Anche senza scomodare Audrey Hepburn e “Vacanze romane”, sappiamo tutti che la Vespa è fatta per portare a spasso le belle ragazze, eppure c’è chi l’ha vista in maniera totalmente differente. E non parliamo di qualche genialoide nascosto in una oscura officina ma della stessa Piaggio che la Vespa l’ha inventata. C’è un motivo preciso.
Nel primo dopoguerra le corse servivano per dimostrare la qualità del prodotto di serie: è famosa l’affermazione “vincere domenica per vendere lunedì”, e la cosa funzionava davvero, motivo per cui si gareggiava con tutto. In particolare con le moto di serie. Lo faceva quindi anche la Piaggio, che a suo tempo allestì diverse Vespa da competizione e le fece gareggiare in forma ufficiale, in varie specialità. Più di recente lo hanno fatto anche privati pieni di estro e di coraggio, partecipando con la Vespa alle competizioni più assurde.
Dunque, eccovi una carrellata delle Vespa più note che hanno gareggiato ufficialmente o quasi. La maggior parte sono esposte nel museo Piaggio a Pontedera. È meraviglioso vedere fino a che punto può spingersi la fantasia...
VESPA 98 CORSA – 1947
Fu la prima Vespa espressamente costruita per le competizioni, dopo qualche successo ottenuto da una versione strettamente derivata dal primo modello prodotto. Le Case concorrenti cominciavano a farsi pericolose, per cui il 26 giugno 1947 il Reparto Sperimentale cominciò a costruire due Vespa da corsa. Il motore era lo stesso delle prime gare e raggiungeva la “folle” velocità massima di 80 km/h, ma la carrozzeria venne modificata profondamente per migliorare l’aerodinamica. Cesare Panicucci, Azeglio Mazzoni e Luciano Zocchi, lattonieri del Reparto Sperimentale, rifilarono scudo e pedana, e costruirono un copristerzo sagomato.
L’impianto di illuminazione e il clacson vennero eliminati ma soprattutto venne cambiata la sospensione posteriore con l’introduzione di un sistema ammortizzante a balestra.
La Vespa 98 Corsa scese in gara per la prima volta il 31 agosto 1947 al Circuito di Viareggio. La guidava il collaudatore Natale Biasci che al debutto vinse la classe 100 cc, davanti ad Aldo Del Carlo su Moto Guzzi e al collaudatore Piaggio Ferdinando Nesti, questi su una Vespa di serie ma con il motore Corsa.
La Piaggio non era ancora certa della competitività del veicolo e per questo iscriveva i suoi collaudatori come piloti privati. Così Dino Mazzoncini vinse Coppa Fiera di Prato, Coppa Mostra del Mobilio e Circuito Lucchese come pilota della Scuderia Lucchese. La 98 Corsa andava forte davvero, per i tempi, e vinse nuovamente l’8 novembre la gara in salita Vermicino - Rocca di Papa, e il 28 dicembre al Circuito di via Caracciolo, sul lungomare di Napoli. L’ultima uscita in gara fu nel giugno 1948 al Circuito Terme di Caracalla. Carlo Alberto Barsotti la portò alla vittoria nella classe 100, l’altra Vespa 98 Corsa era guidata dal concessionario per il Lazio, Luigi Di Gennaro, il quale venne preceduto dal pilota emergente Giuseppe Cau, che tra l’altro era suo dipendente, e disponeva già dell’evoluzione successiva della Vespa da competizione, il modello Corsa tipo A.
VESPA 98 CORSA (CIRCUITO) – 1948
Rispetto alla versione precedente fu un grosso passo avanti: la scocca era derivata da quella della 125 preserie che stava per essere lanciata sul mercato, la sospensione posteriore venne sostituita da un sistema a balestra che garantiva un assetto più rigido e quella anteriore venne spostata sul lato destro, come nel modello di serie, con una molla cilindrica al posto della precedente a doppia spirale. Spiccava il serbatoio dalla capienza maggiorata che si prolungava in avanti, consentendo al pilota di spingere col ginocchio e garantendo così un migliore controllo in curva, soluzione che sarebbe poi stata adottata anche sulle successive Vespa da competizione; per questo venne soprannominata il “Gobbo”. La Vespa Corsa tipo B poteva montare sia il motore di 98 cc, sia quello di 125 cc, e tra il febbraio e il maggio 1948 il Reparto Sperimentale realizzò 11 propulsori per ognuna delle due cilindrate.
Proprio in quell’anno venne ripristinata la classe 125 cc nel Campionato Italiano di Velocità e si sperava in un risultato prestigioso, ma Moto Morini ed MV Agusta non lasciarono spazio allo scooter di Pontedera: la sconfitta subita il 6 giugno al Circuito di Casale Monferrato dalle due Vespa Corsa tipo A guidate da Dino Mazzoncini e Pierino Opessi rese evidente che conveniva limitarsi alla classe 100 cc, dove c’erano maggiori chances. La Vespa Corsa tipo B ottenne comunque qualche vittoria sia in questa categoria che nella 125, ma solo in gare regionali e grazie all’abilità di Mazzoncini e Cau.
VESPA SUPER SPORT – 1949
Nonostante l’aspetto pacioso era una macchina realizzata espressamente per le corse, come suggeriva l’ambizioso nome Super Sport. Il motore aveva ancora il cilindro a travaso unico e il pistone con deflettore, ma nonostante le soluzioni antiquate l’ingegner Vittorio Casini, responsabile del Reparto Sperimentale, riuscì a portarlo a 8 CV di potenza. Un valore lusinghiero per quei tempi, infatti il prototipo con scocca in acciaio, provato il 25 febbraio 1949 sull’autostrada Firenze Mare nell’unico tratto risparmiato dai danni di guerra, nei pressi di Migliarino, raggiunse una velocità di 116 km/h, guidato dal collaudatore Giuseppe Cau.
Vennero subito costruite dieci Super Sport, e in primavera ne venne realizzato un secondo lotto che addirittura aveva la carrozzeria in lega leggera – alluminio e duralluminio – e permetteva al veicolo di restare entro un peso complessivo di appena 60 kg. Questa versione però non incontrò il favore dei piloti a causa della scarsa rigidità del telaio, soprattutto nella parte anteriore e in particolare quando venivano montate le ruote di 10”. La Vespa Super Sport ottenne diversi successi in gare minori sia nella categoria Scooter che in quella 125 cc, ma la maggior parte delle vittorie fu ottenuta con la prima versione, quella con la scocca in acciaio.
VESPA SUPER SPORT MONTLHÉRY – 1950
La rivalità con la Innocenti e il suo scooter Lambretta era fortissima e si giocava anche sul piano agonistico, oltre che su quello commerciale. Il marchio lombardo aveva conquistato i primi record di velocità l’11 febbraio 1949 sull’autostrada Roma-Ostia e altri ne aveva ottenuti il mese successivo a Montlhéry. In risposta la Piaggio cominciò a costruire questo veicolo realizzato espressamente per i primati.
Venne sviluppato il motore MM (Motore Montlhéry) con distribuzione a luci incrociate, carburatore Dellorto SS I 31 e cambio a quattro marce, e la potenza salì dagli 8 CV della versione precedente a quasi 11 CV. Venne montato su un prototipo sperimentale e il 29 agosto Dino Mazzoncini, Otello Spadoni e Antonio Castiglioni lo provarono sull’autodromo di Monza, che allora aveva una lunghezza di 6,3 km, superando i 120 km/h.
Del veicolo da record vennero allestiti tre esemplari e cinque motori. Il telaio era costruito con lastre di duralluminio unite per mezzo di ribattini invece che saldate, per non pregiudicare la resistenza del materiale. La sospensione anteriore era controllata da un ammortizzatore a compasso registrabile con molla elicoidale, posteriormente tampone in gomma e ammortizzatore a compasso registrabile.
Ai primi di marzo venne fatta una prima ricognizione del circuito di Montlhéry e nei giorni successivi tutta la squadra tornò con le tre Super Sport carenate e i piloti Mazzoncini, Castiglioni e Spadoni. Cominciarono a provare il 24 marzo e poco dopo mezzogiorno Spadoni finì a terra a più di 135 km/h, danneggiando gravemente la moto e riportando ferite che lo costrinsero in ospedale. Così furono Mazzoncini e Castiglioni ad effettuare i tentativi di record con una delle due macchine rimaste, alternandosi per due ore alla guida e superando con buon margine i record ottenuti dalla Lambretta. Poi arrivò un forte vento che rendeva inguidabile il siluro carenato e si impose una sospensione fino al 6 aprile, quando le condizioni migliorarono. Nel frattempo era giunto dall’Italia anche Bruno Romano, convocato dal direttore sportivo Carlo Carboniero in sostituzione di Spadoni. I tre piloti si alternarono alla guida per 10 ore stabilendo altri 11 record a medie comprese tra 130 e 134 km/h, e portando così a 17 i primati internazionali conquistati.
Lambretta da record: dallo scooter modificato al siluro da 200 all'ora
VESPA SUPER SPORT – 1950
Le vendite dei modelli stradali andavano a gonfie vele, erano appena arrivati i fondi del Piano Marshall ed Enrico Piaggio poté investire maggiormente nelle corse. Nel febbraio 1950 vennero allestite due Vespa strettamente derivate dalle tre Super Sport carenate destinate ai record di velocità sulla lunga distanza, e successivamente sarebbero stati completati altri otto esemplari per arrivare al lotto di dieci veicoli destinati alle corse.
Fu una mezza rivoluzione, perché le Vespa da competizione costruite fino a quel momento erano derivate da modelli stradali, mentre questa nasceva espressamente le gare. Il motore MM era stato progettato per i record sul circuito di Montlhéry ed era completamente diverso da quelli prodotti fino a quel momento.
Diagramma di distribuzione a luci incrociate con doppio travaso, albero motore su tre cuscinetti e frizione con ben 14 dischi in acciaio, elevatissimo rapporto di compressione (1:12) e uno scarico diretto che emetteva un rumore fragoroso. In pratica era la stessa Vespa destinata ai record.
VESPA SILURO – 1951
Nonostante la valanga di primati raccolta a Montlhéry, la Piaggio voleva anche quello più prestigioso sul chilometro lanciato e costruì un veicolo con telaio e carenatura in duralluminio. Pesava 54 kg, era spinto da un motore ancora dotato di cilindro con pistone deflettore ed aveva una potenza di 5,4 CV. Troppo poco, come dimostrò il test effettuato da Dino Mazzoncini il 20 agosto 1949, quando sull’autostrada Firenze Mare registrò una velocità di punta di appena 112 km/h. L’anno dopo venne effettuato un secondo tentativo con un veicolo ancora con carrozzeria in duralluminio ma completamente chiuso, che però arrivò soltanto a 120 km/h; per giunta si dimostrò instabile a causa del baricentro troppo alto, motivo per cui venne accantonato.
L’ingegner Corradino d’Ascanio, papà della Vespa, però non si arrese e nel 1951 il Reparto Sperimentale allestì due prototipi differenti, costruiti su misura per i piloti che li avrebbero dovuti guidare.
In quello di Giuseppe Cau si stava con le gambe stese in avanti: aveva un motore MM simile a quelli usati a Montlhéry, ma con i rapporti più lunghi; la macchina allestita per Dino Mazzoncini invece andava guidata appoggiandosi sulle ginocchia ed era spinta da un rivoluzionario motore a pistoni contrapposti che arrivava a 18 CV.
I due pistoni operavano nello stesso cilindro e a parità di cilindrata la combustione avveniva su una superficie dimezzata, con sensibili vantaggi termodinamici. Il telaio era costituito da un unico trave centrale, aveva una forcella a biscottino con ruota a sbalzo simile a quella della Vespa di serie, e come nella Vespa di serie il gruppo motore-cambio fungeva da braccio oscillante della sospensione posteriore, controllato da tamponi in gomma; le ruote erano di 10” come quelli della Vespa stradale, con pneumatici di 3” costruiti dalla Pirelli appositamente per il record.
Fra il 3 e il 4 dicembre 1950 i due scooter da record, ancora privi di carenatura, vennero provati sulla pista interna dello stabilimento di Pontedera, dove quello di Cau si dimostrò pericoloso per la tendenza ad alleggerire l’avantreno già a 120 km/h.
Un difetto confermato dal test effettuato a fine mese, con i due veicoli dotati della carenatura, tanto che la macchina venne accantonata. Quella di Mazzoncini invece riuscì a superare tranquillamente il precedente record della classe 125 di 161 km/h, conseguito nel 1949 da Gino Cavanna su Mondial. Così il 9 febbraio 1951 la Vespa da record, alimentata ad alcol, fu portata sull’autostrada Roma-Ostia chiusa al traffico per l’occasione, e percorse nei due sensi il tratto tra il 10o e l’11o chilometro stabilendo il nuovo record mondiale a 171,102 km/h già al primo tentativo. Il suo pilota avrebbe voluto ripeterlo, sicuro di poter arrivare a 180 km/h, ma i dirigenti decisero che era sufficiente così.
VESPA SPORT SEI GIORNI – 1951
Le durissime gare di Regolarità, che oggi chiamiamo Enduro, erano un’ottima occasione per dimostrare l’affidabilità del proprio prodotto e l’8 maggio 1948 la Piaggio schierò cinque Vespa Sport alla Milano-Sanremo; l’inizio fu incoraggiante e l’anno successivo, quando venne istituito il Trofeo Nazionale Regolarità, disputato su tre gare, la squadra allestita dalla Piaggio vinse sia la classe Scooter che la 125 cc. Il 1950 segnò una battuta d’arresto a causa della morte del pilota Gastone Castellini nella gara “Scudo del Sud”, che portò Enrico Piaggio a ritirare le sue squadre in segno di lutto, ma nel 1951 l’impegno divenne ancora maggiore.
Il Reparto Sperimentale allestì una serie di Vespa Sport preparate in maniera ancora più specialistica, con un telaio irrobustito e un motore più potente. La scocca fu rinforzata nella zona di fissaggio della traversa motore, fu raddoppiato lo spessore del tubo della forcella e la pedana fu rialzata perimetralmente per ridurre la possibilità di contatti col terreno in fuoristrada; venne adottato un serbatoio maggiorato della capacità doppia di quello di serie che portò l’autonomia a 220 km, il faro venne modificato con una forma a periscopio per evitare che in caso di caduta si rompesse, vennero montati freni a tamburo più grossi, pneumatici a tele rinforzate prodotti dalla Pirelli appositamente per la Piaggio e sopra le due ruote di scorta il porta-tabella di marcia. Per quanto riguarda il motore, a doppio travaso e luci incrociate, aveva solo 7 CV mentre quello della Super Sport ne aveva 11, ma era più vigoroso ai bassi regimi e quindi più adatto al fuoristrada, mentre il cambio a tre marce venne dotato di una prima più corta per affrontare le salite più dure.
Così preparata, la Vespa da fuoristrada si dimostrò estremamente competitiva, vinse il Trofeo Nazionale e partecipò alla 26a Sei Giorni Internazionale con 10 piloti, 9 dei quali conseguirono la medaglia d’oro. La Casa costruttrice ricevette anche il Premio d’Industria ma proprio a seguito di questi successi Enrico Piaggio, ormai appagato, decise il ritiro dalle corse. Ad alcuni piloti venne però concesso di gareggiare con la Vespa Sport Sei Giorni anche l’anno successivo, iscritti dal Vespa Club Italia.
VESPA P200E DAKAR – 1980
Nei primi anni della Parigi-Dakar molti partecipavano al massacrante rally africano con i veicoli più strani e Jean-François Piot, responsabile pubbliche relazioni e attività sportiva dell’importatore Piaggio francese, decise di farlo con quattro Vespa P200E. Una vera scommessa, ma organizzata in maniera professionale, con cinque automobili Land Rover per l’assistenza, quattro di esse assegnate ognuna ad uno scooter e una per il trasporto dei ricambi. Alla guida quattro piloti che avevano già corso con la Vespa in altre occasioni e ottenuto buoni risultati nelle gare di fuoristrada moto: i fratelli Yvan e Bernard Tcherniavsky, Bernard Simonot e Bernard Neimer.
Gli scooter vennero preparati a Pontedera dove vennero rinforzate le parti più soggette a stress come manubrio, piantone di sterzo, carter e ammortizzatori, i veicoli vennero alleggeriti e dotati di ruote di 12” con pneumatici adeguati e serbatoio supplementare per aumentare l’autonomia.
Ma l’Africa è piena di sorprese e nella prima metà di gara tutte e quattro le Vespa furono vittime di forature a ripetizione, non a causa del percorso ma perché i silent block, il tampone e il supporto dell’ammortizzatore posteriore si rompevano, e le ruote arrivavano a sfregare contro i cofani posteriori. Il problema venne risolto solo dopo la prima settimana, con l’arrivo da Pontedera di pezzi adeguatamente rinforzati.
Ovvia la strategia: l’obiettivo era arrivare in fondo senza preoccuparsi della posizione di classifica, per cui era necessario finire ogni tappa prima che iniziasse quella successiva, per non venire messi fuori gara.
Dei quattro piloti partiti dal Trocadero di Parigi ne arrivarono due. Neimer si trovò con il telaio spezzato in due, Yvan Tcherniavsky sbagliò percorso e non venne visto dall’assistenza, per cui dopo diverse cadute, sfinito, si ritirò. Invece arrivarono in fondo Simonot, terzo fuori tempo massimo ed unico aver finito il rally con la Vespa marciante, e Bernard Tcherniavsky, il quale grippò due volte l’ultimo giorno e arrivò al traguardo con la Vespa caricata sulla Land Rover di assistenza, quinto fuori tempo massimo.
Portare due Vespa a Dakar fu un successo e lo dimostra la ricaduta commerciale che ne seguì: per effetto dell’impresa le vendite Vespa in Francia aumentarono del 160%.
VESPA T5 PROTOTIPO RALLY – 1985
Nel 1985 la Piaggio pensò di prendere parte al rally Parigi-Dakar, popolarissimo in quegli anni, ed allestì quattro Vespa sperimentali preparate per il gravoso impegno. Il motore aveva 12 cavalli a 6000 giri/minuto, come risulta dalla prova al banco dell’11 dicembre 1985. La scocca era stata rinforzata, c’era un filtro dell’aria in grado di affrontare i percorsi sabbiosi e vennero adottate sospensioni dedicate, ma il progetto venne fermato e tre dei prototipi demoliti. Per un caso fortuito si salvò il quarto, il “muletto” destinato alle sperimentazioni, tuttora esposto nel museo di Pontedera.
VESPA PX 150 RALLY DEI FARAONI – 2011
Non c'era la Piaggio dietro questa operazione, ma più semplicemente l’iniziativa di Marcello Dibrogni e Andrea Revel Nutini: due amici intraprendenti decisi a ripetere l’iniziativa delle Vespa alla Dakar ma in condizioni ancora più difficili. Da privati, e con un solo camion di assistenza che li attendeva all’arrivo di ogni tappa, mentre i francesi avevano cinque Land Rover, una per ogni pilota lungo tutto il percorso e la quinta con i ricambi. Per compiere l’impresa vennero preparate due Vespa PX 150 dotate di cilindri Pinasco, marmitte a espansione, ammortizzatori Carbone e pneumatici Vee Rubber. Per impedire alla scocca di “chiudersi” sotto i colpi delle buche venne aggiunto un telaietto centrale in alluminio che la irrigidiva. I cilindri venivano smontati tutte le sere, ce n’erano di 175 cc e 225 cc, e ogni giorno venivano scelti in base alle caratteristiche del percorso.
I due amici marciavano sempre assieme per aiutarsi reciprocamente, badando soltanto a non andare oltre il tempo massimo e ad evitare i guai. Non superarono i 50-60 km/h, marciando spesso in prima e seconda marcia e usando la quarta solo nei trasferimenti, quando si poteva. Ce la fecero entrambi, classificandosi ultimi con 112 ore di ritardo, ma riuscendo nell’impresa di arrivare al traguardo.
Il fatto è che non si accontentarono di quello, e nel 2013 presero parte anche alla TransAnatolia, con altre due PX preparate appositamente. Una sfida ancora più difficile, ma riuscirono nuovamente nell’intento, e un esemplare di ognuna delle PX che hanno fatto le imprese è esposto nel museo Piaggio a Pontedera.