        La 20.000 Pieghe &egrave; un evento che raccoglie ogni anno diversi appassionati di motociclismo e li fa sfidare in una serie di prove su due ruote, ma soprattutto li fa correre all'interno di scenari bellissimi. Quest'anno il punto di partenza &egrave; stato Arta Terme, in Friuli Venezia-Giulia, ma i piloti hanno toccato anche il Veneto, l'Austria e la Slovenia. "Vi racconto la mia 20.000 Pieghe" &egrave; il nome dell'iniziativa che abbiamo portato avanti, invitando i partecipanti a raccontare la loro esperienza nella manifestazione. Il vincitore si chiama Nicol&ograve; Bertaccini, e questo &egrave; il suo racconto. ALLORA, il 20.000 Pieghe &egrave; uno di quegli eventi che inseguivo da tempo, rimandandolo ogni anno per mille motivi. Quest&rsquo;anno l&rsquo;irrequietezza dei 41 anni mi ha spinto a coinvolgere un paio di amici e a formare una squadra per la partecipazione. Anche perch&eacute; il Friuli &egrave; una di quelle Regioni che mi incuriosivano, una sorta di ripasso di nozioni di storia, geografia e geologia, se solo ricordassi qualcosa che vada oltre le guerre puniche. Mentre passo il Tagliamento e il Piave mi riecheggiano imprese della Grande Guerra, arrivare in Carnia mi fa riemergere qualche ricordo di geologia. Insomma, sono in un territorio denso di contenuti. Arrivato ad Arta Terme mi rendo subito conto di due cose: il livello dell&rsquo;organizzazione &egrave; eccellente, e io sono inadeguato come un terrapiattista al planetario. Quando nella busta vedo il primo roadbook vorrei piangere, mentre quando tiro fuori il fratino col numero capisco le parole di un caro amico, appassionato di corse, che una volta mi disse: &laquo;Ok le corsette in gruppo ma ogni tanto metti un numero e competi, vedrai&raquo;. Il road-book, dicevo, &egrave; un delirio. Non riuscir&ograve; mai a mettere in fila tutto. Sono tentato di andare da Kiddo, l&rsquo;addetto stampa, e chiedergli se in alternativa posso conquistare 20 territori oppure distruggere le armate verdi o se c&rsquo;&egrave; un dado a 20 facce da tirare. Per fortuna il clima dell&rsquo;evento non &egrave; (ancora) competitivo e si formano crocchi spontanei dove partecipanti senior alleviano il terrore in noi novellini con fare affettuoso, come fossimo giovani leoncini alle prese con le prime battute di caccia. &laquo;Non ti preoccupare, un problema alla volta&raquo;, queste le parole che mi convincono a rilassarmi e ordinare uno spritz. Che poi capir&ograve; di dover chiamare &ldquo;Aperol Spritz&rdquo;: sono arrivato da meno di mezz&rsquo;ora e ho gi&agrave; imparato qualcosa. IL PRIMO briefing mi tranquillizza ulteriormente: Daniele, il boss, ha una voce rilassata, romana e sorridente. Arriviamo in albergo e ancora una volta mi rendo conto che l&rsquo;organizzazione &egrave; importante e ha pensato a tutto. Molto bene. Fra una battuta e uno scherzo si fa il primo giorno. Partiamo con il giudice di gara che ci saluta e stringe la mano uno ad uno: mi sento all&rsquo;avvio della Dakar, ma quella africana, sia ben chiaro. Metto la prima, passo sotto l&rsquo;arco rosso della partenza e ci sono, il 20.000 Pieghe &egrave; iniziato. Sento l&rsquo;emozione, prima, seconda e poi mi fermo. Devo attendere gli altri due compagni di squadra che partono un minuto dopo. Fortunatamente in squadra con me c&rsquo;&egrave; il Gaucho che &egrave; un mix fra Magellano, Waldseem&uuml;ller e un indiano guida della trib&ugrave; dei Sioux. Insomma, io mi perdo dalla mia camera da letto al bagno, lui si orienta guardando le stelle, anche di giorno. Nel giro di pochi incroci la sua leggenda si diffonde e scopriamo l&rsquo;esistenza dei succhia-traccia, ovvero di quelli che si mettono a seguire chi si muove con piglio deciso, come il Gaucho. La prima indicazione ci porta in Austria, dove tatticamente decidiamo di fare un rabbocco di benzina. LA GARA prevede che si debbano mandare ogni giorno dei selfie da degli spot prestabiliti per dimostrare il passaggio. Bene, sono cintura nera di selfie, questo &egrave; un compito che mi sento di poter assolvere, il senso di inadeguatezza iniziale viene pian piano scalfito. Il primo selfie bisogna farlo sotto il cartello del rientro in Italia. Anche se siamo in Austria da meno di un&rsquo;ora sotto al cartello sembriamo un po&rsquo; tutti immigrati che fanno il rientro nell&rsquo;amata patria, al posto delle valigie di cartone abbiamo borse in alluminio attaccate alle moto. Manca solo che qualcuno intoni &ldquo;L&rsquo;Italiano&rdquo; di Toto Cotugno. Lo ammetto, io nel casco l&rsquo;ho cantata. Con gli occhi umidi. Comunque, il primo giorno vien via bene, ci orientiamo, vediamo bei posti, facciamo strade che non avremmo mai fatto, vediamo paesaggi bellissimi. Insomma, avevo qualche perplessit&agrave; ma devo dire che mi sto divertendo, sia a prepararmi per il giro che a guidarlo. Poi arriva la prova speciale. Ecco, l&igrave; torno di nuovo a sentirmi inadeguato. La prova speciale consiste nel fare un tragitto rispettando un tempo preciso. Parliamo di 14 km in una ventina di minuti. Per dare l&rsquo;idea. Da un lato ci sono partecipanti con zavorrine dotate di cronometri, altri con navigatori satellitari che misurano i miliardesimi di secondo, alcuni hanno un cronometro fissato sul manubrio, i pi&ugrave; attenti hanno due cronometri. Io ho il cronometro dello smartphone in tasca e quando parto mi scordo di azzerare il parziale dei km, per dire. Se usassi l&rsquo;ombra dello specchietto come meridiana sarei pi&ugrave; preciso. Faccio gli ultimi 300 metri che sembro un paramedico impegnato con una rianimazione &ldquo;mille e uno, mille e due, mille e tre&rdquo;. Con queste premesse, fare risultato &egrave; impensabile. E infatti sbaglio di un mezzo calendario. La sera siamo lo stesso soddisfatti, abbiamo il road-book, il Gaucho scrive, mentre Flames e io facciamo girare degli Aperol Spritz. Cominciamo anche a riconoscere gli altri partecipanti nella hall, scambiamo battute, alludiamo a passaggi del percorso come studenti col compito di matematica, del tipo: ma a te quanto viene il risultato del secondo passaggio del primo problema? Ovviamente noi abbiamo la faccia di chi non si &egrave; accorto ci fosse un secondo passaggio nel problema. POI IL CLIMA rilassato e ridanciano della sala viene turbato. Un vecchio adagio recita che la prima competizione fra moto part&igrave; quando la seconda moto usc&igrave; dalla linea di produzione. Appena in sala arrivano i fogli con la classifica tutto cambia. Tutti si avvicinano con la foga che avevamo da ragazzi quando uscivano i quadri scolastici, per capire quale estate avessimo davanti a noi. Partono commenti, rimostranze e giustificazioni. Ok, c&rsquo;&egrave; anche una gara, eccome se c&rsquo;&egrave;. In fin dei conti &egrave; vero che siamo qui per divertirci ma come diceva Alberto Tomba: &laquo;Sono Alberto e se non vinco non mi diverto&raquo;. Il secondo e il terzo giorno continuano con lo stesso schema, percorsi da tracciare, controlli orari, selfie, persone da seguire, persone che ci seguono, belle strade, luoghi incredibili, bei paesaggi e oltre 160 motociclisti che creano un clima veramente divertente. Nonostante la gara sia via via pi&ugrave; sentita. CERTO, c&rsquo;&egrave; una classifica finale. Io sono arrivato ventinovesimo, assieme a tanti altri. Per&ograve;, dato che ho frequentato qualche gara amatoriale di ciclismo, verifico subito che sono anche: primo di categoria fra quelli che hanno un Multistrada 950 (i maligni dicono che non ci fosse un altro Multi-950 ma sono invidiosi); primo di categoria fra quelli nati il mio stesso anno e che hanno una laurea in psicologia; primo di categoria fra quelli che partivano dalla Romagna e che ogni giorno cantavano nel casco almeno quaranta diverse canzoni. Insomma, ventinovesimo assoluto ma primo di categoria in diverse categorie. Non male. Passati un paio di giorni mi ritrovo a pensare a quale parte dell&rsquo;evento mi sia piaciuta di pi&ugrave;, se la preparazione della traccia, cercando di far sbagliare Gaucho fra alcol e patatine, la parte in cui abbiamo guidato, fra curve, incroci, paesaggi, o la sera, quando ci siamo confrontati con gli altri partecipanti, abbiamo stretto belle amicizie, scherzato, cantato e commentato. Insomma, ogni istante del 20.000 Pieghe &egrave; seriamente divertente. IN DEFINITIVA, &egrave; stata un&rsquo;esperienza positiva, migliore di quel che mi attendessi, supportata da un&rsquo;organizzazione eccellente. Temevo un evento con poca moto, in cui essere sempre fermi, in fila, in corteo, in gruppo. Invece, &egrave; vero che incontri sempre moto con sopra il numero e piloti con il fratino del 20.000 Pieghe, per&ograve; si guida, si gira, ci si diverte. E ci si diverte in ogni attivit&agrave;. Adesso che sono tornato da un paio di giorni la mattina continuo a mandare un selfie al numero whatsapp, solo per non smettere di esserci, ancora per un po&rsquo;. Mentre la sera faccio un sogno ricorrente, il Presidente con la sua voce romana, pacata e decisa che mi dice: &laquo;Nicol&ograve;, quest&rsquo;anno sei te il Magnifico, &lsquo;taccitua&raquo;. Infine grazie: agli organizzatori, ai Piegatori e ai miei fantastici compagni di team, Flames e Gaucho.       

<p>Abbiamo chiesto ai partecipanti della manifestazione di raccontarci come hanno vissuto quest'avventura su due ruote. Abbiamo scelto l'esperienza di Nicol&ograve; Bertaccini, che ci ha fatto capire bene le sensazioni che si possono provare in sella a una moto&nbsp;</p>

20.000 Pieghe, la prima volta di Nicolò: il racconto

Tutti la usiamo continuamente ma pochi ne conoscono l&rsquo;origine esatta. La parola &ldquo;avventura&rdquo; deriva dal latino &ldquo;ad-ventura&rdquo;, letteralmente: ci&ograve; che accadr&agrave;. Un tuffo verso l&rsquo;incerto, desiderio di scoperta, un vero e proprio brivido nella personale grammatica motociclistica, che coincide spesso con tracciati polverosi e terreni imprevedibili; e con l&rsquo;istinto di puntare le ruote fuori rotta, attraverso itinerari coinvolgenti e, soprattutto, non necessariamente asfaltati. Questo lo stimolo, la voglia che spinge tanti appassionati a scegliere mezzi come le crossover o le maxienduro.  MOTO CAPACI DI SODDISFARE APPIENO LA VOGLIA DI ESPLORARE, che troppo spesso, per&ograve;, finiscono con l&rsquo;essere utilizzate al di sotto delle loro possibilit&agrave;, magari relegate in citt&agrave;, o al massimo sfruttate come comuni modelli votati all&rsquo;asfalto. In alcuni casi, vengono scelte per moda, e fine della storia. Ma capita anche che taluni si lascino scoraggiare dalla difficolt&agrave; di trovare percorsi adatti, magari non troppo complicati per modelli non specialistici ma allo stesso tempo, sufficienti a far percepire chiaro il brivido dell&rsquo;avventura.  SUBIACO, 70 KM DA ROMA. Parte da qui una delle esperienze &ldquo;adventouring&rdquo; pi&ugrave; appaganti che si possano immaginare (ma soprattutto, alla portata di motociclisti di ogni esperienza). Un percorso a cavallo tra Lazio e Abruzzo che esalta il divertimento di guida su asfalto e in off-road, soprattutto se affrontato in sella a una moderna on-off con ruota anteriore di 19&rsquo;&rsquo;, o da 21&rsquo;&rsquo;. Appena fuori dal centro abitato, la celebre strada dei Monasteri verso Jenne infilza a spirale la valle. Questo territorio, puntellato da eremi benedettini e luoghi dimenticati dal tempo, &egrave; da sempre meta di pellegrinaggio per fedeli e sfegatati motociclisti a caccia di curve. Sacro e profano. Rombi e preghiere. Tutto mescolato lungo un nastro d&rsquo;asfalto tormentato, che si aggroviglia nel canyon profondo, scavato dal fiume Aniene. Roma &egrave; a poco pi&ugrave; di un&rsquo;ora di strada, ma ci si sente come catapultati in una dimensione remota, ancestrale.  QUI SI PIEGA DURO! E l&rsquo;avantreno, anche con una ruota che va oltre i classici 17&rdquo;, non &egrave; un problema. La posizione di guida col busto dritto e il manubrio largo aiuta non poco. Il senso dell&rsquo;avventura si avverte forte quando la montagna ti inghiotte, in piena piega, risucchiato improvvisamente da un tunnel. Jenne, Vallepietra, curve, arrampicate, vortici di asfalto. Si sale di quota, fino a raggiungere i 1.443 metri del Santuario della S.S. Trinit&agrave;. Il confine con l&rsquo;Abruzzo &egrave; a un passo, cos&igrave; come quello tra strada normale e sterrata. Di qui in avanti si proceder&agrave; in off-road. Prima, per&ograve;, meglio sfilarsi il casco e godersi l&rsquo;aria frizzante, l&rsquo;odore dei fiori selvatici... e i profumi che arrivano dai chioschi di prodotti locali: personalit&agrave; decisa e genuinit&agrave; tipica delle lavorazioni artigianali. Anche questa &egrave; avventura.  SI PROSEGUE in direzione Cappadocia. Pochi metri e l&rsquo;asfalto perde consistenza. Inizia la terra battuta. In piedi sulle pedane si switcha in modalit&agrave; &ldquo;off&rdquo;. Qualcosa nella testa cambia, come anche la dinamica del mezzo e il relativo approccio alla moto. Si carica la sospensione posteriore per andare alla ricerca del grip, spostando leggermente il corpo all&rsquo;indietro. Lo sguardo &egrave; fisso in avanti, a 10-15 metri dalla ruota anteriore. Si stacca l&rsquo;elettronica, oppure la si riduce se troppo invasiva; o ancora meglio, ci si affida ai sofisticati sistemi in uso sui modelli pi&ugrave; recenti, che adeguano tutto &ndash; ABS, traction control e mappe motore &ndash; per massimizzare la resa del mezzo anche in fuoristrada. Che poi, qui non conta la prestazione. Conta solo il piacere personale. E quello, ognuno di noi lo trova a modo suo, con la sua andatura.  UNA SVOLTA, un passaggio tra gli alberi, e si rimane a bocca aperta, senza fiato, davanti all&rsquo;ampia vallata, cosparsa di rocce grigie e fiori variopinti. Una traccia sterrata la segna in tutta la sua lunghezza. Ovunque, cavalli liberi al pascolo e bovini mollemente adagiati sul prato. Un luogo prezioso, ameno, eppure incredibilmente deserto, libero da ogni forma di caos. Impossibile descrivere la sensazione che si prova nel ritrovarsi a guidare in un posto del genere, con i cavalli che galoppano liberi al tuo fianco. Come finire in un documentario del National Geographic, in un qualche luogo sperduto del mondo.    IL CONFINE TRA LE DUE REGIONI CORRE FRASTAGLIATO IN QUOTA, tra cambi di pendenza e passaggi eccitanti, su cui si guida costantemente inseguiti dalla nube di polvere alzata dalla moto. Impossibile resistere al gusto di far derapare il posteriore; ma anche a quello di regalarsi una sosta, spegnere il motore e gustare l&rsquo;atmosfera e la soddisfazione di trovarsi in un ambiente cos&igrave;, che su due ruote puoi raggiungere facilmente, solo con un mezzo che te lo consente.  POCHI CHILOMETRI E TORNA L&rsquo;ASFALTO. Camporotondo &egrave; un piccolo agglomerato di case, qualche hotel, nulla pi&ugrave;. Davanti alle ruote, una vorticosa discesa verso la valle del Fucino e la splendida Tagliacozzo, gioiello della Marsica, con la sua piazzetta, le stradine lastricate, il duomo e i tanti monumenti che contribuiscono al suo fascino. E nel casco, un solo e&nbsp;unico desiderio: tornare indietro e ricominciare daccapo!  Se volete vivere questa e tante altre entusiasmanti avventure , non perdete il nostro InMoto Speciale Turismo in edicola dal 5 maggio. 

<p>Poggiare le ruote in fuoristrada &egrave; un&rsquo;emozione unica che tutti i possessori di maxi-enduro dovrebbero provare senza rassegnarsi a viaggiare solo su asfalto. Vi spieghiamo perch&eacute; attraverso una bella esperienza&nbsp;poco lontano dalla Capitale...</p> 

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20.000 Pieghe, la prima volta di Nicolò: il racconto

Per provare l'ebbrezza dell’avventura, segui l’istinto...