Quella volta che... : in pista con Suzuki RGV500 XR79

Quella volta che... : in pista con Suzuki RGV500 XR79

Poco meno di 30 anni fa con questa moto Kevin Schwantz riuscì a conquistare il titolo della classe regina dopo una rincorsa durata sei anni

Alan Cathcart

12.06.2023 12:00

Poco meno di trent’anni fa, nel nell'autunno del 1993, dopo sei lunghi anni di travagliata rincorsa al titolo più ambito dello sport motociclistico, Kevin Schwantz vinse il Mondiale 500, quando ormai molti dei suoi fan iniziavano a dubitare avrebbe mai potuto aggiudicarsi. Dieci anni dopo l’ultimo titolo piloti per Suzuki – ottenuto da Franco Uncini nel 1982 – il reparto corse della piccola ma determinata Casa giapponese, guidato dall’ex pilota ufficiale Mitsuo Itoh, sconfisse Honda e Yamaha con la versione XR79 della sua V4 bialbero con aspirazione lamellare nel carter, la RGV500.

EVOLUZIONE DELLA RGV DEL 1992

Quel test, svoltosi ad una delle sessioni di prove di fine stagione sul tracciato di Jerez, aveva dimostrato come la moto che aveva fruttato a Schwantz quattro GP e il titolo iridato (oltre alla prima vittoria di Alex Barros nella massima categoria) era figlia riconoscibile della sua antesignana, la XR78 del 1992 che avevamo potuto provare l’anno precedente sulla pista prova Suzuki di Ryuyo.

Era la RGV piùsimile al modello precedente che fosse mai nata da quando la Casa aveva annunciato il suo rientro nelle competizioni a fine 1986 svelando la prima delle sue V4, la XR71, all’ultimo GP dell’anno corso a Misano Adriatico. Fu quindi un processo di evoluzione, non di rivoluzione, a rendere finalmente campione del mondo Kevin Schwantz.

L’ingaggio

Uno dei fattori nel titolo di Kevin fu l’ingaggio da parte di Suzuki di Stuart Shenton come capotecnico, ad inizio 1992. Ex tecnico Kawasaki e Honda, in forza all’HRC fin dalla doppietta 250/500 di Spencer del 1985, Shenton capiva bene il valore di uno sviluppo lineare del materia- le esistente invece di un continuo ribaltamento da un anno all’altro, spesso senza confronti diretti fra le due moto. Questo era stato il modus operandi di Suzuki fino ad allora: a fine stagione si decideva cosa bisognasse migliorare, poi si progettava la moto di conseguenza mettendoci i prodotti più recenti e migliori dei for- nitori utilizzati, e si sperava di riuscire a finirla in tempo per provarla almeno un mese prima della prima gara dell’anno – allora regolarmente a Suzuka. Il fatto che Kevin fosse riuscito con una certa regolarità ad infliggere cocenti sconfitte al potentissimo Team ufficiale Honda sulla pista di casa ha mascherato il fatto che questo non era certo il metodo di lavoro ideale, come Schwantz più di ogni altro arrivò a capire.

Il test della belva Suzuki

Dopo un primo contatto con la moto di Kevin, l’idea di una RGV500 stradale non sembrava tanto azzardata quanto, invece, estremamente allettante. non avevo mai provato una 500 su cui mi trovassi a spalancare il gas in seconda, all’uscita dall’ultima curva prima dell’ingresso box di Jerez, sentendo il posterio- re della moto acquattarsi mentre la gomma posteriore mordeva l’asfalto al suono profondo e rauco del moto- re Big Bang. "Di solito esco di curva fra gli 8.500 e i 9.000 giricommentò Barros, presente come spettatore – ma il motore gira così bene anche sotto che si può spalancare già a 6.500. Usi una marcia troppo bas- sa e sei alto di giri all’uscita dell’ultima curva, per cui la moto impenna molto. Dimenticati della prima, qui usiamo solo cinque marce visto che l’erogazione è molto ampia. Di solito cambio a 13.000, ma si può arrivare a 13.800, se serve, prima che l’erogazione cali".

Possiamo assicurare di non aver mai provato una 500 tanto versatile, e il consiglio di Alex si è rivelato azzeccato anche se non ha impedito che la ruota anteriore si impennasse, vista la potenza della Suzuki – l’avantreno si sollevava allegramente anche in terza. La potenza massima di “oltre 165 CV alla ruota” arrivava a 12.800 giri, ma il propulsore poteva girare anche 1.000 giri più in alto per risparmiare cambiate nei tratti misti più tormentati. E grazie al “controllo di trazione preventivo” Suzuki sulle prime tre marce il propulsore "Big Bang" sparava fuori dalle curve con un vigore impressionante senza che la moto si scomponesse mai più di tanto. Certo, a meno di non chiamarsi Kevin Schwantz, nel qual caso un po’ di balletti della ruota posteriore erano il minimo sindacale. Ma qui stiamo parlando di normali esseri umani, non di supereroi capaci di guidare al 101% per tutta una gara...

Tecnica in pista

La raffinatezza del propulsore veniva sottolineata dall’impercettibilità dell’apertura delle valvole allo scarico, tanto era lineare la transizione e vigorosa l’erogazione. devo però ammettere che il sistema di acquisizione dati pi Research a 12 canali utilizzato dal team lucky Strike Suzuki ha evidenziato una certa differenza nelle prestazioni fra me e i piloti ufficiali: Alex Barros teneva il gas spalancato per il 21% del suo tempo sul giro. Noi faticavamo a raggiungere il 10%. la pista, in effetti, era un po’ bagnata... insomma, un pilota che si rispetti deve avere sempre una scusa pronta!

La ciclistica era molto simile a quella della XR78 dell'anno precedente, anche se Shenton ha ammesso di aver fatto molti esperimenti sulla posizione del motore nel telaio, per lo più per migliorare grip e bilanciamento. Il risultato era una moto molto più delicata nella guida delle altre 500, che curvava molto meglio della versione che andava a rimpiazzare. L'avantreno sembrava più carico rispetto alla moto del '92; poteva trattarsi di un diverso assetto, ma trovo molto più plausibile l'ipotesi di un motore spostato un po' in avanti nel telaio. La Suzuki cambiava direzione sicuramente meglio delle rivali e si rivelava neutra in curva, senza cadere in inserimento o sottosterzare in uscita.

I freni? L’anno precedente mi ero messo nei guai criticando le unità AP in carbonio montate sulla moto di Schwantz, prima che la mia impressione fosse confermata anche da Doug Chandler e tutti quelli che hanno provato la moto – insomma, tutti tranne lo staccatore più feroce del mondo, Kevin stesso. Con pastiglie e dischi di Barros, più progressivi e meno bruschi nella risposta, la situazione è migliorata notevolmente nonostante non riuscissimo a fargli raggiungere le temperature di Alex (380°, 550° Barros). In fondo ai rettilinei offrivano una potenza mostruosa, capace di fermarvi anche da velocità da capogiro, mantenendo però la sensibilità necessaria a limare un po' la velocità sui curvoni veloci. Serviva un po' di tempo per scaldarli, ma una volta raggiunta la temperatura veniva mantenuta anche senza cartelle copridisco in una fresca giornata autunnale.

Frizione in carbonio

Come avevano raggiunto un tale miglioramento? In parte per la già citata diversa combinazione disco/pastiglia, ma anche e soprattutto per i miglioramenti apportati da AP alle sue già superlative pinze monoblocco a sei pistoncini dotate di quattro pastiglie. La frizione in carbonio andava scaldata prima di offrire il meglio, e non bastava un giro di riscaldamento dei pneumatici, come ho scoperto sentendola slittare al mio primo passaggio lanciato sul rettilineo. Ma una volta calda non trascinava ed era leggerissima da azionare. Stranamente, togliere tanta massa dal motore non ha avuto riscontri negativi sull’effetto del volano, nè nella risposta del motore. Non c’è stato nemmeno bisogno di riequilibrare il motore. Viene da chiedersi perché la frizione in carbonio non si sia diffusa come merita. Possiamo solo ipotizzare problemi di costo.

In pista con la Suzuki RGV500 Gamma di Schwantz

In pista con la Suzuki RGV500 Gamma di Schwantz

Quel test, svoltosi ad una delle sessioni di prove di fine stagione sul tracciato di Jerez, aveva dimostrato come la moto che aveva fruttato a Schwantz quattro GP e il titolo iridato (oltre alla prima vittoria di Alex Barros nella massima categoria) era figlia riconoscibile della sua antesignana, la XR78 del 1992 che avevamo potuto provare l’anno precedente sulla pista prova Suzuki di Ryuyo.

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