Una vita da Bimota: l’intervista a Giuseppe Morri

Una vita da Bimota: l’intervista a Giuseppe Morri

Un appassionante viaggio dalle origini del Marchio Bimota fino al recente matrimonio con la Kawasaki, attraverso le parole di uno dei suoi storici fondatori, Giuseppe Morri. Per cercare di scoprire cosa ci aspetta nei prossimi anni

27.12.2019 17:40

Una storia quasi da film, quella della Bimota, storica azienda riminese nata nel secolo scorso dalla caparbia volontà dei suoi fondatori di creare qualcosa di unico nel panorama motociclistico. Una vicenda che, tra alti e bassi, giunge ai giorni nostri con un inatteso colpo di scena: l’acquisto da parte di Kawasaki, con un piano di rilancio che potrebbe riservare piacevoli sorprese per un marchio da tempo in affanno. Ne è convinto al 100% uno dei suoi storici fondatori, Giuseppe Morri, che abbiamo incontrato per un’intervista in cui abbiamo parlato degli esordi, provando anche a gettare lo sguardo “oltre la siepe”.

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Bianchi, Morri, Tamburini: ci racconta com’è iniziata questa incredibile avventura?

"Bianchi lo conoscevo perché è mio cugino, facevamo entrambi lo stesso mestiere, gli idraulici in un cantiere. Lì abbiamo conosciuto Tamburini e abbiamo capito subito che era bravissimo, aveva un modo di lavorare entusiasmante. Siamo diventati amici e dopo un po’ abbiamo deciso di metterci in società, era il 1966. L’azienda andava bene. In quegli anni la Riviera era in fermento, per cui ci allargammo in fretta. Bologna, Ancona, poi le commesse per il Ministero della Marina, e tante altre realtà importanti. Tamburini era quello che si occupava dei grandi lavori. Io facevo gli affari, ero conosciuto nell’ambiente perché ci mettevo la faccia. Bianchi era un po’ stritolato tra due persone con un carattere forte. 

Forse per questo a un certo punto è andato via, senza neanche avvertire. Intanto Tamburini aveva già cominciato a pasticciare con le moto. Questo era stato un elemento di discussione forte con Bianchi, perché lui era convinto che perdesse solo tempo. Aveva elaborato una Guzzi, poi una MV. Poi comprò una Honda, ci andò a Misano e fece un volo incredibile alla curva della Quercia. Andai in ospedale a trovarlo e ricordo che a un certo punto gli dissi: “Massimo, se continui così io vado avanti da solo. Tu vai in moto e ti spezzi tutto”. Poi, durante l’inverno, trascorremmo delle serate insieme, io e lui, a mettere a posto un magazzino. E mi convinse! Provammo a usare il motore della sua vecchia Honda per fare una moto. “Male che vada facciamo pubblicità all’azienda” mi disse, “oppure hai visto mai che facciamo un’altra attività parallela?”. Così nacque la IB1, ci andammo a Imola e le prendemmo di santa ragione; allora ci promettemmo che non avremmo mai mollato finché una nostra moto non fosse partita in prima fila in un mondiale. Senza sapere che quella sarebbe diventata una droga, da cui non saremmo usciti più".

Quella della prima Bimota è stata un’avventura incredibile. Cosa ha rappresentato per lei, e cosa ha rappresentato per il mondo moto? 

"Per me, in un certo senso, è stata una scelta drammatica. Quando all’inizio del 1976 decidemmo di vendere la vecchia attività e di dedicarci completamente alle moto, fu come giocarci tutte le fiches su un unico numero. Sono stati anni durissimi. Li abbiamo superati con difficoltà, anche perché ci fu uno sfortunato episodio nel rapporto fra noi e Suzuki Italia, che ci aveva ordinato 200 moto. Furono bloccate tutte. Il materiale era praticamente pronto, ma i motori non furono fatti sbarcare a Livorno, perché l’allora Ministro del commercio estero ricontingentò le quote sui giapponesi, bloccando i ricambi, e i motori tornarono tutti in Giappone. Riuscimmo a fatica a convincere la Suzuki a darci 50 motori smontati da motociclette complete, per realizzare almeno 50 moto, ma fu un rischio pazzesco quello lì. Poi ci fu l’investimento enorme sulla nuova fabbrica. 

A quel tempo noi non avevamo altre risorse se non il lavoro. Investire 800 milioni, una cifra non indifferente in quegli anni, fu da non dormirci la notte. All’epoca avevo già tre figli. Tamburini ne aveva due. La mia vita è sempre stata così, non ho mai avuto paura di rischiare, ma quello che facevo mi doveva convincere e darmi delle soddisfazioni, sia dal punto di vista professionale che economico. Dal punto di vista professionale ero sicuro, su Tamburini non avevo dubbi. Su quello economico un po’ meno"

Dal binomio Kawasaki/Bimota può nascere un progetto racing? 

"Non lo so, ma ad oggi direi di no. La tecnologia nelle moto da competizione è talmente avanzata che Bimota dovrebbe diventare enorme per stare dietro alle corse. Inoltre la moto che hanno presentato, la Tesi H2, non fa pensare a questo. Credo che la strada attuale sia una struttura che intende fare prodotti avanzati in piccola serie".

Bimota: la Tesi H2 si prepara al debutto su strada

Vi abbiamo incuriosito? Volete sapere cos'altro ci ha svelato Giuseppe Morri sulla sua vita e sulla Tesi H2? Sul nuovo numero di In Moto in edicola, o in versione digitale qui trovate l'intervista completa.

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