Che cosa succede... tiro la leva del freno (4. puntata)

Che cosa succede... tiro la leva del freno (4. puntata)

Redazione - @InMoto_it

01.07.2012 ( Aggiornata il 01.07.2012 09:03 )

La forza esercitata dalla mano sulla leva viene aumentata tanto meccanicamente quanto idraulicamente, e tra pastiglie e disco si crea la pressione necessaria Nelle moto moderne il freno anteriore è a disco e viene azionato da un sistema di comando semplice come schema, ma sul cui funzionamento in dettaglio è opportuno soffermarsi. La situazione infatti è più complessa di quanto non possa sembrare. La frenata si ottiene serrando il disco tra le pastiglie, che vengono premute contro di esso dai pistoni della pinza con una forza assai elevata, se si procede ad alta velocità e si agisce sulla leva con decisione per ottenere una decelerazione vigorosa, ovvero uno spazio di arresto contenuto. La forza esercitata dalla mano che muove la leva di comando è per forza di cose contenuta, ed è quindi necessario moltiplicarla come opportuno. Nei freni a tamburo, oggi pressoché scomparsi, per quanto riguarda l’avantreno, si impiega un comando meccanico, in quanto almeno una ganascia è autoavvolgente e si può quindi usufruire di una certa servoassistitenza automatica. Ciò avviene grazie al trascinamento, dovuto alla rotazione del tamburo, che la banda frenante esercita sul materiale di attrito, cosa che tende a fare aprire la ganascia in questione. Per quanto riguarda il settore motociclistico è sempre stato sufficiente, pertanto, moltiplicare meccanicamente la forza esercitata dal pilota. Nel caso dei freni a disco la situazione è ben diversa e non è sufficiente la sola moltiplicazione che si ottiene con un sistema meccanico, grazie alle diverse lunghezze dei due bracci della leva (cioè alle differenti distanze tra il fulcro e il centro della zona sulla quale agisce la mano e tra il fulcro e il punto di azionamento della pompa). Si impiega pertanto un comando idraulico, che consente di incrementare la forza, come stabilito dal principio di Pascal, in misura ben maggiore. Tale sistema è costituito dalla pompa, da una tubazione di collegamento e dalla pinza del freno. L’aumento della forza che si ottiene è pari al rapporto tra la superficie dei pistoni della pinza e quella del pistone della pompa. Grazie al sistema meccanico la forza può essere incrementata all’incirca di 4,0 – 5,4 volte, e grazie a quello idraulico si può avere un ulteriore aumento dell’ordine di una trentina di volte. gira Dunque, quando si tira la leva del freno si mette in pressione, tramite la pompa al manubrio, il liquido contenuto nel circuito idraulico di comando; tale pressione agisce sui pistoni della pinza che vanno pertanto a serrare il disco. Tutto OK, ma per collegare la pompa e la pinza si deve impiegare una tubazione flessibile, le cui pareti, per quanto robuste, sotto pressione accusano un certo cedimento elastico. Questo comporta un aumento del volume a disposizione del liquido, il che si traduce in un leggero aumento della corsa della leva e in una sensazione, trasmessa al pilota, di elasticità o di spugnosità del comando, avvertibile solo in condizioni molto gravose (frenate al limite o quasi) e comunque in misura assai lieve. Quasi tutti i piloti preferiscono adottare tubazioni flessibili con guaina in treccia di acciaio inox (o, talvolta, in kevlar) e anima in PTFE, che hanno un assorbimento volumetrico all’incirca dimezzato, rispetto a quelle tradizionali. Queste ultime sono costituite da una parte interna e una esterna in elastomero (oggi si impiega in genere un copolimero etilene-propilene-diene), tra le quali è posto un elemento intermedio in fibra tessile. Il foro interno ha un diametro dell’ordine di tre millimetri. Le tubazioni vengono collaudate con estrema severità e devono essere in grado di sopportare sollecitazioni di gran lunga superiori rispetto a quelle alle quali sono sottoposte una volta montate sulla moto. Da vari anni a questa parte anche su diversi modelli di serie si impiegano tubazioni con guaina in treccia di acciaio o di fibra aramidica, come quelle delle moto da corsa. In genere all’esterno della treccia vi è una guaina in materiale plastico che ha una funzione estetica, protettiva e di “barriera” contro l’umidità. Il liquido dei freni dunque non circola, ma ha solo la funzione di trasmettere la pressione a tutti i punti del circuito, e in particolare alle pinze ove essa, grazie ai pistoni, viene trasformata in forza di serraggio che agisce sul disco. Siccome le pastiglie con il passare dei chilometri si usurano, i pistoni della pinza si spostano progressivamente più all’esterno, nei loro alloggiamenti; di conseguenza il volume interno del circuito aumenta. Il serbatoio ha appunto la funzione di fornire altro liquido, che va ad aggiungersi a quello che era presente in precedenza, in modo da compensare questa variazione di volume, mantenendo il circuito sempre completamente pieno. L’attrito tra le pastiglie e il disco determina lo sviluppo di una elevata quantità di calore, che viene trasmesso in buona parte alle pinze, al cui interno non è infrequente che, nell’impiego molto gravoso, il liquido raggiunga temperature dell’ordine di oltre 160°C. Non esistono corpi perfettamente rigidi, e questo vale ovviamente anche per le pinze dei freni, che oltretutto sono penalizzate dalla loro geometria; le due parti che le costituiscono possono infatti essere collegate solo superiormente, ovvero nella zona all’esterno della periferia del disco. Il loro disegno deve essere pertanto studiato con grande attenzione, mettendo il materiale dove serve e nelle quantità più opportune. Quando si aziona la leva del freno, mettendo in pressione il circuito idraulico, i pistoni spingono le pastiglie contro il disco e la pinza è sottoposta a una forza che tende a farla “aprire” inferiormente. Ciò dà origine a deformazioni elastiche la cui entità deve essere ridotta al minimo. In altre parole, occorre che la pinza abbia la maggior rigidezza possibile, pur rimanendo di peso contenuto. Di recente sono apparse delle pinze con struttura triple bridge, nelle quali le due parti (interna ed esterna) sono collegate in tre zone e non solo in due (anteriore, ossia in prossimità del bordo di uscita del disco, e posteriore). La soluzione, come ovvio, è vantaggiosa ai fini della rigidezza complessiva. Un altro contributo significativo, in questo senso, è quello fornito dalla struttura monoblocco, utilizzata per alcune pinze delle ultime generazioni, non di rado ottenute mediante lavorazione dal pieno. gira2 Il liquido in pressione dunque spinge i pistoni della pinza verso il disco, che viene stretto tra le due pastiglie (sulle quali agiscono i pistoni stessi). L’azione frenante viene ottenuta grazie all’attrito tra le pastiglie e il disco. Per quanto riguarda il materiale col quale è realizzato  quest’ultimo, per diversi anni, in passato, è stata largamente utilizzata la ghisa, molto apprezzata per il costo contenuto, per la colabilità elevata (i dischi venivano ottenuti per fusione) e per le ottime caratteristiche tribologiche. In seguito si è però passati all’acciaio inox, che ha caratteristiche meccaniche superiori (e quindi consente di impiegare spessori minori), è meno fragile e non arrugginisce. Si utilizzano acciai specificamente studiati per questo tipo di impiego e i dischi vengono ottenuti dalla lastra. In seguito all’attrito con le pastiglie si ha un forte sviluppo di calore. La temperatura raggiunta dai dischi dipende fondamentalmente dal tempo di azionamento, dalla forza frenante in gioco e dal numero di frenate nell’unità di tempo; inoltre anche lo spessore dei dischi stessi ha una notevole importanza. Al suo aumentare infatti la temperatura diminuisce, e viceversa. Le pastiglie sono delle piastrine d’acciaio sulle quali, dal lato rivolto verso il disco, è riportato del materiale d’attrito, la cui composizione ha una influenza determinante ai fini del comportamento del freno. Oggi nel settore delle moto di elevate prestazioni la scena è dominata dalle mescole sinterizzate, ottenute partendo da polveri metalliche (la composizione viene tenuta accuratamente segreta dai produttori!), alle quali vengono aggiunte delle sostanze lubrificanti con funzione di stabilizzatori di attrito e delle sostanze leggermente abrasive, che migliorano il grip e mantengono puliti i dischi. A una mescola si richiedono un coefficiente d’attrito elevato e in grado di variare solo in misura molto ridotta al cambiare della temperatura, una adeguata resistenza meccanica, un ottimo grip iniziale e una buona durata. Le pastiglie destinate ad essere impiegate sulle moto stradali hanno un ottimo funzionamento fino a una temperatura dell’ordine di 350°C, superata la quale la loro efficienza peggiora, fino ad arrivare al fading, ossia a un vero e proprio “scivolamento” del materiale d’attrito sul disco. Le mescole racing hanno un comportamento diverso, con ottima efficienza al di sopra di una certa temperatura, al di sotto della quale però tendono a “mordere” ben poco. L’attrito tra le pastiglie e il disco determina un vigoroso rallentamento di quest’ultimo, il cui movimento viene ostacolato (se non addirittura impedito, in certe situazioni); di conseguenza il pneumatico trasmette all’asfalto, attraverso l’impronta a terra, una cospicua forza frenante. Fondamentale risulta quindi l’aderenza del pneumatico stesso. La forza frenante agisce a livello del suolo, mentre l’inerzia, che tende a far continuare il movimento della moto a velocità invariata, agisce a livello del baricentro del complesso veicolo+pilota, che si trova a una notevole distanza da terra. Si crea così una coppia che tende a fare ruotare la moto in avanti, determinando un trasferimento di carico e pertanto una compressione della sospensione anteriore; al tempo stesso diminuisce la percentuale del peso complessivo che grava sulla ruota posteriore, la quale al limite può arrivare a sollevarsi dall’asfalto. È questo trasferimento di carico, proporzionale alla altezza dal suolo del baricentro e inversamente proporzionale all’interasse del veicolo, a far sì che nelle moto di alte prestazioni si impieghino anteriormente due dischi di grande diametro; sono loro a fare tutto il lavoro (o quasi), in fase di staccata!

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