Inchiesta: dove mettiamo le ruote?

Inchiesta: dove mettiamo le ruote?

Ovunque in Italia le strade sono percorsi di guerra, con costi sociali altissimi per gli incidenti causati dall’incuria di chi dovrebbe fare manutenzione di asfalti, guard-rail e segnaletica. Come venire fuori da questa situazione?

R.M.

16.05.2019 11:53

Buche, rattoppi, gomme squarciate, limiti a 30 km/h per asfalti dissestati. E ancora, guard-rail pericolosi, ponti che crollano e ponti chiusi perché pericolanti. Non facciamo più caso alle notizie quotidiane sullo stato pietoso delle nostre strade. Mentalmente abbiamo archiviato che la scorsa estate 43 persone sono morte nel crollo (annunciato?) del viadotto Polcevera di Genova. E non ci scandalizziamo quando arterie di primaria importanza, come la E45, vengono interrotte per un viadotto pericolante. Intanto sempre più spesso compriamo le endurone stradali, più comode e veloci delle sportive sugli asfalti dissestati.

STRADE DA “CODICE ROSSO”: la cattiva qualità delle nostre strade andrebbe invece messa in testa alla lista degli interventi prioritari. Non è solo un fatto di buche e cerchi danneggiati. I 43 morti di Genova forse non sono dovuti a una sfortunata casualità. E negli ultimi 5 anni ben 8 ponti erano già venuti giù prima del Polcevera. Vi state chiedendo quale sia lo stato di salute delle nostre strade secondarie?

IMPOSSIBILE SAPERLO: si tratta di una valutazione che non esiste! Lo segnala la Fondazione Filippo Caracciolo, Centro Studi ACI in un suo recente studio (“Il recupero dell’arretrato manutentorio della rete viaria secondaria – una priorità per il Paese”). Riferendosi alla rete stradale, si legge che c’è una: “densità molto elevata di ponticelli, tombini, piccoli e medi attraversamenti idraulici, sovrappassi e ponti. Ad oggi non esiste un censimento di tali opere e, raramente gli enti gestori, se si escludono quelli di livello nazionale (ANAS, Autostrade), sono a conoscenza di quante e quali opere d’arte caratterizzino la rete di propria competenza”.

SAPPIAMO INVECE CHE PER L’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l’Italia è uno dei Paesi che spendono di più in manutenzione stradale. Ma allora, perché nel 2017 le province hanno lanciato l’allarme sull’impossibilità di curare le strade per carenza di fondi? Com’è successo che la Provincia dell’Aquila, lo scorso anno, ha dovuto chiudere provvisoriamente alle moto 25 strade a causa delle buche? Com’è successo che due Moto Club FMI hanno dovuto annullare gare in salita per frane e smottamenti che avevano danneggiato il manto asfaltato? E come si è creata una situazione tale per cui è bastato lanciare l’argomento sui social della nostra rivista per ricevere tante segnalazioni da motociclisti caduti per colpa di buche e rattoppi mal eseguiti?

APPASSIONATI COME NOI che hanno pagato sulla loro pelle e sull’integrità della loro moto (o scooter) lo stato pessimo delle strade, come documentato dalle foto ricevute da tutta Italia. A parte torneremo sull’argomento richieste di risarcimento per danni da buca, qui vediamo di capire le ragioni di questo sfascio e come sarebbe possibile intervenire.

LE PROVINCIALI, TANTI CHILOMETRI, POCHI SOLDI: 155.247 km, a tanto ammonta la rete delle strade regionali e provinciali. Contro i 20.786 km delle statali ANAS, e i 6.943 delle autostrade. Spulciando i dati sugli investimenti in manutenzione, emerge che l’ANAS ha a bilancio circa 10,5 miliardi nel quinquennio 2016-2020 per la cura delle sue strade; 100.000 euro a chilometro. Per le strade provinciali invece sono stati stanziati 1,6 miliardi per il periodo 2018-2023 (DM 49 del 18/2/2018), ossia 2.500 euro a chilometro. Vogliamo metterci la possibilità per le amministrazioni provinciali di accedere ad altri fondi nazionali ed europei legati a progetti di sicurezza stradale? Si arriva a 3.500 euro a chilometro.

ECCO UN PRIMO NODO. L’ANAS ha in carico il 12% della rete viaria italiana, ma gestisce il 79,6% dei finanziamenti disponibili per la manutenzione. Per le province, che amministrano l’88% della rete extraurbana, i finanziamenti disponibili non sono che il 20,4% del totale. Questo forte sbilanciamento parte da lontano, e si è enormemente acuito negli ultimi 20 anni, quando è stata messa in atto una devoluzione alle province di molte strade statali. In pochi anni, oltre 20.000 chilometri sono stati declassati a regionali e provinciali; senza prevedere adeguati finanziamenti, e senza formare i nuovi amministratori alla gestione di un tale patrimonio.

NE È NATO UNO SPEZZETTAMENTO FOLLE, con strade che in pochi chilometri cambiano più volte l’amministrazione competente. Ne sanno qualcosa i nostri amici lettori Franco e Cristina, finiti a terra su del brecciolino e trovatisi con un verbale che ha erroneamente attribuito alla Regione una strada Provinciale. Ballavano poche decine di metri fra una competenza e l’altra, e la carena della loro Yamaha R6 hanno finito per ripagarsela da soli. Non è facile la vita neanche per le forze dell’ordine chiamate a verbalizzare, perché a volte su uno stesso tratto la competenza per la manutenzione ordinaria può essere di un determinato ente mentre quella per la manutenzione straordinaria di un altro!

UN GROVIGLIO INESTRICABILE e incomprensibile che ha portato a situazioni assurde, come quella denunciata dalla giornalista Milena Gabanelli sul «Corriere della Sera»: nel dicembre scorso l’amministratore delegato dell’ANAS ha scritto al Ministro dei Trasporti per denunciare che da un censimento avviato sulla loro rete, risultavano 1.425 ponti (oggi ridotti a 954) dei quali non si conosceva il proprietario e sui quali, probabilmente, nessuno faceva né controlli né manutenzione... A spingere l’ANAS a questo censimento era stata la tragedia del 2016, quando il ponte di Annone, sulla Milano-Lecco, era venuto giù uccidendo una persona. “Da anni nessuno ci metteva mano – scrive la Gabanelli – perché l’ANAS pensava fosse in carico alla Provincia e viceversa”.

LA RETROMARCIA per questa serie di riforme sbagliate è partita nel 2017, con il piano nazionale di “Rientro Strade”, che prevede il ritorno all’ANAS di 6.250 km di ex statali declassate. Fra le prime strade tornate nazionali, la SS 148 Pontina, la superstrada Roma-Latina, caratterizzata da lunghi tratti dove il limite di velocità è fissato a 60 km/h per via dell’asfalto letteralmente distrutto.

LA MANUTENZIONE IN EFFETTI SEMBRA PROPRIO ESSERE FATTA “AL CONTRARIO”. In questi due decenni, le province hanno improntato la manutenzione alla gestione delle emergenze. Hanno messo mano alle strade solo quando si sono evidenziati problemi. La manutenzione ordinaria però andrebbe effettuata con finalità preventive.

ESISTONO SISTEMI DI PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI, che tengono in considerazione le curve di decadimento delle infrastrutture e, magari, i dati sull’incidentalità. Ma per fare questo bisogna avere un censimento delle opere e un quadro ben preciso del loro stato di conservazione. Solo così si può intervenire per proteggere i ferri delle armature, prima che questi vengano corrosi perché esposti agli agenti atmosferici o al sale. Si rifanno gli asfalti quando iniziano a essere scivolosi, non quando ci sono le buche che danneggiano anche la massicciata sottostante. In caso contrario, se si aspetta troppo, dalla manutenzione ordinaria bisogna passare a quella straordinaria, che prevede la ricostruzione di strutture portanti. E a poco serve rifare un asfalto se la massicciata sottostante è danneggiata: in poco tempo le buche si riapriranno. È un film già visto...

SERVONO 5,6 MILIARDI DI EURO (L’ANNO). Il mancato investimento degli ultimi 10 anni sulle vie provinciali è pari a 42 miliardi di euro. Lo certifica ancora una volta la Fondazione Caracciolo, che stima pure gli investimenti necessari. Proiettando sull’estensione della rete i costi medi a chilometro della manutenzione ordinaria (13.000 euro) e di quella straordinaria (33.000 euro), si può quantificare l’investimento annuo necessario: 6,1 miliardi di euro. Al momento la cifra messa a disposizione è pari a 5 milioni di euro. Il che significa che dovremmo reperire altri 5,6 miliardi. Il problema è far capire a chi ci governa la convenienza di mettere questi soldi sulla manutenzione stradale.

I VANTAGGI DEGLI INVESTIMENTI SULLE STRADE, in effetti, sarebbero numerosi e concreti. Come abbiamo scritto, le condizioni della nostra rete viaria sono una palla al piede per il Paese. Da una parte c’è un grosso costo spalmato su tutti noi per i danni ai veicoli. E c’è un costo per le amministrazioni indotto dall’aumento esponenziale dei contenziosi giudiziari, perché chi viene danneggiato o si fa male, chiede il risarcimento.

A LIVELLO NAZIONALE c’è un costo sociale degli incidenti, stimato in 2,9 miliardi di euro per la rete delle vie provinciali. Le deformazioni dell’asfalto deviano i veicoli, soprattutto le moto. Quante volte vi è capitato di sentirvi tirare di lato? Poi ci sono gli incidenti causati dalla scarsa aderenza, e quelli dovuti alle condizioni di scarsa visibilità, perché le carreggiate non sono più delimitate da segnaletica orizzontale o da catarifrangenti; ma anche perché si risparmia sugli sfalci dell’erba ai lati della strada, e ogni motociclista sa che in curva l’erba alta toglie visibilità. Facile parlare di incidenti dei motociclisti in queste condizioni. Probabilmente chi guida la moto in questa situazione è sin troppo bravo, rispetto ai più fortunati colleghi di altri Paesi dalle strade migliori.

PIUTTOSTO, ogni investimento in manutenzione della rete viaria avrebbe dei ritorni positivi. La Fondazione Caracciolo ha quantificato che 1 miliardo di spesa genererebbe un ritorno fino a circa 2,9 miliardi, con oltre 21.000 posti di lavoro in più. In proiezione, reperendo i 5,6 miliardi aggiuntivi che servirebbero per le nostre strade, si potrebbe alzare il PIL dell’Italia di quasi 1 punto percentuale, dando lavoro a 120.000 persone e diminuendo la disoccupazione di 3-4 punti.

Tutto ciò basta per riportare il problema strade al primo posto della lista o dobbiamo rassegnarci a un futuro con moto da fuoristrada?

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