Quello che vi stiamo per raccontare &egrave; un piccolo grande viaggio. Piccolo perch&eacute; chiunque lo pu&ograve; affrontare con qualsiasi moto, non richiede trasferimenti in terre esotiche e lo si pu&ograve; compiere in un tempo breve, persino in un solo giorno se lo si desidera. Ed &egrave; grande perch&eacute; attraversa un territorio unico sia per la sua conformazione sia per la sua storia, ma anche perch&eacute; ha in s&eacute; il germe della sfida offerta dall&rsquo;affrontare uno dietro l&rsquo;altro ben sette dei pi&ugrave; alti passi alpini. Sotto le nostre ruote si susseguiranno Fauniera, Lombarda, Bonette, Vars, Izoard, Agnello e Sampeyre per un&rsquo;ascesa totale di dodicimila metri in meno di quattrocento chilometri.    &nbsp;  Il paradosso alpino  Per raccontarvi quest&rsquo;avventura, per&ograve;, dobbiamo partire da molto, molto lontano. Immaginiamoci, per un istante, nel castello di Brian&ccedil;on. La luce primaverile del mattino filtra dalle trifore e si appoggia tagliente sul tavolo di Umberto II &ldquo;il vecchio&rdquo;, il Delfino che amministra le valli di confine tra quelle che un d&igrave; saranno Francia e Italia. &Egrave; il 29 maggio del 1343, siamo nel Basso Medioevo, un periodo noto pi&ugrave; per le vessazioni dei nobili nei confronti dei ceti pi&ugrave; poveri che per la libert&agrave; individuale e la prosperit&agrave; culturale. Eppure su quel tavolo si sta ponendo la firma per un&rsquo;eccezione che non ha precedenti al mondo. Al cospetto del rappresentante di sua Maest&agrave; il Re di Francia, ci sono diciotto uomini. Sono i capifamiglia delle comunit&agrave; delle valli brianzolese, di Oulx, di Casteldelfino, della Val Chisone e di Queyras e sono qui la ratifica della &ldquo;Grande Charte&rdquo;, un documento che sancisce maggiori libert&agrave; individuali e fiscali per gli oltre quarantamila abitanti di queste valli. Porta a conclusione un processo iniziato ben cento anni prima con il Conte d&rsquo;Albon Ghigo VII ed una prima &ldquo;Carta delle libert&agrave;&rdquo;, un caso singolare non solo per l&rsquo;epoca. Di fatto gli abitanti di queste montagne diventano speciali rispetto a tutto il resto del regno. Non sono pi&ugrave; semplici sudditi da spremere, ma sono da considersi Uomini Liberi.  Vennero chiamati &ldquo;Escartons&rdquo;, dal francese &ldquo;dividere in parti uguali&rdquo; perch&eacute; soggetti ad una ripartizione pi&ugrave; equa delle imposte e fino al 1713 godranno di uno statuto fiscale e politico privilegiato che permetter&agrave; la libera circolazione delle merci, delle persone e delle idee. E il tutto superando le insidie delle altitudini imponenti di questo territorio. In epoca di analfabetismo, addirittura nove abitanti su dieci imparano a leggere, scrivere e fare di conto. Una delle professioni pi&ugrave; note qui diviene proprio il precettore, l&#39;insegnante a domicilio e gli antropologi parleranno di &ldquo;paradosso alpino&rdquo; perch&eacute; si vive meglio quass&ugrave; che in pianura.    &nbsp;  Il mito della montagna  Ancora oggi il caso della &ldquo;Repubblica degli Escartons&rdquo; (anche se il termine Repubblica &egrave; improprio) &egrave; visto come un esempio di armonia tra poteri, un equilibrio tra spinte alla globalizzazione e rivendicazioni locali. In altre parole &egrave; diventato un mito, alimentato anche da una rinnovata fame di montagna. Le nuove generazioni guardano alla vita sui crinali con occhi diversi dai loro padri e nonni che da qui scapparono verso le citt&agrave; industrializzate abbandonando villaggi un tempo prosperosi come Elva, il paese dei cavi&egrave;. Da condanna alla vita dura, vivere in montagna &egrave; diventata un&rsquo;ambizione e il mito degli Escartons alimenta nuove speranze e sogni. Val Varaita e Val Maira vedono piano piano il ritorno di giovani famiglie in cerca di una maggior comunione con la natura, qui verde, rigogliosa ma anche severa. &Egrave; un&rsquo;aspirazione spesso idealizzata, non sempre praticabile, ma che riscopre questi territori e ce li mostra pi&ugrave; dinamici. Per quattro secoli lo sono stati e dall&rsquo;idea di raccontare l&rsquo;eccezionalit&agrave; di questo territorio &egrave; nato questo viaggio.    &nbsp;  Una moto tascabile per scalare le vette  Il bisogno personale di affrontarlo nel modo pi&ugrave; umile possibile ci ha portato a scegliere come cavalcatura un ronzino, una piccola 125 quattro tempi con ruote da 12 pollici. Una moto petit per scalare le vette tr&egrave;s haut e omaggiare ossequiosamente i giganti di roccia e gli uomini liberi che li hanno solcati. L&rsquo;itinerario &egrave; stato disegnato ad anello. Di fatto, chi volesse replicarlo, potr&agrave; farlo tanto in senso orario quanto antiorario partendo e fermandosi dove desidera. Noi abbiamo scelto la prima opzione, stabilendo la base nel piccolo borgo di Stroppo, Val Maira. Estrop in occitano, la lingua che accumunava gli Escartons, conta un centinaio di residenti e supera i mille metri tra il punto pi&ugrave; basso e quello pi&ugrave; alto. Qui, oltre alla chiesa dei santi Pietro e Paolo, merita una visita il Santuario di Santa Maria di Morinesio. Noi, decidiamo di lasciarlo per il rientro perch&eacute; con la piccola Benelli TNT 125 partiamo alle prime luci del mattino in direzione opposta.    &nbsp;  La prima salita: Col d&#39;Esischie e Fauniera  La prima salita che affrontiamo &egrave; quella per il Colle di Fauniera (2.481 m). Per arrivarci prendiamo per Ponte Maira e seguiamo le indicazioni per il Col d&rsquo;Esischie passando per il territorio di Castelmagno, celebre per il formaggio Dop. Affrontiamo una pendenza media del 7,1% per pi&ugrave; di 20 km prima di raggiungere la vetta con il monumento dedicato &ldquo;al pirata&rdquo;. Fu qui che nel 1999 nella tappa Bra - Borgo San Dalmazzo, Marco Pantani scatt&ograve; in salita strappando la maglia rosa a Laurent Jalabert. Queste sono le vette del ciclismo pi&ugrave; epico di Giro d&rsquo;Italia e Tour de France e a sentire lo sforzo del piccolo 125 ci sembra impossibile che non solo i professionisti ma anche molti amatori affrontino queste scalate. Ma a quest&rsquo;ora le uniche ad uscire allo scoperto incuriosite dal nostro passaggio sono delle marmotte paffute che ci guardano perplesse. Il Colle di Fauniera non &egrave; tra i pi&ugrave; celebri ed &egrave; una continua sorpresa: mentre ridiscendiamo verso Demonte, con la strada che per un brevissimo tratto diventa bianca, pensiamo che la sveglia all&rsquo;alba sia gi&agrave; stata ampiamente ripagata.    Si va oltre confine: il Col della Lombarda  Risaliamo lo Stura per poi deviare verso il Santuario di Sant&rsquo;Anna di Vinadio e affrontare il Col della Lombarda (2.350 m): 22,5 km e 6,6% di pendenza media. Prima di entrare in territorio francese, non resistiamo ad un caff&egrave; al baracchino in vetta, ma ci accorgiamo che &egrave; gi&agrave; troppo tardi: rimarr&agrave; un mistero il perch&eacute; i francesi non lo sappiano fare neppure con le cialde. A consolarci ci pensano la vista e un pezzo di torta fatta in casa presa dall&rsquo;abbondante colazione a Stroppo. Proseguiamo dunque verso Isola 2000 per scendere in picchiata ad Isola su una strada perfettamente asfaltata e immersi nella vegetazione del Parco naturale del Mercantour. Oggi &egrave; considerato un unicum con il Parco naturale delle Alpi Marittime quasi a ribadire quanto il concetto di confine orografico sia da superare come al tempo degli Escartons.    &nbsp;  La celebrit&agrave;: il Col della Bonette  Dopo tante e piacevoli curve in cui provare il grip, la strada diventa un inatteso rettilineo. Ci offre la scusa per rabboccare il serbatoio - sai mai - prima della pi&ugrave; lunga e celebre delle salite di questo giro: la Bonette. Approcciarla dal versante sud ci d&agrave; il vantaggio di una pendenza meno ripida (solo il 6,2%) per 26,7 km. Il cielo &egrave; terso ed &egrave; la giornata perfetta per salire quass&ugrave;. Scopriamo cos&igrave; che anche in giorno feriale &egrave; meta per motociclisti, ciclisti, automobilisti e anche qualche camperista&hellip; Una delle particolarit&agrave; della Bonette, oltre al paesaggio che da rigoglioso si fa lunare, &egrave; che quasi per un vezzo i francesi decisero di far proseguire la strada oltre al valico (2.715 m) per fare il giro della cima e toccare quota 2.802 metri. Ritenevano, cos&igrave;, di aver realizzato la strada carrozzabile pi&ugrave; alta d&rsquo;Europa in quanto superava il Passo dello Stelvio (2.755 m) ma si sbagliavano perch&eacute; il Col del Sommeiller in Val di Susa, seppur non asfaltato, raggiunge i 2.993 metri. Al di l&agrave; di questi bisticci, il Colle della Bonette &egrave; uno dei luoghi magici che un motociclista deve vivere almeno una volta. Attendiamo il nostro turno per scattare la foto di rito al ceppo e affrontiamo in discesa il versante pi&ugrave; ripido.    La cenerentola: il Col di Vars  Raggiunto il piccolo ma animato centro di Jausiers proseguiamo fino a Saint-Paul-sur-Ubaye dove, in una sorta di fienile, si trova un piccolo Mus&eacute;e de la Moto con pezzi di varie epoche. Rimandiamo per&ograve; la visita al prossimo passaggio, perch&eacute; i morsi della fame si fanno sentire e ci aspetta il quarto &ldquo;gran premio della montagna&rdquo;. Il Col di Vars con i suoi 2.108 metri &egrave; un po&rsquo; la cenerentola di questo percorso. La salita &egrave; di appena 8 km, la pendenza media del 7,6% e si procede dolcemente tra prati fioriti e baite, ma poco prima della cima la strada si arrabbia e la pendenza diventa del 12%. Ci sembra di faticare come scalatori al solo sentire il piccolo monocilindrico sbraitare mentre scaliamo fino alla prima marcia per prendere giri. Evidentemente non siamo i soli ad aver bisogno di una pausa. Sono ormai le due di pomeriggio e ci sembra quanto mai appropriato un Croque Monsieur baciati dal sole all&rsquo;Igloo Varsin. Ad un altro tavolo scambiamo un cenno di saluto con due motociclisti svizzeri arrivati su due maxi enduro: guardano la piccola Benelli, sorridono, ci fanno il pollice. Ancora non sappiamo che le nostre strade si incroceranno di nuovo a fine giornata.    &nbsp;  Col d&#39;Izoard: da manuale  Scendiamo rapidamente a Guillestre per poi affrontare la parte pi&ugrave; piatta e &ldquo;noiosa&rdquo; di tutto il percorso, quella che seguendo il Durance ci porta a Brian&ccedil;on. La liquidiamo in fretta per puntare al Col dell&rsquo;Izoard (2.360 m) tanto verde e rigoglioso nel versante settentrionale, quanto lunare e desertico in quello meridionale. Qui siamo sopraffatti dalla bellezza desolata della Casse D&eacute;serte sulle quale ci immaginiamo le gesta epiche di Louison Bobet e Fausto Coppi, la cui gloria &egrave; celebrata con due targhe sulla roccia. Se esistesse un &ldquo;manuale dei passi alpini&rdquo;, l&rsquo;Izoard sarebbe mostrato come esempio per il suo cangiare panorama, nel suo essere rigoglioso e austero, vivo e deserto, con curve da pennellare e paesaggi incredibili che impongono di rallentare fino a fermarsi ad ammirare. Nel momento in cui si svalica, tutto il mondo attorno cambia all&rsquo;improvviso in un&rsquo;entusiasmante rapsodia di verde, azzurro, grigio, giallo. Vorremmo fermarci di pi&ugrave;, ma ci aspettano ancora gli ultimi due colli in territorio italiano e non vanno sottovalutati.    Col dell&#39;Agnello: una bellezza struggente  Se l&rsquo;Izoard &egrave; un passo &ldquo;da manuale&rdquo;, il Colle dell&rsquo;Agnello ti catapulta in un dipinto di ruscelli, prati rigogliosi e punte aguzze. Arrivando dalla Francia lo vedi da lontano ma quei 21 km sembrano non avere fine e appena hai l&rsquo;illusione di avvicinarti, un tornante ti riporta nella direzione opposta. Una volta raggiunta la vetta non resistiamo a giocare allo stesso modo sulla linea che delimita il confine tra Francia e Italia. Prendiamo una boccata d&rsquo;aria resa umida da nuvole dense come panna montata: coprono tutto il versante italiano tant&rsquo;&egrave; che la strada sembra tuffarcisi dentro. Forse &egrave; cos&igrave; che la Val Varaita, indispettita, vuole accogliere il suo figliol prodigo. Senza indugi la TNT si lancia baldanzosa incurante della visibilit&agrave; scarsa. Ci&ograve; non fa che rendere questo passo ancora pi&ugrave; magico. Piano piano le nuvole si aprono come per mostrarci la stupefacente bellezza della Val Varaita. Superiamo Chianale e il Lago di Castello e scendiamo fino a Sampeyre da dove imbocchiamo l&rsquo;ultima salita, quella al colle omonimo.    &nbsp;  Colle di Sampeyre, il pi&ugrave; duro e intimo  Le pozzanghere ci rivelano che il temporale ci ha anticipato e anche lui sta concludendo il suo giro. L&rsquo;ultima ascesa &egrave; quella pi&ugrave; inaspettata: la strada stretta si inerpica in una vegetazione fitta resa ancora pi&ugrave; misteriosa dalle densa umidit&agrave;. Il Sampeyre &egrave; il meno noto dei colli, ma anche il pi&ugrave; duro e puro. Si sale per 16 km con una pendenza sopra l&#39;8% con punte che superano il 15%. E pi&ugrave; si sale su questa biscia d&#39;asfalto nel fitto del bosco e pi&ugrave; il manto si fa sconnesso con buche, sassi, radici. Non incontriamo anima viva quando, all&rsquo;improvviso, la nebbia si alza come un sipario e ci rivela la vetta all&#39;ora del tramonto. Sono passate dodici ore dalla nostra partenza e un grosso pallone giallo gioca a nascondino con le creste di confine mostrandocele ora accoglienti ora minacciose. E poi c&#39;&egrave; lui, il Monviso, che ha controllato tutto il viaggio con sguardo severo.  In cima incontro di nuovo gli svizzeri e sembrano ben pi&ugrave; sorpresi di me. Mi chiedono del giro fatto e se la piccola Benelli TNT 125 ha tenuto botta. Lei certo ha faticato un bel po&rsquo; ma non ha battuto ciglio e le aspettano altri 300 km di provinciali per tornare a Milano. Il suo cavaliere invece &egrave; anchilosato, affamato e assetato, ma solo una piacevole discesa lo separa ormai da un&rsquo;abbondante libagione. Avr&agrave; tutta la serata per ripensare a come una moto piccola renda ancor pi&ugrave; grande il paesaggio e a come raccontarlo a tutti.    Una piccola avventura per tutti  L&rsquo;entusiasmo per quest&rsquo;avventura occitana ha spinto l&rsquo;autore dell&rsquo;articolo a voler condividere il piacere di questo percorso con altri motociclisti. Il sito www.escartonsbrevet.com fornisce informazioni sul percorso, cenni storici e promuove la prima sfida moto turistica &ldquo;on-demand&rdquo; che si pu&ograve; affrontare come, quando e con chi si vuole. Iscrivendosi tramite il sito e registrando il proprio &ldquo;Escartons Brevet&rdquo; si guadagnar&agrave; il proprio posto nell&rsquo;albo d&rsquo;oro. Tra i &ldquo;Liberi&rdquo; (qualsiasi moto) o tra i &ldquo;Leggendari&rdquo; (meno di 15 CV e/o pre 1990). 

<p>Un territorio dal fascino e dalla storia unici ci permette di vivere una piccola grande avventura e toccare in un solo anello sette dei pi&ugrave; alti passi alpini. Al cospetto di questi giganti ci siamo andati con una moto minuscola.</p> 

Giganti di roccia e uomini liberi: viaggio nella terra degli &quot;Escartons&quot;

        Tempo di brevetti in casa Honda. La Casa di Tokyo, infatti, dopo aver depositato in Europa bozzetti per lo sviluppo di un nuovo concetto di motore V4, torna ora con una inedita soluzione. Si tratta di una frizione elettronica &ldquo;by-wire&rdquo;, che un po&rsquo; come l&rsquo;acceleratore ride-by-wire riesce a far a meno del collegamento diretto fra la leva al manubrio e la camma di azionamento nel carter, eliminando il classico cavetto in acciaio o il collegamento idraulico. Moto e design (parte 4), le Honda che hanno lasciato il segno  Cosa cambia Spazio dunque all&rsquo;elettronica anche per quel che riguarda la frizione, tanto che la posizione della leva verr&agrave; monitorata costantemente da una centralina dedicata che si occuper&agrave; di inviare un input specifico ad un&rsquo;unit&agrave; di controllo della pressione esercitata, oltre a comunicare alla pompa elettrica la velocit&agrave;, i giri del motore, l&rsquo;apertura del gas e altri dati, che a sua volta innesta o disinnesta la frizione. Un nuovo ritmo per le cambiate, quindi, perch&eacute; la frizione by-wire pensata da Honda &ndash; al momento solo un brevetto, pertanto non sappiamo ancora quando e se entrer&agrave; in produzione - velocizzer&agrave; l&rsquo;intero sistema come oggi lo conosciamo, andando anche a correggere eventuali errori del pilota. Il tutto, per&ograve;, mantenendo sempre il classico feeling dato dalla salda e robusta risposta di un comando della frizione di tipo tradizionale. Honda, arriva il brevetto sullo sterzo automatico anticaduta       

<p>Una frizione a comando elettronico, la nuova idea della Casa dell&rsquo;Ala, che segue lo stesso concetto dell&rsquo;acceleratore ride-by-wire</p>

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Giganti di roccia e uomini liberi: viaggio nella terra degli "Escartons"

Honda: depositato brevetto per una frizione “by-wire”