Rewind, Gilera Bullit 50... e il "tubone" si fece moto

Rewind, Gilera Bullit 50... e il "tubone" si fece moto

Era decisamente qualcosa di più di un semplice ciclomotore. La proposta della Casa di Arcore vantava numerosi particolari di derivazione motociclistica

Redazione - @InMoto_it

25.03.2022 17:34

Era il 1990 e l'epoca dei classici "tuboni" si avviava verso la resa nei confronti della nuova avanzata sul fronte 50cc rappresentata dagli scooter.
I tempi però non erano ancora maturi per le ruote piccole nel segmento dei "commuter" destinati ai giovanissimi e il "cinquantino" sportivo (sia esso Enduro o Race replica) agitava, e di molto, i sogni di tanti 14enni del periodo.
Gilera, a cui certo non mancava il coraggio nel battere strade inedite, propose quella che fu una via di mezzo tra i classici e apprezzati tuboni e il ciclomotore sportivo

TRA MOTO E TUBONI

Al Motor Show, edizione 1990, la Casa di Arcore presenta il Bullit 50, progetto unico e difficilmente paragonabile ad altri "cinquantini". Il Bullit così a prima vista appariva strutturato come un qualsiasi "tubone" sportivo, ma bastava una fugace occhiata per non notare una serie di soluzioni tecniche inedite su ciclomotori di questa categoria intermedia.

Il telaio, di pregevole fattura, si ispirava a quelli delle moto sportive di maggior cilindrata dato che era formato da due travi laterali che congiungevano direttamente il cannotto con il fulcro del forcellone, anche il forcellone monobraccio riportava tecnologie avanzate su di un ciclomotore di largo impiego come il Bullit. Anche la veste estetica era stata particolarmente curata con soluzioni estetiche e grafiche direttamente derivate dalla SP-01, che mescolandosi ad alcuni particolari di estrazione fuoristradistica davano vita ad un ciclomotore interessantissimo ed estremamente versatile.

I CINQUANTINI: PICCOLI SOGNI PER SENTIRSI GRANDI (E "SOCIAL" NEGLI ANNI '90)

Gilera Bullit 50: com'era fatto

Un tubone, una sportiva oppure un fuoristrada?

Sicuramente erano in molti a porsi questa domanda, fatto sta che il Bullit creava attorno a sé quella curiosità e quell'interesse che "catturava" il ragazzo che voleva distinguersi. Il Gilera Bullit colpiva soprattutto per il bel telaio lucidato e per le plastiche sagomate con criteri differenti, infatti appena sotto al cannotto di sterzo partivano due ampie alette convogliatrici, di stampo fuoristradistico, che indirizzavano il flusso d'aria sul radiatore. Il fanale anteriore era incorniciato da un cupolino di generose dimensioni che conferivano ulteriore grinta al Bullit, le fiancate laterali identiche a quelle che equipaggiavano la velocissima SP 01 erano composte da un unico pezzo di carrozzeria come su tutte le moto da velocità che si rispettano. Anche i cerchi in lega riprendevano il mondo delle corse: avevano cinque razze e nel posteriore assumevano un profilo concavo per lasciare spazio al forcellone monobraccio, infine, da citare il silenziatore di scarico in alluminio che faceva invidia a molte 125.
Il Bullit era anche accessoriato di tutto punto, con l'interruttore dello stop su entrambi i freni, la sella ribaltabile per dare la possibilità all'utente di appoggiare il casco in tutta tranquillità perché protetto da un cavetto di acciaio bloccato con la serrature della sella e soprattutto la strumentazione incassata nel cupolino completa di tachimetro contachilometri, contagiri ed una serie di spie: folle, indicatori di direzione, olio e luci.

PEZZO FORTE

Il telaio di concezione veramente innovativa trattandosi di un ciclomotore era costituito da due travi laterali inscatolate che congiungevano direttamente il cannotto di sterzo con il fulcro del forcellone, inoltre due culle inferiori di minor sezione sorreggevano il propulsore ed anche posteriormente notavamo un vero e proprio telaietto reggisella. Il forcellone monobraccio, costruito in acciaio scatolato, era coadiuvato da un monoammortizzatore a gas che consentiva un'escursione di 90 mm. Anteriormente trovavamo una forcella teleidraulica con steli da 30 mm che garantiva un'escursione di 120 mm. L'impianto frenante è di tipo misto e si basa su di un disco anteriore da ben 240 mm, mentre posteriormente c'era un semplice tamburo monocamma da 140 mm.
Il proulsore era totalmente nuovo e venne costruito per poter essere impiegato in numerose varianti che differivano a seconda dei modelli: i tecnici Gilera avevano adottato tecniche e materiali fino ad allora riservati al settore motociclistico creando un propulsore compatto e con il peso di 14,5 kg.

Si tratta di un monocilindrico a due tempi raffreddato a liquido, con cilindro in lega leggera e canna trattata al Gilnisil che vantava ben sei luci di travaso e tre di scarico. L'alimentazione avveniva tramite un carburatore Dell'Orto 14/12 con ammissione direttamente nel carter regolata da lamelle. Il cambio era chiaramente a tre rapporti e la frizione era a dischi multipli in bagno d'olio.

Gira pagina per leggere il nostro test del 1991:

1 di 2

Avanti
  • Link copiato

Commenti

InMoto in abbonamento