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La pubblicità delle moto: dal machismo di un tempo al politicamente corretto

Qualche anno fa, entrando in un'officina, ci saremmo imbattuti in un calendario con una ragazza nuda. Il più delle volte con foto difficilmente difendibili con lo scudo del “nudo artistico”. Adesso, invece, in officina quasi non ci fanno più entrare. Ci sono stati anni in cui il binomio donne e motori era inscindibile, in cui gli uffici marketing sapevano che una bella ragazza, magari non proprio in abiti idonei alla guida, attirava l'attenzione e vendeva il prodotto. Ancora oggi le fiere sono quel posto dove si fotografano le motociclette e si fanno cartelle sul PC con i fondoschiena delle modelle.

TEMPI CHE CAMBIANO

Però quel tempo è finito. Non in maniera progressiva, è finito improvvisamente. Siamo passati dalle risate grasse davanti ad un calendario di un marchio di ricambi al non poter più usare l'espressione "zavorrina" perché non politically correct.

Avrei dovuto farlo prima ma lo faccio adesso, una premessa: a scrivere questo pezzo mi sento a mio agio come un artificiere che deve sminare un campo. Io ho la certezza di essere una persona per bene, che non solo non discrimina ma che cerca di essere attivo nell'abbattere barriere.

Però mi sento a disagio. Forse perché il mondo che non c'è più era il mio mondo, fatto di ragazze sulle moto, pubblicità in cui essere creativi voleva dire abbinare un perizoma al colore della moto.

Sicuramente c'era qualcosa che andava corretto, sicuramente c'era un sistema di valori che andava abbattuto e ricostruito. Eppure, ho la sensazione che l'abbiamo fatto nel modo sbagliato. Abbiamo usato la leva del linguaggio per intervenire, abbiamo detto che il linguaggio, la comunicazione erano il mezzo di espressione dei nostri valori e siamo partiti da lì.