Le sospensioni semi-attive

Le sospensioni semi-attive
Un periodo di crisi, con una contrazione fortissima delle vendite, non può che avere ricadute anche sui reparti R&D delle Case. Le novità sono poche e gli sviluppi tecnologici risultano rallentati, a parte in un settore...

Redazione - @InMoto_it

01.01.2013 ( Aggiornata il 01.01.2013 18:06 )

Le sospensioni semi-attive, ovvero in grado di cambiare i loro settaggi durante la marcia in funzione delle condizioni di guida, sono una delle poche vere novità di questo 2012. Si tratta di una tecnologia destinata a lasciare il segno e a tenere banco a lungo. Quanto ora presentato infatti si rivelerà ben presto solo il primo passo in una direzione che lascia presagire parecchi sviluppi nel futuro prossimo venturo. Stiamo parlando senza mezzi termini di una piccola rivoluzione, più o meno paragonabile all’introduzione dell’elettronica nei motori diesel avvenuta negli anni ’90. All’epoca il motore diesel era una ben poco ambita esclusiva di rappresentanti e commercianti alla guida di veicoli magari economici, ma lenti, rumorosi e fumosi. Poi Common Rail e affini trasformarono il diesel in un gioiello desiderato da tutti gli utenti perché in grado di coniugare prestazioni e comfort di marcia a consumi inarrivabili dai motori a benzina. Un esempio, questo, per cercare di far intendere la portata che potrà avere l’introduzione del controllo elettronico dell’assetto nel settore moto. PREMESSA Chiariamo che oggetto di questo servizio non sono le sospensioni a regolazione elettronica tipo l’ESA di BMW o il DES del Ducati Multistrada 1200 prima serie. Quei dispositivi infatti prevedono semplicemente la possibilità di regolare estensione e compressione (eventualmente anche precarico molla) dietro comando del pilota. La tecnologia è tutto sommato semplice: sono montati dei servomotori in asse con i registri delle regolazioni su sospensioni che internamente presentano una architettura classica. I servomotori movimentano gli spilli di regolazione dei passaggi olio e di conseguenza forcella e ammortizzatore offrono maggiore o minore resistenza all’escursione. Ma a parte la comodità di azionare il sistema in movimento niente cambia rispetto ai classici registri azionabili manualmente. La regolazione semi-attiva invece sancisce il primo vero salto generazionale dopo decenni di sostanziale stasi del settore. Senza tema di smentite si può asserire che tutte le innovazioni “meccaniche” introdotte sulla forcella teleidraulica e sul monoammortizzatore nel corso degli anni (pensiamo alla pressurizzazione dei circuiti dell’olio, o all’introduzione dei rivestimenti anti-attrito sulle superficie di scorrimento, tanto per fare alcuni esempi) risultano essere solo piccoli affinamenti nemmeno paragonabili alle potenzialità di un sistema in grado di interagire in tempo reale con tantissime variabili esterne, dallo stile di guida del pilota al particolare frangente del percorso (frenata, accelerazione, inserimento in curva, ecc.) finanche alle condizioni punto per punto del manto stradale. spec2 In principio era la matematica, si dirà... e in effetti dietro al raggiungimento della prestazione pura o del massimo piacere di guida ci sono equazioni differenziali anche abbastanza complesse. Cercando di semplificare al massimo si immagini la moto come una massa sospesa (M) che è collegata a terra tramite masse non sospese (m). M e m sono collegate da elementi elastici, le molle (k) e i pneumatici (k1), e freni idraulici (c) che sono l’oggetto del nostro contendere. La definizione delle caratteristiche di guida passa attraverso il corretto dimensionamento di tutti questi organi che avviene risolvendo le citate equazioni differenziali. L’ingegnere può approcciare il problema seguendo due distinte filosofie a seconda del sistema di riferimento scelto. Si può immaginare la moto come sospesa nell’aria in modo che le perturbazioni dell’asfalto idealmente non turbino il suo moto orizzontale, lo “Skyhook” tanto caro a Ducati per intenderci, oppure pensare ai pneumatici come incollati all’asfalto e le sospensioni che ne prevengano il distacco per non perdere l’aderenza tanto necessaria per non cadere per terra. In questo caso si parla di “Groundhook”, ovvero un uncino che ancora a terra, di chiara connotazione racing. A grandi linee possiamo dire che la progettazione parte da due assunti diversi ma giungerà a risultati abbastanza simili. Per quanto riguarda questa trattazione è ovvio che una volta dimensionato tutte le masse, i pneumatici e le molle, l’unico elemento che potrà essere variato durante la marcia è l’elemento ammortizzante, variato addirittura in tempo quasi reale. Resta adesso da capire come e quando azionare il sistema di regolazione per ottimizzare il nostro Skyhook per massimizzare il comfort di guida, o il nostro Groundhook per massimizzare la prestazione. E qui ancora saranno matematici e informatici a lavorare senza sosta per sviluppare strategie in grado di reagire al meglio a ogni singolo evento. Tanto per fare un esempio pratico di cosa può fare il sistema, analizziamo quanto sviluppato da Sachs per Ducati e BMW. Al momento, ma si tratta solo del primo step di sviluppo del prodotto, i tecnici si sono focalizzati sulla regolazione attiva del comportamento in compressione della forcella. Questa scelta è dovuta a più fattori: è l’elemento di cui il pilota ha maggiore sensazione durante la guida, dopotutto la forcella è fra le mani di chi guida, è uno degli elementi più importanti per il feeling in tutte le condizioni ed è tutto sommato più semplice da mettere a punto piuttosto che altre regolazioni. Inoltre ottimizzare il comportamento in frenata di una moto porta a creare strategie che possono essere trasferite da un modello di moto a un altro senza enormi stravolgimenti. Succede invece che l’importantissimo comportamento in estensione dipende da tanti fattori in più, per non parlare del lavoro dell’ammortizzatore vincolato in misura importante anche al tiro catena che cambia tantissimo in funzione delle geometrie del veicolo. Immaginiamo ad esempio la sospensione posteriore della Ducati Multistrada tutto sommato con geometrie tradizionali oppure quella della Panigale con misure fortemente anti-sqwat fatte per garantire tanta trazione e costanza di assetto in uscita di curva: per ottimizzare il lavoro dell’ammortizzatore serviranno strategie completamente differenti. Comunque già lavorando solo sull’idraulica in compressione si possono fare cose oltremodo interessanti. Nel diagramma qui sotto sono riprodotti tre variabili acquisiste durante una frenata molto violenta: 1) la corsa della forcella, 2) la pressione nell’impianto frenante ovvero l’intensità della decelerazione, 3) la variazione del setting di compressione della forcella. A parità di tutte le altre condizioni (k della molla, pneumatici, pilota, ecc.) si vede in rosso cosa succede su una moto con i registri completamente chiusi, in blu con i registri di compressione completamente aperti, in verde con la sospensione semiattiva. Ovvio che nell’ultimo diagramma si vede variare solo la linea verde essendo blu e rosso i valori prefissati di una forcella tradizionale. Attorno al secondo 0,4 il pilota chiude gas e si legge un primo trasferimento di carico sull’anteriore, la forcella blu più cedevole inizia subito a comprimersi e lo stesso fa la forcella attiva che in questo momento ha i registri tutti aperti, mentre la forcella rossa più “dura” si comprime solo in un secondo momento. Attorno all’istante 0,6 il pilota inizia a frenare con intensità crescente. La forcella blu scende giù velocemente, la forcella rossa ovviamente in maniera molto meno marcata, in mezzo la forcella verde che però ha visto variare istantaneamente il suo registro; adesso settato nella posizione di massima chiusura. La forcella scende in maniera uniforme e si mantiene comunque sufficientemente lontana dal fondocorsa. La forcella rossa invece è troppo dura, non trasferisce sufficiente peso sulla ruota anteriore, la moto non affonda e il baricentro rimane alto e diventa difficile copiare al meglio le asperità dell’asfalto. Attorno all’istante 1,6 sulla rossa si manifesta un bloccaggio e l’ABS entra in funzione riducendo, magari solo di poco, l’efficacia dell’azione frenante. Caso opposto per la sospensione blu che, priva di adeguato sostegno idraulico, arriva a fondocorsa e in quelle condizioni non è più in grado di copiare le asperità dell’asfalto. Anche in questo caso l’effetto è lo stesso: la ruota anteriore tende a bloccarsi e all’istante 1,9 l’ABS interviene e la frenata si allunga. La forcella verde invece lavora al meglio: il registro di compressione si è chiuso repentinamente per bilanciare l’affondata dovuta al trasferimento di carico, una volta stabilizzata la frenata è la molla a sostenere il peso della moto e i registri dell’idraulica si aprono iniziando ad oscillare attorno al 60-70% di tutto chiuso, la moto è caricata davanti ma senza arrivare al fondocorsa e negli istanti in cui negli altri casi l’ABS inizia ad entrare in funzione il pilota verde può addirittura permettersi di incrementare leggermente l’azione frenante! Il vantaggio è evidente. E gli eterni insoddisfatti sappiano che questo è solo il primo passo, allo stesso modo si potranno avere vantaggi in accelerazione, in percorrenza di curva, in inserimento oppure nei cambi di direzione. Se questi vantaggi saranno più o meno grandi sarà la prova su strada a dirlo, ma sicuramente la curiosità è tanta! spec3 COME SONO FATTE Le sospensioni semi-attive hanno due costituenti fondamentali che potremmo definire il cuore e il cervello del sistema: ovvero l’hardware e il software. Può sembrare strano ma i tecnici hanno dovuto lavorare molto di più sul secondo piuttosto che sul primo. L’hardware, banalizzando, è una valvola che regola i passaggi dell’olio durante la fase di estensione e compressione. Le sezioni di passaggio sono ampliate o ridotte facendo scorrere un cono attraverso un foro cilindrico. La posizione del cono è determinata dal campo magnetico generato da una bobina comandata da un computer. La regolazione è velocissima e sostanzialmente la posizione del cono, o più propriamente dello spillo di registro, è proporzionale alla corrente elettrica che passa attraverso gli avvolgimenti della bobina. Da qui si giustifica l’analogia fatta con i sistemi common rail di iniezione gasolio, dove, sempre banalizzando, una bobina gestisce l’apertura e la chiusura dei passaggi gasolio, non più legati come in precedenza a un azionamento meccanico comandato dalla fasatura del motore. Questa elettrovalvola non è una novità assoluta (difatti è un know-how gentilmente offerto dal settore auto): gli ingegneri hanno solo dovuto adattarlo alle differenti esigenze delle nuove applicazioni. Nell’automotive da anni le sospensioni elettroniche sono una realtà, ovviamente all’inizio riservate solo a modelli di elite per poi essere distribuite ai segmenti premium e quindi a scendere. Non è un caso quindi che le due realtà che sono più avanti nello sviluppo di queste sospensioni sono aziende fornitrici anche del settore auto. In Europa, ma il discorso a grandi linee vale anche per il mercato americano, le sospensioni di primo equipaggiamento auto fanno capo a due grandi nomi: Sachs e Monroe. Monroe è parte del gruppo Tenneco che possiede guarda caso anche Marzocchi, e Marzocchi ha recentemente presentato i suoi prodotti semi-attivi. Ma in questa rincorsa tecnologica è arrivata prima Sachs, che a Villar Perosa è già in produzione con sospensioni che equipaggiano Ducati Multistrada 1200 e BMW HP4. Ma una volta definita l’elettrovalvola non si è nemmeno a metà dell’opera. È il software quello capace di fare la differenza. Serve quindi una serie di sensori in grado di capire cosa sta facendo la moto e cosa sta facendo il pilota, quindi la centralina elettronica deve sapere come si stanno muovendo i comandi dell’acceleratore e dei freni, come e quanto la moto sta accelerando e frenando, come e quanto la moto sta piegando, cosa stanno facendo le sospensioni, a che velocità stanno ruotando le due ruote e quali sono le accelerazioni verticali a cui sono soggette le masse non sospese e le masse sospese. Si tratta di una valanga di informazioni che vanno acquisite a frequenza molto alta e processate in tempo reale (inutile avere un attuatore capace di intervenire in frazioni di decimi di secondo se la centralina sta processando informazioni acquisite un secondo o due prima). Dopodiché verrà formulata una strategia di controllo degli smorzamenti idraulici che terrà conto di tutti questi parametri, ma sarà anche regolabile dal pilota che non potrà resistere alla tentazione di “pigiare un po’ di tastini” sul manubrio per vedere cosa succede! E quando si parla di software, o per meglio dire di sensoristica e software di controllo, con piacere possiamo dire che il punto di riferimento è una azienda che si chiama E Shock, nata e cresciuta grazie a cervelli e risorse italiane. Per usare le loro stesse parole: “E-Shock è una start up fondata nel 2008 ed affonda le sue radici nell’attività del mOve (sito: move.dei.polimi.it) del Politecnico di Milano che da oltre 10 anni opera nel settore della ricerca applicata dei controlli elettronici per i mezzi di trasporto”. Tradotto, significa che chi vuol fare sospensioni elettroniche al giorno d’oggi almeno una chiacchierata con i tecnici milanesi è obbligato a farla. E così hanno fatto ZF Sachs, Marzocchi, Ducati e Bitubo, tanto per non fare nomi.

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