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Essere "Harleysti" in Italia: cosa significa?

Giubbotto di pelle consunto, toppe cucite un po' ovunque e braccia al vento, lasciate rigorosamente libere da ogni protezione, per mostrare a tutti i grossi e virili tatuaggi. Gli occhiali da sole sempre in viso, il casco raramente in testa e un ghigno minaccioso costantemente stampato in volto. Lo stereotipo dell'Harleista medio è questo, come da sempre la cultura americana e il cinema ci hanno propinato, ed effettivamente se fate un giro negli Stati Uniti la maggior parte dei proprietari di Harley-Davidson ha queste caratteristiche. Negli USA abbracciare la cultura del bicilindrico di Miwaukee vuol dire prendere a 360 gradi tutti i vizi e le virtù dell'essere harleysta, una cosa che qui in Europa funziona fino a un certo punto.

Come è fatto l'Harleysta italiano?

Anni di lavoro in mezzo alle motociclette mi hanno insegnato una cosa: il motociclista italiano non può essere facilmente categorizzato, e specialmente gli Harleysti hanno un'utenza così eterogenea che tutto quello che si vede nella tipica narrazione motociclistica americana, solo raramente possiamo osservarlo sulle nostre strade. 

Avere un Harley, qui da noi, vuol dire aver scelto un'Harley come motocicletta. Punto. Lasciamo da parte MCs, bande di delinquenti, tatuaggi che salgono lungo il collo e pantaloni di pelle puzzolenti. Tutto questo folklore contribuisce al fascino che queste moto trasmettono agli appassionati, ma è il messaggio di libertà e il culto per l'oggetto in sè ad attirare maggiormente gli acquirenti da questa parte del mondo, più che il voler giocare ai cattivi teppisti di strada.

Ci sono giovani studenti o lavoratori tutt'altro che anticonformisti che scelgono lo Sportster come prima moto, ma anche persone più avanti con l'età che viaggiano sulle bagger pur non avendo il corpo coperto di disegni e la fedina penale sporca. Anzi, nella maggior parte dei casi ci si trova sempre in situazioni opposte rispetto allo stereotipo del brand: in Italia chi sceglie una moto del genere è tendenzialmente uno molto tranquillo, non sempre motociclista ma da sempre affascinato dall'idea di libertà "alla Easy Rider" che va ben oltre il semplice concetto di guidare un mezzo su due ruote.  E poi diciamola tutta, chi vuole darsi un tono e giocare a fare il duro, da noi sceglie bombardoni ben più sportivi.

E' più il piacere dell'oggetto che il fascino della cultura

Il senso di forte riconoscimento nella comunità dell'Harleysta dell'italiano viene meno anche quando si tratta di vivere il motociclismo in gruppo. Chi guida HD non è circondato esclusivamente da altri suoi simili, ma si mischia volentieri in gruppi di moto più eterogenei che hanno spesso in comune altre finalità, come una meta da raggiungere che mette d'accordo tutti (gita al lago, al mare, sul passo) o la ben più sacra motivazione suprema: andare a mangiare.

Per questi motivi e per altri che di sicuro mi saranno sfuggiti, non possiamo fare facilmente un identikit dell'Harleysta italiano, perchè qui l'Harley è una scelta come un'altra, benchè spinta da un'immagine e da un ideale ben precisi che pure chi non è appassionato di bicilindrici di Milwaukee conosce bene. Di sicuro possiamo dire che il biker nostrano è un tranquillone, non un duro, ed è un democratico, non un anarchico. E' bello vedere che la multiculturalità del nostro essere italiani si possa leggere anche nell'interpretazione di un fenomeno culturale e di passione che da altre parti ha confini ben precisi e categorici. Qui chiunque guidi qualsiasi moto può essere accettato dagli altri, l'importante è essere una buona forchetta.  

Harley Davidson Pan America, il #Sottoesame