Negli ultimi anni, il mercato motociclistico ha assistito a un fenomeno sorprendente: l’ascesa rapida dei marchi cinesi che ha preso in contropiede tutto il mondo delle due ruote europeo. Un tempo visti con diffidenza, oggi questi brand stanno conquistando un numero crescente di appassionati, in gran parte grazie a un rapporto qualità-prezzo difficilmente eguagliabile.
In Italia, questo trend ha preso piede con la rinascita di Benelli, una brand acquistato dai cinesi che ha battuto ogni record di vendite e ha segnato l’inizio di una nuova era, aprendo la strada a tutto ciò che è "Made in China" su due ruote e creando una "fanbase" davvero viva e coesa.
Galeotta fu la TRK
Se un tempo l’appassionato di moto guardava con ammirazione ai modelli giapponesi, tedeschi o italiani, oggi una parte del pubblico motociclistico ha iniziato a esaltare i prodotti cinesi. L’argomentazione principale di questo nuovo filone di sostenitori è l’economicità: una moto cinese permette di avere prestazioni accettabili, tecnologia moderna e un look accattivante a prezzi ben inferiori rispetto alle alternative europee o giapponesi.
La Benelli TRK 502 ha giocato un ruolo chiave in questo cambiamento culturale. Questa adventure bike, nonostante non abbia le prestazioni di modelli più blasonati, ha saputo conquistare i motociclisti italiani per la sua accessibilità e la sua versatilità. Il suo successo ha fatto da apripista ad altri marchi cinesi come CFMOTO, Voge e QJMotor, che stanno gradualmente ampliando la loro presenza nel mercato europeo.
Tra entusiasmo e scontro con i brand premium
Tuttavia, non tutto il pubblico motociclistico accoglie positivamente questa tendenza. Se da un lato esiste una crescente comunità di appassionati che promuove i prodotti cinesi, dall’altro si sono create vere e proprie divisioni ideologiche all’interno della scena motociclistica. Una piccola ma rumorosa frangia di sostenitori delle moto cinesi ha adottato un atteggiamento estremamente critico verso i brand più costosi, accusandoli di proporre prezzi esagerati per un valore non sempre giustificato.
Questa polarizzazione ricorda quanto accadde a partire dagli anni '70 e '80, quando le moto giapponesi iniziarono a invadere il mercato italiano. Anche allora, molti appassionati tradizionalisti guardavano con sospetto ai nuovi arrivati, preferendo affidarsi ai marchi storici italiani ed europei. Tuttavia, l’onda giapponese si rivelò inarrestabile, e modelli di Honda, Yamaha, Suzuki e Kawasaki finirono per conquistare anche i più scettici. Oggi, la storia sembra ripetersi con la Cina.
L’esterofilia e il fascino dell’alternativa
L’entusiasmo per i prodotti cinesi non si basa solo sull’aspetto economico, ma anche su un certo grado di esterofilia che da sempre caratterizza una parte della popolazione italiana. In passato, ci fu chi preferì le moto inglesi alle italiane, poi chi scelse il Giappone rispetto all’Europa, e oggi lo stesso fenomeno si ripropone con quello che arriva dalla Muraglia.
Questa tendenza riflette un desiderio di cambiamento e di rottura con gli schemi tradizionali. Per alcuni motociclisti, sostenere le moto cinesi significa opporsi a un mercato che per anni è stato dominato da marchi storici ritenuti ormai troppo costosi e distanti dalle esigenze dell’utente medio, per altri invece è proprio un atteggiamento generale nei confronti di tutto quello che è nuovo ed esotico, e che fa pensare che l'erba del vicino sia sempre più verde della propria.
Il fenomeno delle moto cinesi e dei loro sostenitori è destinato a crescere nei prossimi anni, e con loro non possono che aumentare anche le "battaglie" sui social media fra sostenitori e detrattori. Resta da vedere quando il nuovo diventerà ordinario e quando queste moto diventeranno, come accadde con le giapponesi decenni fa, una presenza consolidata e universalmente accettata nel mercato europeo. Ciò che è certo è che il dibattito tra tradizione e innovazione, tra prezzo e prestigio, non finirà mai e dopo le cinesi ci saranno altre proposte (India?) che faranno nascere contrasti ideologici fra appassionati.