Tourist Trophy: riflessioni su quelle vite al limite

Tourist Trophy: riflessioni su quelle vite al limite

Il Covid-19 ha stoppato l'edizione 2020 Il TT è una gara che apre spesso discussioni sul senso della vita, sulla libertà di affrontare il Mountain. Ecco il pensiero di alcuni grandi protagonisti

Mario Donnini

11.04.2020 ( Aggiornata il 11.04.2020 10:37 )

La filosofia dura e pura del Tourist Trophy, la corsa motociclistica più antica, prestigiosa e pericolosa del mondo, in due parole, l’esprime John McGuinness, inglese 47enne di Morecambe, 98 TT corsi, 23 vinti: "James Hunt è morto a quarantacinque anni per attacco di cuore, Barry Sheene a cinquantadue per cancro. Se qualcuno mi dicesse adesso... 'dai, John, scegli il tuo destino: preferisci vivere quarantasette anni alla grande o sessanta di merda?'. Bè, correre il TT è il mio modo per dire che prediligo spararmi 48 anni alla grande".

John McGuinness non è solo monumentale alfiere dei vincenti sull’Isola di Man, a sole tre lunghezze dal recordman di vittorie di tutti i tempi, il compianto Joey Dunlop, con 26 centri dal 1976 al 2000. No, il corpulento, gioviale, tosto e tignoso McPint è il più sincero, amabile e pervicace TT Ambassador del pianeta Terra, quello pronto a concedere al paddock autografo, selfie e stretta di mano a chiunque, nonché, soprattutto, a regalarti le riflessioni più veraci e dirette sul padre di tutti i problemi del TT: i 259 piloti morti dal 1907 a oggi. Anzi, dal 1911, anno in cui l’evento abbandona il piccolo tracciato a triangolo di St. John per affrontare il minaccioso e maestoso Mountain Circuit, che dal 1920 assume il layout tuttora in uso: 60,7 chilometri tra case, pali, muri, terrapieni, salite, strapiombi, discesoni e dossi.

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