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Ducati, Alessandro Valia: "Fare il tester? Un sogno, ma serve sacrificio"

Se chiediamo a un bambino che lavoro vuole fare da grande, il collaudatore di moto sarà sicuramente fra le scelte più gettonate. Perché nell’immaginario comune il collaudatore è il più figo: pagato per giocare con le moto. Da non credere! A volte è vero. Ma considerate anche che pure la moto o lo scooter non che vi piacciono hanno richiesto dei collaudi interminabili. A volte sono tour de force, altre volte mettono timore anche al più navigato dei tester. Per capirne qualcosa di più, abbiamo chiesto ad Alessandro Valia, che da molti anni sviluppa le Ducati stradali, di parlarci di questa professione.


La prima cosa che abbiamo scoperto è che è una professione alla quale si può arrivare per caso. Conoscevamo già altri collaudatori di altre Case, e sapevamo che si trattava di operai scoperti casualmente da qualcuno dell’R&D che li aveva visti guidare. Discorso quasi analogo per Valia, che correva privatamente con una Ducati, e nel 2002 si è sentito proporre di testare la 999 ufficiale del Mondiale Superbike. Da lì è iniziata la sua avventura, che lo ha portato a sviluppare la moto che nel 2003 ha vinto il titolo iridato con Neil Hodgson. Poi, a fine 2006, la proposta di assunzione in Ducati per lo sviluppo delle moto di produzione.
Per fare il collaudatore bisogna essere bravi a guidare la moto, ovvio. Ma questo non significa necessariamente essere velocissimi. Piuttosto bisogna essere capaci di replicare per tante volte un test, riproponendolo sempre uguale, per avere ripetibilità e possibilità di stabilizzare e confrontare i risultati.


"Serve l’attitudine al sacrificio – comincia Valia – perché a volte si fanno prove che non si vorrebbero fare. Quando abbiamo iniziato a sviluppare l’ABS Cornering ho dovuto forzarmi parecchio per frenare a centro curva come se non ci fosse un domani. Poi bisogna saper tradurre emozioni e feeling in numeri, ed essere in grado di leggere e lavorare con l’acquisizione dati".
Il buon collaudatore deve essere sensibile, deve “sentire” la moto e saperla raccontare ai tecnici che ci lavorano. E deve essere in grado di calarsi nei panni dell’utente medio, guidando nei tanti modi diversi che possono avere i differenti utilizzatori di una moto.