Zero Motorcycles

Zero Motorcycles
153 km/h di velocità massima, 220 km di autonomia, un’ora per ricaricarsi. Elettrica e emozionante

Redazione - @InMoto_it

01.06.2013 ( Aggiornata il 01.06.2013 10:50 )

I modelli 2012 di Zero rappresentavano già un netto passo avanti dalla precedente produzione stradale – partita nel 2009 – grazie a un’autonomia che passava da 43 a 114 miglia, e una velocità massima parimenti aumentata da 67 a 88 miglia all’ora. Il mondo della mobilità elettrica, soprattutto nel campo delle batterie, si muove però con la stessa rapidità di quello della telefonia mobile o dell’informazione digitale. Per il 2013 Zero ha compiuto un balzo in avanti ancora più significativo rendendo i propri prodotti pratici ma anche divertenti, aumentandone prestazioni ed autonomia ed abbattendo i tempi di ricarica – non è un caso se siamo qui a paragonarle a moto spinte da propulsori a combustione interna. Già che c’erano le hanno rese anche più belle grazie al lavoro del designer Matt Bentley che ne ha addolcito le linee. Ora le Zero appaiono moto concepite nella loro interezza e non più come un guazzabuglio di parti che sono finite casualmente montate assieme nello stabilimento nord-californiano di Zero. Le moto elettriche sono già da anni attese come una grande rivoluzione, nate da progetti sviluppati nel tempo libero da qualche genio eccentrico ed arrivate in qualche caso fino alla produzione: pensate all’americana MotoCzysz, vincitrice del TTx di quest’anno nelle mani di Michael Rutter grazie a un giro ad oltre 160 di media con cui ha battuto la Honda Mugen ufficiale assistita da 14 tecnici in livrea ufficiale. Quando i grandi dell’industria – Honda, KTM con la sua Freeride W ma anche BMW con il suo C evolution – investono milioni per sviluppare le nuove tecnologie per questi prodotti è evidente che la faccenda sia grossa. Un concetto di motociclismo completamente nuovo che potrebbe essere il futuro delle due ruote. Curiosamente, il leader di questa nuova ondata di costruttori di moto alternative non è nessuno dei grandi sopra citati, né i costruttori dei funzionali ma poveri scooter elettrici cinesi, che sul mercato interno vivono grazie alla messa al bando di moto e ciclomotori a combustione interna dalle città, nonostante i gravissimi problemi di inquinamento derivino sicuramente più dall’uso di centrali a carbone che non dalla mobilità a due ruote. No, il più grande costruttore di moto elettriche è proprio Zero, azienda situata a sud di San Francisco nella scenografica cornice delle colline sopra Santa Cruz, cittadina di mare ad una mezz’ora di auto da quella Silicon Valley dove sono fiorite Apple, Oracle (il cui fondatore Larry Ellison possiede una Zero) e gli altri leader della rivoluzione digitale. Fondata nel 2006 dall’ex tecnico NASA Neal Saiki nel proprio garage – nel più puro stile della Silicon Valley – Zero da allora ha venduto circa 3.200 moto elettriche, sostenuta dai fondi della Private Equity Invus Group di New York. Con l’aumento della produzione a 1000 moto l’anno  (e aspettatevi che gli 83 impiegati, 28 dei quali ingegneri impiegati nella ricerca e sviluppo, ne raddoppino il numero nel 2013) Zero ha migliorato vertiginosamente il livello del proprio prodotto. Merito di Abe Askenazi, ex capotecnico di Buell dove svolgeva il ruolo di braccio destro del fondatore Erik, che ha migliorato le prestazioni, aumentato l’autonomia e ridotto i tempi di ricarica su tutti i modelli. Per il 2013 la gamma prevede cinque diverse piattaforme: la stradale S, la entrofuoristrada DS, la cittadina XU, la cross MX e la grande novità dell’anno, la teppistica FX, sostanzialmente una MX con luci. Nella settimana in cui si è svolto il loro debutto mondiale ho potuto passare un’intera giornata in sella a due di questi modelli fra colline e valli dietro Santa Cruz e lungo la costa del Pacifico: la S e la DS, che insieme fanno il 90% delle vendite Zero. Askenazi e il suo team hanno completamente rivisto la gamma Zero 2013 adottando un motore elettrico Z-Force completamente nuovo, progettato in Canada ma realizzato in Cina per contenere i costi. Il risultato sono moto leggermente più costose di un mezzo tradizionale, ma che si ripagano nel tempo grazie a costi di gestione e manutenzione pari a zero: a parte la periodica sostituzione di gomme e pastiglie freni, dovreste tornare dal concessionario solo perché volete farci quattro chiacchiere. Il nuovo, compattissimo propulsore ad elevata efficienza (brevettato) e flusso radiale si basa su un concetto di spostamento dei componenti che si scaldano maggiormente sulla zona periferica, godendo così di un raffreddamento effettuato da una campana in alluminio dotata di una profonda alettatura irregolare. Il raffreddamento è quindi ad aria passiva, non ci sono ventole né prese d’aria. L’incremento di potenza dichiarato rispetto alla versione precedente a flusso assiale è del 93%. Il controller Sevcon – rimasto invariato dal 2012 – è da 420amp, che unito al nuovo propulsore offre 54 CV a 4.300 giri e 92 Nm di coppia. Un buon 36% più del pacchetto 2012. Buona parte del merito va anche al pacco batterie (sviluppato da Zero stessa) agli ioni di litio, disponibile in due diverse configurazioni – la potenza resta fissa a 102 Volt – che variano in maniera sostanziale l’autonomia. Durano 2500 cicli di ricarica, corrispondenti ad oltre 300.000 miglia: è abbastanza naturale immaginarsi che vivranno più a lungo del mezzo su cui sono installate, dunque la loro sostituzione non inciderà sul costo del mezzo. La configurazione più prestante, da 11,4 kWh (peso complessivo 173 kg), contiene quattro moduli batteria (o cell boxes) Zero, realizzati internamente da tre dipendenti usando celle Farasis, offrono un’autonomia pari a 220 chilometri con una singola carica secondo il ciclo cittadino EPA, che prevede una velocità massima di 70 all’ora. La versione meno costosa, da 8,5 kWh con tre moduli, consente un’autonomia di 165 km riducendo il peso a 159 kg. Naturalmente i valori calano nell’uso extraurbano, dove le velocità si alzano, per cui non è affatto strano che l’85% dei clienti Zero scelgano il pacco batterie più voluminoso e spesso montino il cupolino optional, che aumenta l’autonomia di un altro 4%. Usando il caricabatterie integrato da 1,3 kW le batterie si ricaricano da zero al 95% in 7,4 ore. Ma usando il caricabatteria CHAdeMO optional – prodotto giapponese usato su auto come la Nissan Leaf – che consente di attaccarsi alla rete di stazioni di ricarica ormai sempre più diffuse in tutto il mondo, il tempo si riduce a circa un’ora. Il sistema infatti accede direttamente alla batteria, e il fattore limitante diventa la velocità di ricarica della batteria stessa. Sfruttare al massimo le prestazioni del motore (e toccare dunque i quasi 160 km all’ora di velocità massima) su S e DS ovviamente riduce l’autonomia, ma non così repentinamente come uno potrebbe pensare, almeno a giudicare dalla lentezza con cui l’indicatore del… carburante ha risposto alla mia esuberanza. Curiosamente, l’indicatore è rappresentato da una pompa della benzina sul cruscotto della Zero, dotato anche di contagiri analogico e tachimetro digitale con doppio parziale. Assente l’orologio: pare che mantenerlo puntuale anche a chiave spenta assorbirebbe troppa corrente. La velocità massima è limitata dal blocco posto a 6.200 giri sul propulsore Z-Force, ma modificando il rapporto di trasmissione finale (è disponibile in kit sostitutivo che comprende una cinghia dentata Gates più corta e una corona più piccola) si può arrivare a 107 miglia all’ora (172 km/h) per chi vuole un mezzo più veloce. Pagando, naturalmente, qualche cosa in accelerazione. Dopo un’intera giornata in sella ai due modelli Zero ho “Fun, Fun, Fun” dei Beach Boys che mi risuona nel cervello: sembra la canzone perfetta per i due modelli Zero e non solo per la vicinanza geografica. Scordatevi la riduzione dei costi energetici o cose come il salvataggio del pianeta, dopo cinque minuti su una delle due nuove Zero avrete un gran sorriso sulla faccia derivante dalle loro prestazioni, esaltanti ma soprattutto erogate in maniera molto diversa da tutto ciò che potete trovare sul mercato oggi. Come mai? Nel 2012 avevo passato un’altra giornata in sella ai modelli Zero, che pur offrendo prestazioni interessanti restavano semplici mezzi di trasporto economici ed ecologici difficilmente confrontabili con moto vere. Con l’upgrade dei modelli 2013 tutto è cambiato: le Zero S e DS ora sono vere e proprie moto, incidentalmente spinte da un motore elettrico invece che a combustione interna. Saranno anche verdi, ma sono soprattutto divertenti. Il nuovo telaio, che abbraccia il pacco batterie e sfrutta il motore come elemento stressato, rende molto più sostanzioso il feeling delle Zero, soprattutto la S che prima sembrava davvero minuscola, quasi una Kawasaki Ninja 250. Ora ricorda più una Triumph Street Triple o Ducati Monster 695, fenomeno ancora più marcato sulla più alta DS: se prima le Zero erano pensate per una clientela inesperta, ora hanno un certo appeal anche per motociclisti che magari hanno altri modelli in garage. L’aggiunta del posto per il passeggero, novità assoluta per i modelli 2013, non fa che aumentarne la versatilità. Per avviare la Zero basta girare la chiave, premere il pulsante sul blocchetto destro e aspettare che si accenda la luce verde sul cruscotto. Dopodiché basta girare l’acceleratore e siete pronti per partire – la trasmissione diretta è particolarmente adatta alla curva di coppia rettilinea (e quindi a quella perfettamente diagonale per la potenza) rendendo del tutto inutile l’uso di un cambio. L’accelerazione è davvero impressionante, ben lontana da quella un po’ deboluccia dei modelli 2012: sono pronto a scommettere che una Zero S al semaforo si mangi senza fatica le 600 sportive. E poi non c’è la frizione di cui preoccuparsi, basta girare l’acceleratore e godersi una risposta pronta e progressiva, ma soprattutto un equilibrio della ciclistica assolutamente perfetto. La ripresa ai medi sorprende: spalancare il gas dai 100 all’ora – contagiri fisso sui 4.000 – restituisce un genere di spinta che farebbe venire l’acquolina in bocca a qualunque ducatista, pur se offerta nel più assoluto silenzio invece che con il tuono degli scarichi. In effetti, spalancare il gas a qualunque velocità sopra i 30 all’ora – dopo aver vinto l’inerzia iniziale – restituisce una spinta ricca di coppia e degna di una supersportiva. È davvero impressionante, e va annoverata fra i benefici della gommatura stretta che riduce la resistenza al rotolamento. La cosa non impone compromessi in curva: le due IRC hanno offerto un ottimo grip nel caldo dell’autunno californiano, permettendomi di toccare il cavalletto a sinistra e il piolino pedana a destra. Meno gradevoli le fuoristradistiche Kenda montate sulla DS, rivelatesi molto rumorose sull’asfalto pur con un buon grip. Zero ha già migliorato i freni, che ora contano su una pinza Nissin a due pistoncini e un disco di 310 mm Ø, mentre al retrotreno troviamo un disco di 220 mm Ø operato da un tradizionale comando a pedale, e non da una leva come ci si poteva attendere. Il comando ora è molto più pronto e potente, tanto che difficilmente vi servirà più che un dito sulla leva grazie anche ai raccordi in treccia e alla frenata rigenerativa, che opera sulla Zero in due modalità. Una entra in gioco quando si chiude il gas – il freno motore, in questo frangente, è nettamente avvertibile – mentre la seconda si attiva quando un sensore percepisce l’azionamento della leva del freno, aumentando la ricarica. Tutti questi parametri, del resto, sono alterabili con un telefono Android o Apple iPhone grazie all’interfaccia bluetooth integrata. Una componente che Zero dovrebbe rivedere invece è la sospensione posteriore. La forcella rovesciata Fastace di 38 mm Ø è completamente regolabile e non se la cava male, mentre il mono posteriore con schema cantilever sulla S è decisamente meno soddisfacente, con una risposta brusca. Le cose vanno meglio sulla DS principalmente per la maggior escursione delle sospensioni, ma la S – punta di diamante della gamma Zero – non si merita un difetto tanto banale. È difficile trovare altri difetti su mezzi che rappresentano lo stato dell’arte del motociclismo elettrico. Un’esperienza che, per usare le parole di Askenazi, «costituisce un distillato della guida motociclistica. In assenza di fumo, rumori, calore, sforzo alla frizione, sembra di stare su un tappeto volante. E sul misto la capacità di “sentire” il grip delle gomme in assenza di vibrazioni e tutti gli altri fattori di disturbo vi permettono di guidare come non credereste possibile. Ho ancora la mia Buell con motore tradizionale, ma la guido sempre meno. Penso ancora che sia una gran moto, ma quando ci salgo dopo aver guidato una Zero sembra tanto pesante e goffa…» special2

  • Link copiato

Commenti

InMoto in abbonamento