Storie di Moto: la Lamone e il suo creatore Gianò

Storie di Moto: la Lamone e il suo creatore Gianò

Dai micromotori ai fucili, dalle stufe a una rivoluzionaria 125 GP, fino a prototipi dal consumo irrisorio. Poca scuola e tanto ingegno, Giovanni Melandri inventò di tutto

Dario Ballardini

16.02.2022 12:31

L'arte di arrangiarsi e divertirsi

Nel 1976 era terzo nel GP Venezuela 125 quando cadde, e la sua MBA aspirò ghiaia rovinando cilindri, teste, albero motore e bielle. Regalò i pezzi sostituiti a Melandri e fu la molla per riprendere l’idea del boxer degli anni ‘50. Ne disegnò uno completamente nuovo e lo costruì insieme ad Angelo Boschi detto “Ranger”. Manteneva il rivoluzionario disegno originale: bicilindrico contrapposto longitudinale, con un unico disco rotante e un’unica camera di manovella per i due cilindri, che scoppiavano contemporaneamente. La trasmissione primaria, innovativa, era a cinghia dentata invece che a ingranaggi per ridurre gli attriti, il cambio era quello di un Aspes Juma. Melandri era appena andato in pensione ma continuava a sviluppare idee geniali e a divertirsi

"Addirittura recuperò una biella – racconta Zanetti – . Io gli dicevo che era più veloce comperarne una nuova ma a lui piaceva così. Il primo 125 era a un solo carburatore e si costruì anche quello, quando la Mikuni avrebbe avuto tutti quelli che voleva. Poi passò ai due carburatori e fece fare anche le fusioni dei cilindri. Il motore di “Gianò” aveva parecchi pregi: quello della MBA era molto largo perché aveva i cilindri affiancati e i carburatori ai due lati, mentre il suo era tanto stretto che si montava la carenatura di un 50 cm³, ed era molto più leggero. Aveva un’ottima coppia, era dolce anche dai bassi regimi e arrivava fino a 15.000 giri".

Per le prime prove il motore venne montato su un kart , poi Boschi “Ranger” costruì un telaio a traliccio in tubi. La moto venne chiamata con le iniziali dei due costruttori, GR, e debuttò in gara nel campionato italiano senior 1982. La guidava Dino Melandri, il papà di Marco – stesso cognome ma nessuna parentela con “Gianò” –, poi la usarono Roberto Branzanti e anche altri ma il problema era sempre lo stesso: la cinghia di trasmissione non resisteva al calore e dopo pochi giri si rompeva. Sorsero divergenze di carattere tecnico e pacificamente ognuno andò per la sua strada. Boschi prese i suoi motori e li montò su un kart e su un telaio deltabox da lui stesso realizzato, mai andato in pista; “Gianò” prese la moto, la ribattezzò Lamone e continuò a svilupparla.

Per risolvere i problemi di affidabilità le provò tutte, raddoppiò anche la cinghia, senza successo, e alla fine fece un secondo prototipo con la trasmissione ad ingranaggi. Ma i lavori andarono per le lunghe e la nuova Lamone 125 fu pronta contemporaneamente ai nuovi regolamenti che limitavano la classe 125 ai motori monocilindrici. L’avventura della Lamone finì lì. Melandri regalò a Zanetti quello che restava del primo prototipo, cannibalizzato per costruire il secondo, e il figlio del pilota, Lorenzo, lo ha completato con pezzi dell’epoca; il figlio del costruttore, Paolo, dopo la morte del papà ha dato ai due Zanetti pure la moto nuova. Anche dopo la fine dell’avventura della 125 GP il pensionato Melandri non si dette per vinto e continuò a fare sperimentazioni sui motori, dedicandosi però ai consumi. I primi risultati furono sorprendenti ma come già sappiamo non poté arrivare in fondo e la storia restò sospesa come il ricciolo a mezz’aria di un punto di domanda. Senza il geniaccio di “Gianò” non c’era proprio modo di mandarla avanti.

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