Moto Guzzi sulla Via della Seta, la 3a puntata

Moto Guzzi sulla Via della Seta, la 3a puntata
Il 14 giugno sono partiti da Malpensa 22 piloti pronti per percorrere in sella a ventidue esemplari di V7 III Stone la rotta di Marco Polo, fino in Cina, passando per il miraggio di Samarcanda. Ecco il resoconto del loro viaggio.

Redazione - @InMoto_it

26.06.2017 11:22

 “Per secoli, dal graduale abbandono della Via della Seta in poi, la linea del deserto del Kara Kum Turkmeno fino al deserto del Takla Makan nel Turkestan cinese è rimasta uno dei luoghi meno attraversati del pianeta. Finché all’inizio del Novecento, quasi all’improvviso, alcuni fra i migliori – e più visionari – studiosi di cose antiche hanno deciso, tutti insieme, di partire alla scoperta delle civiltà che si dicevano sepolte, e intatte, sotto la sabbia.” Peter Hopkirk, Diavoli Stranieri sulla Via della Seta
Il programma che mi hanno consegnato, quando mi è arrivata la comunicazione che sarei stato il fotografo e il cantastorie della nuova avventura di Riso Scotti e Moto Guzzi, inizia con questa citazione di Peter Hopkirk. Beh, non ci crederete, ma Hopkirk è uno dei miei autori preferiti, ho iniziato con “Il Grande Gioco” e da lì ho letto tutti i suoi libri, immaginando quell’epopea di avventurieri, Khan, spie, esploratori, eserciti che si è compiuta a cavallo tra il XVIII e gli inizi del XX secolo in una delle zone più calde del pianeta, l’antico Industan. Conoscere la storia di queste terre ci aiuta a capire anche il nostro quotidiano e i tiggì che vediamo tutti i giorni, a comprendere perché l’Afghanistan è uno snodo cruciale del potere mondiale e perché nell’Asia Centrale ci sono due cose che fanno dalla notte dei tempi: commerciare e combattere.
Ovviamente non sono qui per fare analisi socio-politiche, ma per raccontarvi un viaggio unico, di quelli che quando parti gli amici ti dicono “è il viaggio della vita”, con una punta di (sanissima) invidia. Ma davvero sono strade in cui bisognerebbe andare almeno una volta nella vita, perché da qui è passata gran parte della nostra storia e dei commerci che hanno fatto grandi Genova e Venezia. E proprio l’Asia centrale è stata l’ago della bilancia di equilibri mondiali che hanno visto uno dei due piatti muoversi sotto al peso della Russia, quella zarista prima, quella socialista dopo. Ma basta chiacchiere, è ora di partire!

Gli imprevisti rendono memorabili i viaggi. Partendo da questo (sacrosanto) assunto, le premesse dovrebbero essere ottime; il mio primo imprevisto, infatti, è stato non poter partire con tutto il gruppo alla volta dell’Iran. Purtroppo mentre i visti per Tagikistan e Uzbekistan sono relativamente facili da ottenere (quello per il Kirghizistan si prende tranquillamente alla frontiera), l’iter è più complesso per il Turkmenistan. E, a quanto pare, fotografi e giornalisti non lo ottengono facilmente. Infatti a me, che sono ambedue le cose, viene negato l’ingresso nel paese. Risultato: volo da solo fino a Tashkent, dove incontro il simpaticissimo Bex, mia guida e angelo custode. Insieme prendiamo un altro aereo diretti a Urgench (capoluogo della provincia del Khorezm e classica città sovietica dalla pianta a griglia con strade enormi e piazze vuote, affascinante nella sua austerità), per poi raggiungere Khiva in automobile.  E qui aspettiamo il resto del gruppo di guzzisti, che nel frattempo hanno lasciato l’Iran e stanno attraversando il deserto del Karakum Turkmeno (senza di me, sigh!).

Ci vuole sempre un po’ per carburare, quando ci si trova catapultati in un luogo tanto diverso da quello in cui sei abituato a vivere. Così inizio a scattare, che è la cosa che mi riesce meglio.

Il cielo sembra un opale screziato d’arancione appena lucidato, il pomeriggio allunga le sue ombre sui palazzi di una Khiva quasi vuota, irreale, nella quale rimbombano i passi e le risate dei bambini che provano a catturare le cavallette con le mani, quando salgo sulla torre di guardia della Kuhna Ark l’ultimo spicchio di sole sta incendiando le facciate dei meravigliosi palazzi rivolti a occidente, mentre sullo sfondo sfumano le basse case popolari a pianta quadrata di paglia e fango. È uno di quei momenti in cui ogni cosa ha il sapore che dovrebbe avere e l’esatto colore, poso la macchina fotografica e mi godo questa rara sensazione di pienezza.
Ho imparato la mia prima parola in Uzbeko, rakhmat. Significa “grazie”.

(Leonardo Lucarelli – Continua nella prossima puntata)

(Nella foto: Pronti ad affrontare il deserto rosso. Khiva ti lasciamo)

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