limitate si limit&ograve; anche lo sviluppo del progetto. Sar&agrave; solo nel 1995 che potemmo comprarla anche in Italia, ma era gi&agrave; tempo di cambiamenti e da l&igrave; a poco il progetto si trasform&ograve; nel Formula 750, stessa base tecnica ma sovrastrutture un po&#39; pi&ugrave; curate e motore pompato. Nel 1998 la Ducati vinceva i mondiali Superbike con il bicilindrico pi&ugrave; evoluto e potente di sempre, mentre Laverda rimase &quot;al palo&quot; con un biclindrico ad aria poco appetibile per il mercato e con molti problemi di affidabilit&agrave; e assistenza mai risolti.  Gira pagina per leggere il nostro test del 1992:  &nbsp;  Scrivevamo su Motosprint nel 1992    &quot;A guardarla, ma anche a guidarla, sembra una 125. &egrave; una gran bella sportiva La nuova 650 veneta col suo look svelto, moderno, filante, efficace, reso pi&ugrave; grintoso da un doppio scarico perentoriamente eretto ed aderente al gruppo sella come sulle bicilindriche Ducati. Le uniche cose che ci sembrano perfettibili sono il gruppo ottico anteriore troppo basso e sottile, e la colorazione del telaio, che per via dell&#39;anno digitazione nera, non risulta ben evidenziato. Sul fronte delle finiture anche se quello che abbiamo avuto fra le mani era poco pi&ugrave; di un prototipo, la media Laverda si fa apprezzare per la scelta accessoristica di alto livello e di numerosi pezzi eseguite artigianalmente come il serbatoio in lamierino di alluminio che riempie accuratamente tutti gli spazi del sottosella. da rimarcare il telaio realizzato da un industria Aeronautica ed anodizzato in nero anche all&#39;interno, gli scarichi Lafranconi, i freni Brembo, le ruote Marchesini, le sospensioni White Power e particolari tutt&#39;altro che secondari come i tubi idraulici in treccia metallica.  Per quanto la nuova seiemmezzo Laverda sia stata evidentemente ottimizzata per i piloti di statura media e bassa, anche i lunghi di gamba non si trovano particolarmente a disagio: il manubrio regolabile offre una buona impugnatura grazie al corretto dislivello rispetto alla sella, mentre le pedane, per quanto sportive, si rivelano tutt&#39;altro che affaticanti. Tutt&#39;altro che impegnativa da condurre la bicilindica veneta garantisce una buona comunicativa, ed anche se risulta afflitta da un raggio di sterzo non certo contenuto, si dimostra agile, di facile comprensione, ed apprezzabilmente confortevole: le vibrazioni grazie al lavoro del contralbero, risultano decisamente tollerabili&nbsp; e le sospensioni offrono una taratura piuttosto morbida, specie la forcella, mentre il cupolino serve solo a divergere un po&#39; il carico dell&#39;aria, ma non rappresenta un vero riparo.  Per quanto non dolcissima sui percorsi stretti si fa neutra ed efficace alle medie andature over risponde con rigore e precisione, e mostra solo una larvata tendenza ad allargare in accelerazione sul veloce. Per compensare la personalit&agrave; dei pneumatici la macchina va dunque guidata di forza, indirizzandola di manubrio con decisione ed agendo opportunamente sull&#39;acceleratore. Il punto debole della moto resta la taratura delle sospensioni, sulla quale si sta lavorando. La frenata esuberante per prontezza e pastosit&agrave; al tempo stesso, ed &egrave; al prezzo di un ridotto carico sulla leva, con bilanciante aiuto del freno motore, consente decelerazioni davvero calibrate. Il motore &egrave; stata una vera riscoperta 2 punti pi&ugrave; regolare, generoso, pulito.&nbsp;  E&#39; decisamente meno vibrante che in passato punto estrae dalle curve anche da soli 3000 giri con una forza che davvero non si attribuirebbe ai suoi 650 cc, ed &egrave; un peccato che fra 4000 e 5500 giri la curva di erogazione perda smalto. La frizione richiede un ridotto carico per il disinnesto ma si sta lavorando per migliorarne la progressivit&agrave;, mentre il cambio, piuttosto preciso e ben spaziato, ha la corsa un po&#39; lunga.&quot;    Rewind: Gilera Nordwest 600 

Doveva essere il modello della rinascita per il Marchio di Breganze, dopo i ripetuti fallimenti degli anni &#39;80, ma fu poco pi&ugrave; che una meteora. Ore &egrave; un bel pezzo da collezione, ma nel 1992 era una rivale delle Ducati Super Sport&nbsp;

Rewind, Laverda 650 Sport: la moto del rilancio

        Componentistica di alto livello. Impostazione da purosangue racing. Il fascino di un blasone che ancora oggi fa battere forte il cuore. Alla Laverda 750 S Formula non mancava davvero nulla per sfondare. Una freccia di Cupido puntata dritta al cuore degli appassionati di carenate made in Italy; e un&rsquo;altra, avvelenata, pronta a colpire la rivale Ducati 748. Eppure, le cose sono andate diversamente. ANALISI DEL MODELLO Era il 1998 quando la 750 S Formula si mostrava per la prima volta al grande pubblico: telaio a doppio trave in lega di alluminio lucidato, sospensioni Paioli pluriregolabili, freni Brembo, terminali di scarico Termignoni rivestiti in carbonio, cerchi Marchesini, pedane regolabili; un concentrato di pura raffinatezza motociclistica, spinto da un bicilindrico frontemarcia ad iniezione elettronica a 8 valvole, accreditato di oltre 92 cavalli. La decina di cavalli in pi&ugrave; rispetto alla 750 Sport da cui derivava erano stati ottenuti grazie ad un accurato lavoro di affinamento, che riguardava le termiche, il profilo delle camme, la forma dei condotti e l&rsquo;adozione di valvole maggiorate. Oltre, naturalmente, ad una nuova mappatura della centralina. Interventi che avevano cambiato radicalmente il comportamento del propulsore, divenuto del tutto simile a quello dei motori da corsa: erogazione appuntita e netta propensione a girare alto. Il look della moto era da togliere il fiato; e i dettagli, davvero curatissimi. Ma a stupire, era soprattutto la compattezza quasi da 250. Tra le particolarit&agrave; della Formula spiccava il posizionamento del serbatoio benzina (quello vero) sotto la sella, con il bocchettone di rifornimento nascosto dal coperchio a chiave del codino monoposto. Soluzione comune alle Laverda di quel periodo, e adottata per abbassare il baricentro della moto, a tutto vantaggio della guidabilit&agrave;.Il punto di forza, per&ograve;, era soprattutto la ciclistica, che come detto, puntava su componenti di altissima qualit&agrave;. Precisa e stabile sul veloce, precisa e veloce nell&rsquo;inserimento in curva. La frenata era eccezionale. Anche se, probabilmente, al retrotreno ci sarebbe stato meglio uno pneumatico da 180/55 anzich&eacute; 160/60. Sebbene, infatti, quest&rsquo;ultimo le donasse elevata maneggevolezza e rapidit&agrave;, l&rsquo;erogazione brusca e nervosa della coppia nella guida al limite, poteva metterlo facilmente in crisi. LA FORMULA IN CIFRE Snoccioliamo un po&rsquo; di numeri: 92 cavalli, 185 kg a secco, 235 km/h e un prezzo di oltre 23 milioni di lire chiavi in mano; concorrenziale solo nei confronti della Ducati 748, ma pi&ugrave; alto di quello della ben pi&ugrave; potente Yamaha R1, la &ldquo;hypersport&rdquo; di riferimento del periodo. E ALLORA, PERCH&Eacute;? Una moto, che avrebbe dovuto &ldquo;rilanciare&rdquo; il glorioso passato della Casa vicentina, quello legato alle SFC 750 degli anni settanta. Ma allora, cos&rsquo;&egrave; successo? Cos&rsquo;&egrave; che non ha funzionato? Perch&eacute; il mercato non l&rsquo;ha premiata?Diverse le concause: a partire da un&rsquo;affidabilit&agrave; non esattamente al top (noti i problemi d&rsquo;avviamento), passando per la crisi finanziaria dell'azienda che alla fine l&rsquo;ha messa in ginocchio. Ma anche un mercato moto che vedeva l&rsquo;arrivo di sportive giapponesi pi&ugrave; &ldquo;trattabili&rdquo;, e non meno emozionali grazie all&rsquo;elevata potenza a disposizione; come ad esempio la Yamaha YZF R1, venduta per altro ad un prezzo inferiore.&nbsp; IL RISCATTO Un piccolo riscatto, la Laverda 750 S Formula lo sta vivendo in tempi recenti tra i collezionisti; un mercato, in cui i pochi esemplari in circolazione vengono venduti a prezzi non da poco. Con la certezza, per chi riesce ad accaparrarsene una, di ritrovarsi in garage una sportiva dal carattere unico, e autentico appeal &ldquo;da primadonna&rdquo;. Rewind, Kawasaki ZZR 1100: la superdotata       

Le premesse per affermarsi tra le sportive del suo tempo c&rsquo;erano tutte, eppure la storia &egrave; andata diversamente: analisi di un insuccesso

Laverda 750 S Formula: un vero peccato!

La 750 SF non nasce subito, ma &egrave; semmai la sintesi finale di un&#39;evoluzione che parte dalla 650 GT, anno 1967. La moto da turismo l&#39;anno dopo sale gi&agrave; a 750 cc, ma per divenire sportiva a tutti gli effetti bisogna attendere il &#39;69, con la 750 S. Negli Stati Uniti viene venduta come American Eagle, e ha successo. La svolta, per il mercato italiano, &egrave; vicina. Arriva cos&igrave; il 1970, e con esso la Laverda 750 SF

Laverda: la mitica 750 SF compie 50 anni - FOTO

A volte basta un&#39;intuizione. Un&#39;idea che diventa presto scintilla in grado di infiammare tutto quello che c&#39;&egrave; attorno. E di cambiare le sorti di un&#39;azienda. Vedi Massimo Laverda e quel viaggio negli Stati Uniti. Massimo, AD del Marchio di famiglia, sa benissimo che in Italia, all&#39;inizio degli anni Sessanta, il mercato delle moto non va alla grande. Le immatricolazioni delle due ruote sono in netto calo, in casa Laverda gli affari non vanno benissimo, e i concorrenti Benelli e Morini danno battaglia.  Moto Laverda, settant&#39;anni del marchio  Massimo Laverda torna dagli States con un&#39;intuizione: bisogna tornare a fare moto di grossa cilindrata, esemplari realizzati per appagare la guida della clientela. Basta 125 o modelli come Gemini, una 200 cc unica moto Laverda ad aver avuto fortuna negli USA: per le strade americane girano le Harley-Davidson e le bicilidriche inglesi, dobbiamo proporre qualcosa di simile anche noi. Le reticenze, all&#39;inizio, ci sono, poi si d&agrave; il via libera al progetto maxi moto. Il progetto che dar&agrave; vita a una moto storica, Laverda 750 SF, una sportiva iconica, che quest&#39;anno&nbsp;compie 50 anni.    LA MAXI MOTO PI&ugrave; VENDUTA IN ITALIA, HONDA KO  La 750 SF non nasce subito, ma &egrave; semmai la sintesi finale di un&#39;evoluzione che parte dalla 650 GT, anno 1967. La moto da turismo l&#39;anno dopo sale gi&agrave; a 750 cc, ma per divenire sportiva a tutti gli effetti bisogna attendere il &#39;69, con la 750 S. Negli Stati Uniti viene venduta come American Eagle, e ha successo. La svolta, per il mercato italiano, &egrave; vicina.    Arriva cos&igrave; il 1970, e con esso la Laverda 750 SF. Dove SF sta per Super Freni, i freni a tamburo realizzati dalla stessa Laverda per l&#39;occasione, caratterizzati da un sistema di raffreddamento con ventola interna. Naturalmente, il motore bicilindrico ha una cubatura di 743,9 cc, la potenza erogata &egrave; di 60 CV e 67 Nm di coppia.  Il successo sul mercato fu immediato, anche grazie al prezzo concorrenziale a tante moto concorrenti. Nel 1972 diviene la maxi moto pi&ugrave; venduta d&#39;Italia, grazie al milione di lire e poco pi&ugrave; che servivano per portarsela a casa, battendo mostri sacri della categoria come la Honda CB750 Four e la V7 Sport di Moto Guzzi. Le sue prestazioni le consentirono di affacciarsi anche nell&#39;universo racing, entrando a far parte della categoria &quot;derivate di serie&quot;, le odierne superbike: evoluzione sportiva che poi verr&agrave; sublimata con la versione SFC, dedicata alle gare endurance.  Laverda SFC 1000: chi la ricorda?  La produzione termina nel 1976. Sei anni sufficienti a far diventare 750 SF l&#39;ammiraglia della Casa di Breganze, e senza dubbio una delle maxi cilindrate pi&ugrave; famose della storia d&#39;Italia. Auguri, Laverda. 

Nei primi anni Settanta divenne la moto di grossa cilindrata pi&ugrave; venduta d&#39;Italia, riuscendo a battere la Honda CB750 Four: storia di una sportiva nata da un&#39;intuizione di Massimo Laverda

Laverda: la mitica 750 SF compie 50 anni

        Compleanno importante, quello appena trascorso, per il mondo delle due ruote: il 13 ottobre 1949 iniziava la produzione di motociclette da parte della Moto Laverda, azienda di Breganze (Vicenza) che fino ad allora era specializzata in macchine agricole. Settant&rsquo;anni dalla fondazione di un marchio che purtroppo &egrave; scomparso all&rsquo;inizio degli anni Duemila. LA FONDAZIONE - Nel secondo dopoguerra Francesco Laverda, dopo anni di ricerca e progettazione, e soprattutto dopo anni di collaborazione con l&rsquo;azienda di famiglia nel settore agricolo, trova nelle moto &ldquo;leggere&rdquo; un terreno fertile per le proprie idee imprenditoriali. Nel 1947 viene prodotto il prototipo della Laverda 75, abbastanza potente rispetto ai bassi consumi. Dopo la fondazione della Moto Laverda, la 75 viene inserita nella catena di produzione con 50 esemplari che sono gli stessi abitanti di Breganze a collaudare. SF REGINA SPORTIVA - Moto di piccola cilindrata, ciclomotori e scooter sono al centro della gamma Laverda fino agli anni Sessanta, fino a quando Massimo Laverda, figlio di Francesco, d&agrave; la svolta all&rsquo;azienda puntando alle cilindrate pi&ugrave; grandi. La Laverda 650 &egrave; del 1966 e anticipa quello che sar&agrave; il vero successo della Casa: Laverda 750 viene esportata in tutto il mondo e la serie SF si impone nel mondo delle sportive. Tra il 1968 e il 1976 la SFC, con la sua livrea arancione, vince tante competizioni dedicate alle moto di serie in tutta Europa. Ricordiamo tra l&rsquo;altro anche il raid Alaska &ndash; Terra del Fuoco (34.000 km) che i milanesi Bertuzzi e Falzoni portarono a termine nel 1972. FINO AL DUEMILA - Dagli anni Settanta si avvia la produzione delle cilindrate 1000 e 1200, raggiungendo l&rsquo;apice con la Laverda 1000 RGS del 1981. Non mancano nella gamma delle motorizzazioni anche le pi&ugrave; piccole 350 e 500, fino alle 125 e i cross. Dagli anni Novanta, a causa di una crisi finanziaria dell&rsquo;azienda, Laverda va verso un accorpamento prima al Gruppo Aprilia (2000) e poi al Gruppo Piaggio, nel 2004. Pur se scomparso, il marchio Laverda conserva per s&eacute; un posto importante nella storia della motocicletta italiana.       

Il 13 ottobre &egrave; stato l'anniversario della fondazione della Casa di Breganze (VI). Dopo decenni di modelli tra piccola e media cilindrata, all'inizio degli anni Duemila l'azienda &egrave; uscita dal mercato, rimanendo un nome importante per la storia della moto italiana

Moto Laverda, settant'anni del marchio

        Domenica 11 giugno l&rsquo;Autodromo di Modena ospita la prima edizione di "Modena Revival. Belle Storie e Grandi Motociclette", una manifestazione per moto d'epoca che comprende anche il XV Memorial Walter Villa, con la tradizionale esposizione di cimeli del pilota. Un Meeting FMI che prevede 4 turni di 15 minuti ognuno di prove libere, per i possessori di Tessera FMI 2017 con moto iscritte al Registro Storico FMI. Gli iscritti alle Prove Libere sono divisi in 4 Classi ed entreranno in pista secondo gli orari previsti. Il costo di iscrizione a queste Prove Libere di Gruppo 3 &egrave; di &euro; 100,00, compreso pranzo a buffet.&nbsp; Modena Revival si rivolge anche a tutti i possessori di moto Laverda, per ritrovarsi insieme nel paddock con la possibilit&agrave; di incontrare l'ingegner Piero Laverda insieme alla "mitica" 1000 6 Cilindri; Carlo Atzeni, Presidente del Registro Storico Laverda e &nbsp;Massimo Borghesi, Presidente del Laverda Club Italia. Il programma prevede anche: - Possibilit&agrave; di iscrivere la propria Laverda al Registro Storico FMI direttamente in Autodromo, purch&eacute; la moto sia in regola con il Codice della Strada, abbia compito 20 anni dalla data di prima immatricolazione, il proprietario sia in possesso della Tessera FMI 2017. Il costo dell&rsquo;operazione &egrave; di 70 euro. - Corso Hobby Sport FMI. Primo contatto con le 2 ruote per giovanissimi fino a 14 anni, gestito da Simona e Marco Villa (i figli di Walter), con Minimoto e protezioni personali fornite dagli urganizzatori. - Mostra di numerosi disegni di Giorgio Serra, il celeberrimo "Matitaccia" di Motosprint. - Presentazione ufficiale del volume "1000 6 Cilindri", dell'ingegner Piero Laverda. - "Giro di Pista", a velocit&agrave; controllata, in esclusiva per i Tesserati FMI 2017 su Laverda. Inoltre: Sabato 10 giugno, con partenza alle ore 15: - Visita in moto al Museo Salsapariglia, organizzato dal Moto Club 2000 di Modena. Informazioni, modulo di iscrizione e orari sono reperibili qui. &nbsp;       

Domenica 11 giugno la prima edizione all'insegna di "Belle Storie e Grandi Motociclette". Ci sono anche il XV Memorial Walter Villa e il Raduno Laverda

Modena Revival

Laverda&nbsp;&egrave; un&nbsp;Marchio che nell'ultimo ventennio ha vissuto, senza dubbio, un'esistenza&nbsp;molto travagliata.&nbsp;  Ormai&nbsp;quindici anni fa,&nbsp;nel 2000, viene acquistata dall'Aprilia e solo poco tempo dopo,&nbsp;nel 2004, il Gruppo Piaggio li rileva entrambi.  Ma prima di tutto questo, nel 1998, veniva presentata al Salone di Monaco la TTS 800: questa&nbsp;moto apriva un nuovo settore per la Casa veneta, che fino a quel momento aveva nella&nbsp;gamma solo naked e sportive.  Un prototipo che&nbsp;adottava un propulsore bicilindrico in linea di 800 cm3, e come per le altre Laverda di quegli anni, aveva il serbatoio dislocato sotto la sella, per avere cos&igrave; a disposizione un capiente vano portaoggetti nello spazio&nbsp;dove tradizionalmente si trova il carburante.  Chiaramente la moto non and&ograve; mai in vendita. Speriamo che il Gruppo Piaggio decida di rispolverare&nbsp;al pi&ugrave; presto quel&nbsp;glorioso Marchio italiano che &egrave; stato Laverda per moltissimi anni.    &nbsp;

Laverda nel 1998 espone a Monaco la TTS 800 che per&ograve; non fu mai lanciata sul mercato

Prototipo: Laverda TTS 800

EICMA 2003, l&rsquo;Aprilia aveva da qualche anno acquisito il glorioso marchio Laverda ed era pronta a rilanciarlo con un nuovo veicolo che avrebbe portato come nome il famoso e storico SFC 1000. Si trattava di una supersportiva che avrebbe adottato il motore bicilindrico a V di 60 gradi che equipaggiava anche le RSV 1000, capace di erogare ben 133 CV. Il telaio invece era un traliccio in tubi tondi d&rsquo;acciaio e l&rsquo;ammortizzatore era in posizione laterale come alcuni modelli Aprilia di oggi.  La commercializzazione era prevista per il 2004, anno per&ograve; cruciale per le sorti non solo di Laverda, ma anche per Aprilia e Moto Guzzi facendo parte della propriet&agrave;, infatti verso il finire di quella stagione il Gruppo Piaggio acquist&ograve; tutte le marche, archiviando un nuovo corso per Laverda.

Il prototipo venne presentato a EICMA 2003. La commercializazione era prevista per l&rsquo;anno dopo. Invece...

Laverda SFC 1000: chi la ricorda?

Cos&rsquo;&egrave; il genio? &ldquo;Fantasia, intuizione, colpo d&rsquo;occhio e rapidit&agrave; di esecuzione&rdquo;: citazione dal celebre film di Mario Monicelli &ldquo;Amici miei&rdquo;. Massimo Laverda, prematuramente scomparso qualche anno fa, mente e braccio della Moto Laverda negli anni che abbracciano il periodo pi&ugrave; importante della storia motociclistica italiana, us&ograve; giusto queste doti per lanciare una versione del modello allora di punta della Casa veneta, la 750 SF, che oggi come oggi &egrave; diventata un vero e proprio mito: la Laverda 750 SFC.  Le corse delle maximoto, che fin dalla fine degli anni &rsquo;60 iniziavano a proliferare in giro per l&rsquo;Europa, non lasciarono indifferente la Laverda. Gi&agrave; la Casa di Breganze aveva a listino una moto di prestazioni assolute, di certo competitiva con qualsivoglia modello della concorrenza, ma occorreva qualcosa di pi&ugrave;, qualcosa di meglio&hellip; Con fantasia si &ldquo;invent&ograve;&rdquo; una versione cattiva per davvero; con intuizione si scelsero le componenti tecniche giuste e ben assemblate; a colpo d&rsquo;occhio la nuova nata era anche bellissima e la rapidit&agrave; con cui si fece tutto questo, con cui arrivarono le migliorie e gli aggiornamenti tecnici, fu davvero esemplare.Cos&igrave;, partendo dalla ormai famosa gara della 24 Ore di Oss (Olanda), nel 1969, dove ben figurarono i piloti Brettoni e Laverda, entrambi con uno pseudonimo, la prima met&agrave; degli anni Settanta fu densa di gare che videro la SFC protagonista, con piloti che negli anni a venire ebbero palcoscenici mondiali. Nel 1969 ancora non si parlava di SFC, infatti la gara olandese fu disputata con una 750S preparata per l&rsquo;occasione, ma da quella esperienza in poi, la decisione di rendere disponibile a piloti privati una Laverda praticamente pronto corsa, diede il la alla nascita nel 1971 della prima serie della Super Freni Competizione. In realt&agrave; la prima serie della SFC era parecchio vicina alla versione SF, tanto da risultarne una, per quanto efficace, seria e validissima, elaborazione. Questo aspetto ha, oltretutto, portato ad una relativa facilit&agrave; di falsificazione del modello partendo da una SF; voci ufficiose parlano di un numero di richieste di iscrizione al registro storico ben superiore al numero di motociclette prodotte nel periodo 1971-1976, che &egrave; di 549 esemplari. Ben altro sviluppo si ebbe a partire dalla seconda serie che, assieme alla terza, abbiamo qui oggi a disposizione per gentile concessione di Orazio ed Andrea Gabba. Ricordiamo comunque che la prima serie della SFC differiva dalla SF in svariati particolari: la ovvia differenza di carrozzeria e cosmesi, ritocchi alla distribuzione e alle valvole, interventi all&rsquo;albero motore, carburatori Amal, poi dismessi, una maggior cura costruttiva e diversi scarichi peraltro scarsamente utilizzati dai proprietari. Ad essi spesso si preferisce, anzi si adora, il suono emesso dallo speciale 2-in-1 fornito assieme alla moto in aggiunta a corone con diverse dentature e getti dei carburatori modificati per consentire una pi&ugrave; ampia gamma di messe a punto della motocicletta in funzione dei percorsi. In queste pagine abbiamo una &ldquo;seconda serie&rdquo; comprata nuova all&rsquo;epoca dal proprietario, oltre ad una elettronica terza serie acquistata nell&rsquo;alessandrino una quindicina di anni or sono, entrambe in condizioni di assoluta originalit&agrave;, conservazione e stato. Per sintetizzare gli aggiornamenti della seconda serie diremo che questa vedeva un nuovo telaio con il posteriore abbassato, la dotazione del triplo disco Brembo che giusto in quegli anni, 1974, stava iniziando a diffondere il proprio marchio sulle motociclette, serbatoio carburante e fianchetti differenti, carburatori Dell&rsquo;Orto, gi&agrave; presenti in qualche esemplare di fine prima serie, oltre a numerose altre piccole modifiche. La terza serie vide l&rsquo;adozione dell&rsquo;accensione elettronica e di un radiatore dell&rsquo;olio, oltre a piccole modifiche alla parte alta del motore; alla fine della carriera si videro le ruote in lega.  Oggi cosa possiamo dire della SFC? Di certo che &egrave; un pezzo di medio-alta caratura se parliamo di collezionismo: la rarit&agrave;, la scarsa disponibilit&agrave; a separarsene da parte dei proprietari, il fascino di una vera superbike anni &rsquo;70, il gusto della guida, soprattutto nella seconda e terza serie, l&rsquo;affidabilit&agrave; quasi proverbiale, fatti salvi i disastri dovuti a cattiva manutenzione e cura e una lieve usura ai bilancieri legata per&ograve; alla scarsa qualit&agrave; dei lubrificanti dell&rsquo;epoca e all&rsquo;incuria, ne fanno davvero una moto della quale &egrave; molto facile innamorarsi. Nell&rsquo;uso, la prima cosa che salta all&rsquo;attenzione &egrave; la posizione di guida, molto caricata sui piccoli semimanubri, che uniti alla minuscola sella monoposto danno ben poco margine di manovra al pilota, soprattutto se di taglia XL. In realt&agrave;, non appena ci si muove c&rsquo;&egrave; lo spazio che serve e la nostra attenzione viene attirata dall&rsquo;ormai desueto cambio a destra con prima in alto, difficile da digerire per chi ha meno di 45 anni. Il motore &egrave; sempre pronto all&rsquo;avviamento, seguendo le regole base per una moto di quegli anni. Le vibrazioni rendono la SFC viva, pulsante, desiderosa di muoversi e correre, e una volta partiti si ha a che fare con un motore che non lesina mai i cavalli di cui dispone e la spinta che concede &egrave; sempre maggiore dell&rsquo;impressione che si ha ascoltando il rumore. In sostanza, non sembra, ma &egrave; un motore che fa strada. Quando arrivano le curve, la rocciosit&agrave; della moto, dopo che la frenata &egrave; stata commisurata all&rsquo;impianto Brembo di allora e non alle pinze monoblocco odierne, diventa solamente un peso da spostare. Di quanto? Decidiamo noi, senza troppi patemi e difficolt&agrave;, badando ad &ldquo;ascoltare&rdquo; a modo i consigli della SFC, molto sincera e comunicativa, con le sue sospensioni Ceriani, allora eccellenti e buone ancor oggi... Ho avuto il piacere di vedere il proprietario muoversi con disinvoltura sulle colline dell&rsquo;Appennino parmense, lasciando leggermente basiti possessori di moto ben pi&ugrave; attrezzate e moderne che non si capacitano di come una moto di 37 anni fa possa avere quelle doti. E non parliamo, ovviamente, di prestazioni pure, di velocit&agrave; supersoniche e accelerazioni mozzafiato. La sorpresa resta tale fino a che non capita la fortuna di usarne una. Averla sarebbe troppo&hellip; e poi, sarebbe una rarissima vera SFC o la C sarebbe solo &ldquo;usurpata&rdquo;?  

Imponente, arancione e maschia nella guida, assolutamente unica nel suo genere. &Egrave; pi&ugrave; facile innamorarsi del fascino di una moto particolare come questa che di una &ldquo;sciacquetta&rdquo; qualsiasi