Aspes Yuma 125

Aspes Yuma 125

Redazione - @InMoto_it

01.02.2013 ( Aggiornata il 01.02.2013 16:38 )

All’inizio di una delle tante fasi “calanti” dell’industria motociclistica italiana arrivava un modello sportivo, dotato, e piuttosto esclusivo, che non ebbe il giusto successo L’estate a cui ci riferiamo non è quella climatica, né quella dell’adolescenza, bensì quella stagione strepitosa, piena di successi, di modelli epocali e indimenticati, di nuove soluzioni tecniche e stilistiche ad ogni stagione, di un pullulare di aziende piene di persone capaci, appassionate, fantasiose, che volgeva al termine mentre arrivava il modello che vedete in queste pagine. La storia di ognuna di queste Case è spesso sovrapponibile l’una all’altra: nate come fabbriche di componenti, biciclette o minuteria negli anni del boom economico, nel corso del decennio implementarono maestranze, attrezzature e impianti e sfociarono nel fiorente mercato delle due ruote motorizzate; il decennio successivo vide in qualche modo la specializzazione degli indirizzi e quindi si vide chi si dedicò all’allora trainante mondo del fuoristrada e chi si indirizzò alle moto da strada, motorini, tuboni, miniciclomotori e chi più ne ha più ne metta; davvero ce n’era per tutti. Alla fine degli anni ’70 queste piccole Case produttrici di ciclomotori e motociclette 125 videro un tracollo delle vendite. Crisi di prodotto o di mercato che fosse, il risultato fu che alcune non videro gli anni ’80 e svariate altre faticarono a vedere il decennio successivo. Fra queste ultime c’è anche l’Aspes, produttrice della moto del servizio, la Yuma 125, nata come Juma. La Casa di Gallarate nacque nella seconda metà degli anni ‘50 come fabbrica di biciclette, entrò nel mondo delle due ruote motorizzate all’inizio degli anni ’60 con modelli indirizzati in particolar modo all’utenza giovane; la specializzazione arrivò con i modelli fuoristrada: famosi e degni di nota l’Hopi e il Navaho. La produzione di moto a ruote tassellate fu quasi esclusiva per la Casa e dunque destò stupore la presentazione al Salone di Milano del 1973 di una stradale e sportivissima, la Yuma 125. La produzione iniziò nel 1974 e si articolò nel tempo, sostanzialmente, in due versioni, anche se svariati furono gli aggiornamenti nel corso degli anni: la prima, con carrozzeria classica, e la seconda dal 1979, con una più moderna monoscocca. Brillante fu l’idea di istituire una serie di gare su pista e in salita con un prodotto appositamente creato denominato Criterium; meno felice fu la carriera sul mercato, prodotta in numeri risicati e venduta con un po’ di fatica, complici il prezzo elevato, l’affidabilità non eccelsa e la scarsa fruibilità. Tutto ciò non impedì alla moto di essere fra le più desiderate, ma “fra il dire e il fare…”. Per il mercato in generale e ancor più per i piccoli costruttori di nicchia c’era grossa crisi e così la fabbrica lombarda chiuse nel 1982, il marchio venne ceduto all’Unimoto che semplicemente allungò l’agonia di qualche anno. L’estate era finita. La Yuma montava un motore monocilindrico a 2 tempi molto potente: a seconda delle fonti ufficiali consultate, forniva dai 19 ai 25 CV. Diciamo pure che ne aveva una ventina sani. Cambio a sei marce, accensione elettronica, singolo freno a disco anteriore (ottimo, resistente e modulabile), tamburo posteriore che si rivela onesto, sospensioni ottime. Davanti è una forcella Samfis, in sostanza una Ceriani, e due ammortizzatori Corte&Cosso al posteriore. Il resto della dotazione era davvero simile alle moto “da grandi” del periodo e quindi vediamo cerchi in lega Grimeca, semimanubri Tommaselli e interruttori Cev, strumentazione con spie, contagiri e tachimetro/contachilometri Veglia Borletti dalla grafica moderna e ben leggibili. Per vestito una bella monoscocca che copre il sottostante serbatoio benzina e scende fino a nascondere anche i pochi componenti elettrici e la scatola filtro aria. Si nota il minuscolo sellino monoposto e una piccola mentoniera appena davanti al tappo della benzina. Dotazione unica per la categoria, l’ammortizzatore di sterzo sotto alla piastra inferiore della forcella. Il tutto è unito a una serie di lavorazioni e dotazione di minuteria più vicine a una moto artigianale che non a un prodotto industriale: facciamo riferimento all’alluminio usato per la plancia strumenti, le pedane sportive, i dadi autobloccanti usati senza parsimonia, antivibranti dove serve e in generale una notevole cura. Infatti il prezzo d’acquisto non è basso. Il motore offre quello che promette, un bel tiro e uno scalino dell’entrata in coppia molto gradito oggi come allora. Poi una quantità di vibrazioni che oggi sarebbe inaccettabile e un consumo, se non da portaerei, almeno da incrociatore, unito a una fumosità di scarico imbarazzante. Ma tutto questo non importa alla Yuma, che resta quella che è: una piccola moto da corsa e non una semplice motoretta da diporto, senza possibilità di trasportare la fidanzatina (per quello c’era la Vespa). La quotazione di questo piccolo bolide è in crescita, anche se non gli scambi, vista la scarsità di esemplari. Post scriptum: d’accordo, quella estate finì ma, come capita nella vita, altre ne arrivarono. Accadde così che, per le nostre Case, altre brillanti stagioni seguirono, con nuovi modelli, accattivanti idee tecniche e di stile, anche e soprattutto nella categoria delle 125 sportive. Perché l’estate prima o poi ritorna... epoc

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