Dall’Asia centrale all’Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #3 

Dall’Asia centrale all’Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #3 

Un raid affascinante e avventuroso, un lento "ritorno" in moto attraverso le 1.000 suggestioni dell’Asia centrale. La terza tappa, dal corridoio del Wakhan alla sosta forzata di Dushambe

FRANCESCO CICCARELLO (PUBBLICAZIONE A CURA DI DIEGO D'ANDREA)

11.09.2018 09:47

DA KARGUSH, LA STRADA PRENDE A SCENDERE ma quando il peggio sembra ormai alle spalle, ecco di nuovo le pietre smosse e la mancanza di protezione su un dirupo di centinaia di metri. Come se non bastasse, nell’ultimo tratto arrivano cinque tornanti occupati da decine di mucche in sosta. Mi attacco ai freni della moto. Intanto lo sterzo si chiude da una parte all’altra, mentre suono il clacson all’impazzata, cercando contemporaneamente di non cadere nel dirupo e di evitare le mucche.

ABBIAMO VINTO… per fortuna! La strada diventa pianeggiante e tornano a farsi vedere gli alberi e qualche casa. Siamo a Langar, dove consumiamo il meritato pranzo e ripartiamo. Il paesaggio è da levare il fiato, tra piccoli villaggi assonnati e l’impetuoso Panji, che ci divide dalla strada sterrata e dalle case afghane. Alle nostre spalle, sua maestà Hindu Pradesh, che con i suoi 7000 m e oltre segna la divisione tra Pakistan e Afghanistan. Tutt'intorno, alberi da frutta, pioppi verdissimi e pascoli, come non ne vedevamo da giorni.

SARÀ PER LA BELLEZZA DEL LUOGO o per essere a soli 30 km dalla meta, che prendo alla leggera i detriti sulla strada lasciata dal fiume: mi fermo, faccio scendere Serena per sorreggere la moto e, proprio quando mi sembra di avercela fatta, cado come un sacco di patate. Dopo aver passato indenni la strada più brutta mai percorsa, riesco a cadere praticamente da fermo. Ripartiamo, ma dopo 10 Km sentiamo un gran botto e Serena inizia a urlare: “Abbiamo perso la valigia!”. E’ stato tristissimo vedere nello specchietto la borsa aperta e le nostre cose sparse sulla strada. Mi fermo, a spezzarsi è stata la vite che regge, sia la pedana del passeggero, che l’attacco della valigia.

ANCHE STAVOLTA C’È CHI CI AIUTA: un pick-up si ferma, carica su tutte le valige e ci accompagna da quello che loro chiamano “Service”. E’ il meccanico del villaggio capace di aggiustare praticamente di tutto. E così è, anche per l’attacco della borsa, dopo qualche ora di lavoro. Ripartiamo ma si sa, la fretta è cattiva consigliera e sbagliamo ad agganciare le borse. Dopo altri 10 Km vola di nuovo via la stessa borsa.

SIAMO DISTRUTTI: cinque ore prima eravamo convinti di essere arrivati; ora gli ultimi 15 km sembrano impossibili da percorrere. Sognavamo una doccia e una passeggiata alle sorgenti di Bibi Fatima; siamo ancora a lottare tra polvere e borse che volano. Rimontiamo tutto e con il sole ormai al tramonto prendiamo la deviazione per le sorgenti. Cerchiamo “Akim Homestay”, ma sarà lui a trovare noi. Mentre Serena prova a cercare la casa a piedi, io lo sento bussare alle mie spalle. E’ davvero buffo, con il suo cappello e la tuta. In quel momento non lo so ancora, ma saranno lui e la sua famiglia a rimetterci in sesto. Mi dice che al cancello di casa mancano duecento metri di strada fangosa. Salto lo scalino ma per la troppa velocità, l’anteriore scivola facendomi cadere ancora. Sono distrutto!

AKIM CORRE COME UN PAZZO insieme ad un altro ragazzo e in quattro solleviamo la moto. Non faccio in tempo a parcheggiare nel cortile che io e Serena scoppiamo a piangere come due bambini. Sono le 20:30, è buio, abbiamo fame e siamo a pezzi fisicamente e psicologicamente. Crolliamo tra gli abbracci di Akim e sua moglie che ci trattano come figli. Doccia calda e la più buona zuppa di verdura mai mangiata. E’ deciso staremo qui due giorni: dobbiamo rimettere insieme noi e la moto.

NE APPROFITTIAMO ANCHE PER VISITARE IL FORTE DI YAMCHUN, godendoci finalmente lo splendore della valle, camminiamo fino alle sorgenti di Bibi Fatima. La sera finalmente conosciamo meglio Akim, che mangerà insieme a noi. Il professor Akim (io e Serena insegniamo entrambe alle superiori) è da 38 anni il preside della scuola di Togouz, ha quattro figlie femmine e un maschio; si è laureato a Mosca e rimpiange un po’ i tempi dell’unione sovietica in cui si poteva volare fino a laggiù con pochi dollari e i servizi di istruzione e salute erano garantiti per tutti. In quello che da noi sarebbe considerato un agriturismo, produce tutto ciò che ci offre da mangiare. Gli piace ospitare i viaggiatori ed è felice di parlare in russo con Serena mentre ci mostra con orgoglio il suo guest book pieno di dediche di turisti da ogni parte del mondo. Tra una chiacchiera e l’altra si fa tardi ed è ora di spegnere le luci e di andare a letto.

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