Dall’Asia centrale all’Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #2

Dall’Asia centrale all’Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #2

Un raid affascinante e avventuroso, un lento "ritorno" in moto attraverso le 1.000 suggestioni dell’Asia centrale. La seconda tappa, alla scoperta del Palmir 

FRANCESCO CICCARELLO (PUBBLICAZIONE A CURA DI DIEGO D'ANDREA)

05.09.2018 08:46

PROPRIO COSÌ. A pochi chilometri dal passo, una frana ci costringe a fermarci e a riflettere sul da farsi. Il guado di per sé non sarebbe difficile ma lo scalino da superare è piuttosto alto: cadere nel torrente sarebbe un disastro. Pochi secondi e ci raggiunge la coppia turca sul GS che avevamo conosciuto prima. Cerchiamo di proseguire, seguendo una pista che sembra aggirare l’ostacolo, ma nulla da fare. Rimane un’unica soluzione: affrontare il guado. Uno di noi monterà in sella e gli altri tre cercheranno di tenere la moto lateralmente. Iniziamo con il GS e fino all’ingresso del guado tutto ok. Sentiamo l’acqua arrivare alle ginocchia, proseguiamo. Ecco lo scalino, è alto circa 50 cm. Malgrado la stazza, il pilota turco è già privo di appoggi con i piedi. Si fatica, il motore urla. Ma dopo uno dei secondi più lunghi della nostra vita, si passa dalla parte opposta.

ORA TOCCA AD AFRICA, ma non voglio fare il supereroe, e la mole del turco mi suggerisce di lasciare il manubrio a lui. Monta in sella. Stesse identiche operazioni di prima, ma i secondi, malgrado si parli della nostra moto, passano più velocemente. Nella testa risuonano le parole del mio amico Fabio: “Basta aspettare, darsi una mano a vicenda e gli ostacoli si superano”. Abbracci e strette di mano; attimi di gioia pura dopo la paura. Vedremo il profilo della moto turca sparire all’orizzonte durante una delle nostre pause fotografiche.

LA STERRATA PROSEGUE FINO AL PASSO UY BULOQ a 4.332 m. Siamo in un territorio che ricorda quello lunare, privo di vegetazione, dove montagne color grigio sono sormontate da ghiacciai di una bellezza impressionante. Lo stupore è enorme quando, dopo pochi km, ci si apre davanti a noi il profilo del lago Karakul. Formatosi in seguito all'impatto di un impatto di un meteorite, è uno dei laghi alpini più alti del pianeta. Prendete il blu più bello che conoscete, il cielo celeste dei vostri sogni e circondate il tutto con le montagne ricoperte del bianco più candido, solo così avrete un'idea di questo luogo. Le vette che abbiamo davanti sono quelle che solo il giorno prima stavamo guardando dall’altra parte. Da lontano riconosciamo il profilo del Pick Lenin. Ora finalmente lo possiamo dire: siamo sull’altopiano del Pamir, quota: 3923 mslm.

IL SILENZIO È TOTALE e non riusciamo a trattenere l’emozione per ciò che stiamo vivendo. Mentre scendiamo verso le rive del lago cosparse di sale (le sue acque ne sono ricche) iniziamo a pensare che si tratti davvero del luogo più bello del mondo. Ci fermiamo nel piccolo villaggio sulle sue sponde, che ha lo stesso nome del lago.

LASCIATA LA STRADA PRINCIPALE, sparisce l’asfalto e al suo posto, terra e polvere. Per quanto modesta, la piccola casa che funge da Home stay è pulita e l’ospitalità offerta la rende più calda e accogliente di tanti hotel in cui siamo stati. Il prezzo è irrisorio per noi occidentali: circa 10$ la mezza pensione. Passiamo il resto del giorno a camminare lungo il lago e alla scoperta del piccolo villaggio, dove assistiamo a diverse scene di vita quotidiana. Entriamo anche in un tipico “market”: una stanza in cui si trova di tutto, dallo zucchero alle vecchie divise militari russe, dalla pasta ai bottini, dall’olio alle lampadine ma soprattutto, una valanga di caramelle. Non cercate frutta e verdura, da queste parti non arrivano.

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