I designer giapponesi sono riusciti a dare forma a una sensazione: quella della velocità. Provate a lanciare una ZZR 1400 fino al suo limite, poi fermatevi e scendete a disegnare quello che avete provato. Verrà fuori la sagoma corpulenta e schiacciata verso il davanti che contraddistingue questa moto. Verrà anche fuori quel “sederone” piantato al suolo con tante belle linee che puntano verso l’alto e tutti quei tagli, che poi sono il simbolo della velocità, sulla carenatura.
Disegnerete la ruota davanti, che quasi non riesce a stare al passo con la carrozzeria e si nasconde sotto, e gli specchietti, due virgolette nere abbozzate sopra il plexiglass, e quei due marmittoni che non sparano i residui della combustione, come in effetti dovrebbero, ma lasciano la scia di un passaggio veloce. Il laterale della ZZR è più o meno questo. Poi c’è la sostanza.
Meccanica e ciclistica sono perlopiù nascoste da appendici aerodinamiche e strutture fatte per fendere l’aria e quello che rimane da vedere, al di là dell’apparenza, è ben poco. Le pinze ad attacco radiale dei dischi anteriori, belle quanto forti, il forcellone, sobrio ma ricco, e il tecnologico ponte di comando, davvero ben costruito.
Le finiture sono curate come ci si aspetta da un’ammiraglia: belle le plastiche e le lavorazioni, precisi gli accoppiamenti. La tecnologia è soprattutto nascosta: il bellissimo telaio monoscocca in alluminio è invisibile agli occhi e mimetizzato con un nero che nasconde più che risaltare mentre del motore se ne percepisce solo la qualità ruotando, prudentemente oppure no, il gas.
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Kawasaki ZZR 1400
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