Rewind, Yamaha YZF-R6 '99: la media senza mezze misure

Rewind, Yamaha YZF-R6 '99: la media senza mezze misure

Arrivata sul mercato alla fine degli anni '90, la 600 di Iwata, come la R1 tra le maxi, portò scompiglio nella categoria delle Supersport. Grazie alla affilata ciclistica e al motore rabbioso agli alti regimi

Redazione - @InMoto_it

12.11.2020 08:33

EMOZIONI A TUTTA MANETTA

Si rimane letteralmente stregati dalla R6 per l'immediata impressione di leggerezza, di facilità ed in virtù dell'ottimo feeling che si riesce ad instaurare anche dopo aver percorso pochi metri. Nel confronto con la sorella maggiore, la R1, vince senza dubbio in virtù del migliore equilibrio meccanico/ ciclistico, mai così “impiccata” o messa alla frusta dalla minore potenza del motore, dall'erogazione meno brutale. Andando a spasso con l’R6 sembra proprio di avere tra le mani un bel giocattolino, maneggevole e pronto ai voleri del pilota, mai troppo “ballerina” di avantreno oppure sullo sconnesso se non nelle marce basse quando capita di assestare violente manate sul comando dell’acceleratore che determinano inevitabili alleggerimenti dello sterzo.

Quest'ultimo rimane sempre ben piantato sull’asfalto, come su di un binario, pure alla massima velocità e sui veloci curvoni autostradali, ma è dall'impiego in pista, l'uso per cui è stata principalmente concepita, che si traggono le massime soddisfazioni sotto il profilo dinamico sebbene per rendere al meglio richieda un particolare stile di guida. Primo fra tutti spostare, caricare quanto più si può il peso del corpo in avanti con le braccia larghe e per quanto possibile evitare in quella guida spigolosa, scoordinata che finisce solo per creare scompensi nell'assetto che penalizzano le ottime doti di inserimento, la velocità di percorrenza ed in uscita di curva.

Anche nella guida al limite raramente l'assetto si scompone se non sullo sconnesso (dove tutt'al più possono verificarsi lievi ondeggiamenti innescati dalla consistente dose di potenza che si scarica sulla ruota posteriore in accelerazione) ma riesce a mantenere discretamente bene la traiettoria soprattutto se si tiene bene in tiro con il comando del gas. A fare il resto ci pensano l'esuberante temperamento del motore da 10.000 giri in su, il discreto grip fornito dalle Bridgestone BT56 di primo equipaggiamento propense ad assicurare il necessario appoggio alle massime inclinazioni in virtù delle esagerate possibilità di piega prima di toccare l'asfalto anche solo con i piolini posti a corredo delle pedane. Solo sui fondi infidi e con temperature ambientali rigide non riescono a trasmettere troppo feeling impedendo di aprire con decisione in uscita di curva, anche se le eventuali perdite di aderenza del posteriore avvengono in modo assolutamente graduale.

Sinceramente ci aspettavamo tutt'altre performance dall'impianto frenante, instancabile e potente, ma troppo brusco nella prima fase al punto che nelle pinzate energiche l'avantreno affonda vistosamente quasi a voler sollevare da terra la ruota motrice.

CHE MOTORE!

Unitamente alle doti di ciclistica, la R6 può vantare anche un elevatissimo rendimento del propulsore, vero punto di riferimento della categoria, che all'occorrenza sa essere comunque civile. Al minimo quasi non lo si sente funzionare, mentre alza lire dei giri offre una tonalità di scarico corposa, secca e metallica come quella di un due tempi quando si viaggia con l’ago del contagiri vicino alla zona rossa. Un gran bel “peperino” che non disdegna di funzionare regolarmente già sui 1.000 giri in sesta (!), di riprendere in modo fluido dai 4-5.000 giri e corposo superati i 6.000 giri.

Ma dopo gli 8.000 giri che si instaura una gustosa progressione mentre per l'uso in pista il range di utilizzo ideale del quadricilindrico Yamaha si estende dai 10.000 giri al 14.000-14.500 giri con buone doti di allungo e la possibilità di spingersi (senza però reali vantaggi) oltre 15.000 giri all'intervento del limitatore.

LA YZF-R6 ALLA PROVA DEI NUMERI

Dalla consueta prova al banco ci è stato possibile rilevare il più alto valore di potenza massima per la categoria delle 600 supersport stradali: ben 101,05 CV a 13.000 giri “veri” alla ruota, ma è interessante notare l'estrema regolarità della curva di potenza (a parte qualche lieve instabilità fra i 3.500 e i 4.000 giri) con un balzo netto in prossimità dei 9.000 giri dove si passa dai quasi 61 CV ad oltre 68,9 CV mentre dai 12.700 al 13.300 giri si è sempre oltre i 100 CV effettivi.

Rewind, Yamaha YZF-R6 '99 FOTO

Rewind, Yamaha YZF-R6 '99 FOTO

Emozioni da pista. Dopo aver lasciato tutti a bocca a parte nel 1997 con l'arrivo della YZF-R1, ai saloni autunnali del 1998 Yamaha presenta la YZF-R6. Una media supersportiva che, come fu per la sorella da 1 litro di cilindrata, scombussolo il settore - in questo caso - delle medie cilindrate. Una moto senza compromessi, nata per offrire il meglio in pista ma che, anche su strada, riusciva a farsi apprezzare.

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Un vero portento: non ci si deve stupire più di tanto se il nuovo quattro cilindri di Iwata si comporta davvero bene sotto il profilo delle prestazioni. La media dei vari passaggi in velocità di punta ci ha fatto rilevare quasi 261 km/h effettivi sempre facilmente raggiungibili (in poco più di 1300 metri) con il contagiri “inchiodato” sui 14.500 giri. Cosa dire poi dei riscontri cronometrici ottenuti in accelerazione dove, solo per le difficoltà riscontrate nel tenere attaccata all'asfalto la ruota anteriore, non siamo riusciti a scendere sotto i 3” nella variazione da 0 a 100 km/h mentre ai 400 e 1000 metri la R6 si scatena fermando il cronometro rispettivamente sui 10”74 e 20” netti. Tutto sommato non si difende nemmeno male in ripresa anche se la mancanza di sostanza nell'erogazione prima dei 6.000 giri finisce per condizionare i rilievi cronometrici nella classica prova dai 50 km/h in sesta. Comunque i 14”1 ed i 24”6 richiesti per transitare ai 400 e 1000 metri le consentono di avere la meglio sulla illustre rivale (la nuovissima Honda CBR 600 F in versione ’99).

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