Look esclusivo da special di serie e misure extralarge, a partire dalla gomma posteriore: &egrave; questa la ricetta per la &ldquo;muscle bike&rdquo; in salsa cruiser secondo Victory, che ripropone, con diverse colorazioni, uno dei suoi cavalli di battaglia, rivisto in alcuni particolari  Ci sono cose che si fanno d&rsquo;istinto; decisioni che devi &ldquo;sentire nella pancia&rdquo;. Ecco, di fronte a questa moto l&rsquo;impulso di possederne una diventa irrefrenabile. Sappiamo bene che non nasce per viaggiare, n&eacute; per correre in pista e neppure per andarci in ufficio districandosi nel traffico, quindi se state cercando una moto in qualche modo &ldquo;utile&rdquo;, potete cambiare canale&hellip; ehm&hellip; articolo&hellip; ma se ricercate la pura emozione, che non scaturisce necessariamente dalle prestazioni ma dal piacere di esibire una moto esclusiva con la certezza di &ldquo;fare colpo&rdquo;, allora la Hammer S &egrave; la moto che fa per voi. Preparatevi per&ograve; a spiegare a molti che cosa &egrave; e da dove viene; anticipiamo noi alcune risposte: Victory nasce da una costola del colosso Polaris, quindi viene dagli Stati Uniti e realizza autonomamente il propulsore e la ciclistica. Oltre alla Hammer S, usata per la nostra prova, disponibile al prezzo di 16.990 &euro;, &egrave; disponibile anche una versione di attacco, denominata &ldquo;8 Balls&rdquo;, caratterizzata dalla colorazione total black, che interessa pure i foderi forcella e che si differenzia per la presenza di una strumentazione pi&ugrave; essenziale, un solo disco freno anteriore e cerchi a 5 razze in luogo da quelli di 10, che &ldquo;viene via&rdquo; a &euro; 14.990.  DA FERMO  La prima occhiata probabilmente viene attratta dalla gibbosit&agrave; del lungo e largo serbatoio, che sovrasta il propulsore e funge anche da cassa filtro. &Egrave; il principale elemento teso a creare quel senso di muscolarit&agrave; e potenza ricercato dai designer, ma non &egrave; il solo. In questo infatti concorrono anche le bandelle laterali e soprattutto la sella che si inserisce quasi senza soluzione di continuit&agrave; sul parafango, particolarmente esteso al fine di abbracciare il gommone dalla stratosferica misura di 250 mm. Ma il copriruota si distingue pure per la piccola appendice, che copre la sella del passeggero che &egrave; asportabile e, impiegando un accessorio che si trova nel catalogo, si trasforma in una unghia parabrezza in tinta con la moto. Molto gradevole anche il fanale posteriore a led dalla forma a goccia, praticamente a filo del parafango, mentre il fanale anteriore ha una forma un po&rsquo; pi&ugrave; scontata. Sotto queste forme muscolose, resta ben visibile il poderoso V-Twin che, a livello estetico, si caratterizza per la cromatura che ne mette in risalto l&rsquo;alettatura di raffreddamento, richiamata dai fregi rotondi che si trovano sul blocco motore e dalle due coperture dalla forma triangolare: oltre a occultare i componenti dell&rsquo;alimentazione da una parte e del blocco di accensione contenuto da una di esse, dall&rsquo;altra, contribuiscono a rendere ancora pi&ugrave; pulito e razionale il lay-out della moto, &ldquo;chiudendo il vuoto&rdquo; lasciato dalla V di 50&deg; del motore. Da stigmatizzare giusto gli indicatori di direzione, un tantino sottotono, e alcuni bulloni a vista, dall&rsquo;aspetto economico. A ben guardare, in linea con le ultime tendenze, le cromature sono ridotte al minimo; allo stesso modo, lo scarico un tempo luccicante, ora sfoggia uno strato opaco che ben si armonizza con la colorazione dell&rsquo;esemplare in prova.    IN MARCIA  La Hammer S fa parte della gamma cruiser di Victory, e ha un imprinting che la rende molto gradevole da usare su strada. Una volta in sella, che risulta comoda e molto bassa, il che aiuta non poco nelle manovre da fermi, ci si accorge che la ruota anteriore &egrave; l&agrave; davanti, lontana lontana. Per fortuna l&rsquo;enorme manubrio ci viene in soccorso, e permette di avere comunque un buon controllo. Le pedane sono molto avanzate, ma la posizione, che si assume, molto yankee, risulta al tempo stesso gradevole e non troppo stancante, anche in considerazione dell&rsquo;uso che si fa di questa moto, ovvero spostamenti a breve e medio raggio. Il comfort &egrave; assicurato anche dal lavoro svolto dalle sospensioni, mai secche neppure sui fondi pi&ugrave; sconnessi, con la posteriore che, grazie al leveraggio progressivo, non restituisce al pilota le asperit&agrave; del manto stradale con benefici soprattutto per la schiena. Esse hanno pure il pregio di essere sostenute quando serve: ovvero in percorrenza di curva e soprattutto quando si decide di dar voce al poderoso propulsore di 106 pollici cubi (oltre 1.700 cm3). Questo, nonostante la mole del mezzo, consente partenze brucianti ai semafori, possibili grazie all&rsquo;appoggio offerto dalla sella pi&ugrave; che dalla possibilit&agrave; di ancorarsi alle pedane. Non &egrave; affatto difficile far fumare e stridere la gomma posteriore, perch&eacute; si riesce a scaricare tutta la potenza senza il timore che la ruota anteriore, visto l&rsquo;interasse, accenni minimamente a sollevarsi. Ecco, l&rsquo;interasse, parliamone: &egrave; proprio questo parametro a influenzare significativamente la guida. Se da un lato la rende precisa e sicura sul dritto, dall&rsquo;altro crea qualche imbarazzo, soprattutto nelle svolte lente dove la moto va indirizzata con convinzione, aiutandosi pure con i movimenti del corpo, perch&eacute;, come detto, la ruota anteriore &egrave; lontana, e l&rsquo;inclinazione della forcella la fa percepire ancor pi&ugrave; distante. Nelle curve vere e proprie, &egrave; invece l&rsquo;enorme pneumatico a caratterizzare la discesa in piega che non &egrave; esattamente fulminea, ma almeno le pedane non strisciano prima che inizi il divertimento. &Egrave; il prezzo che si deve pagare per &ldquo;apparire&rdquo; muscolosi: si guadagna molto in immagine ma a volte si perde di efficacia. Ben pi&ugrave; gradevole il motore, che si fa apprezzare per la ridotta rumorosit&agrave; e le poche vibrazioni, quelle &ldquo;buone&rdquo;, a meno che non si decida di superare i 4.000 giri quando origina maggiori pulsazioni a dimostrare che non ama girare in alto. Ma nell&rsquo;uso normale, salvo le sparate per far colpo sugli amici, non si sente l&rsquo;esigenza di forzarlo oltre la sua natura. Meglio goderselo tra i 2.000 e i 3.000 giri, quando esprime il meglio di s&eacute; in termini di coppia che si traduce in piacevolezza di guida, con progressioni gustose, fin dai regimi bassissimi, rese possibili dalla esuberante cilindrata. Migliorato il cambio che rispetto a precedenti interpretazioni &egrave; ora meno secco nell&rsquo;inserimento e pi&ugrave; preciso; inoltre si avvantaggia del sistema che assiste nella ricerca della folle, che, soprattutto in citt&agrave;, dove gli &ldquo;stop &amp; go&rdquo; sono veramente frequenti, &egrave; comodissimo. Ottimo invece il lavoro svolto dalla trasmissione finale a cinghia, silenziosa e tale da non far rimpiangere la catena, anzi, con il pregio di non mettere a rischio il cerchio posteriore con schizzi di grasso. Particolare non da poco su moto, per proprietari che vogliono esibire sempre mezzi perfettamente lucidi. Infine, perch&eacute; prima o poi capita di doverli usare, i freni: oramai ci eravamo talmente abituati all&rsquo;ABS, presente di serie su tutta la gamma Touring di Victory, che avevamo dimenticato della tendenza al bloccaggio del posteriore, che invece si manifesta sugli impianti che ne sono sprovvisti. Maggiormente modulabile l&rsquo;anteriore, che risulta anche molto potente, in ragione dell&rsquo;elevato livello qualitativo dell&rsquo;impianto di cui &egrave; dotata la moto, fornito da Brembo.  

Victory Hammer S

Il marketing insegna che un’idea innovativa, per quanto buona, richiede il momento giusto per essere presentata e pretendere di avere successo. Altrimenti il rischio è quello di bruciarla. Un esempio lo vedemmo ad inizio anni ‘90 con la Honda Pacific Coast, una bella bicilindrica di 800 cm3 dalle forme futuristiche e concettualmente troppo “avanti” per essere capita, che forse avrebbe più successo oggi rispetto ad allora, quando si parlava più che altro di prestazioni (che non aveva). Pur parzialmente e intelligentemente frenata dall’attuale situazione economica, Honda non sta guardando solo davanti ai propri passi, ma molto più in là. Con i recenti cinque nuovi modelli dotati del DCT, il cambio automatico a doppia frizione, la Casa alata ci sta proponendo un nuovo modo di concepire una due ruote, fatto di praticità e sofisticazione, di prestazioni ecocompatibili e consumi ridottissimi. Da un lato ci si avvicina a concetti vicini alle auto, ma non volendo intristirci pensando a noiosi strumenti per la sola mobilità privata, preferiamo leggerne l’aspetto più dinamico, tipico delle moto. Quella del cambio dct è una soluzione che anche ai tester ha richiesto un certo rodaggio per farsi apprezzare e farli rendere conto della sua enorme praticità di utilizzo. Certo non è il cambio da preferire nella guida sportiva, ma in tutti gli altri casi, oltre ad eliminare l’impegno della cambiata manuale, permette di avere una connessione molto più diretta al gas rispetto a quella più o meno elastica dei tradizionali sistemi CVT che tutti gli scooter e qualche moto utilizzano. Se poi questo permette un cospicuo risparmio di carburante e l’abbattimento delle emissioni, benvenuto DCT!

Moto o scooter? Nessun dubbio: manca solo il serbatoio da stringere tra le gambe e la Integra &egrave; a tutti gli effetti una moto automatica. Con tutto ci&ograve; di positivo che ne consegue. Il prezzo base di &euro; 8.700 f.c. &egrave; decisamente invitante

Honda Integra

Dopo sei anni, il Satelis si rinnova nello stile, nel propulsore e negli accorgimenti, per entrare con decisione nel segmento dei GT. &Egrave; destinato a un pubblico adulto molto vicino al mondo delle auto, ricco di soluzioni pratiche e proposto a 3.990 Euro  La nuova generazione dei Satelis promette una ricca lista di novit&agrave; studiate per aggredire quel segmento GT dove la Peugeot &egrave; gi&agrave; tra i leader di vendite in Europa. Segmento dove invece (detto tra parentesi) l&rsquo;Italia dimostra solo da poco qualche segnale di crescita. Con questa seconda generazione di Satelis l&rsquo;obiettivo della Peugeot &egrave; raggiungere quella clientela legata all&rsquo;auto che per scelta o esigenza vuole muoversi con due ruote ma con la garanzia di un&rsquo;affidabilit&agrave;, un comfort e una dotazione pi&ugrave; simile a quella delle quattro ruote. Cos&igrave;, iniziando a citare alcune tra le caratteristiche principali, troviamo una strumentazione pi&ugrave; che completa e con chiari riferimenti al mondo dell&rsquo;automotive, gli specchi retrovisori ad ampia superficie e richiudibili senza perderne la regolazione, un vano sottosella da riferimento per capienza, e aumentato del 12% rispetto alla versione precedente, diversi vani portaoggetti e un&rsquo;abitabilit&agrave; adattissima sia alle persone di alta che di media statura, dove le gambe hanno ampia libert&agrave; di movimento. Le novit&agrave; per&ograve; riguardano anche l&rsquo;aspetto tecnico, con un motore rivisto e appartenente alla generazione LFE (Low Friction Efficiency) con nuovi accorgimenti per migliorarne l&rsquo;erogazione, la potenza, i consumi e diminuire, come enunciato dalla sigla, gli attriti e conseguentemente anche il rumore. Nuovo anche il reparto fanali, con un doppio gruppo ottico anteriore con lampade alogene da 55W abbinato alle nuove luci di posizione sia anteriore che posteriori a led, come anche quelle di arresto. Il Satelis in questa nuova veste &egrave; gi&agrave; in vendita nella motorizzazione tutta Peugeot di 125 cm&sup3; che sar&agrave; poi affiancata a quella di 300 cm&sup3; a partire dal prossimo ottobre. La scelta &egrave; stata veicolata dagli studi di settore dove emerge che i clienti alla ricerca di uno scooter del segmento GT prediligono la cilindrata appunto dell&rsquo;ottavo di litro, presumibilmente perch&eacute; in gran parte provenienti dalle quattro ruote e quindi in possesso della sola patente B. Per offrire il compromesso migliore, e accontentare il maggior numero di clienti, il nuovo Peugeot sar&agrave; venduto in tre allestimenti: Premium da 3.990 Euro, Urban con ABS/PBS acquistabile con 500 Euro aggiuntive e la versione Executive dove, aggiungendo 600 Euro, si avr&agrave; in dotazione sia il sistema ABS/PBS che l&rsquo;antifurto con catena ABUS. Quattro saranno invece le colorazioni condivise tra i tre allestimenti: il nero, il bianco perlato, il grigio Quartz e l&rsquo;oro Havane, tutte ulteriormente personalizzabili con i numerosi accessori previsti dal catalogo Peugeot.  DA FERMO  Il progetto Satelis nella sua seconda edizione mantiene e conferma l&rsquo;impronta che la Peugeot ha voluto per questo riferimento del segmento GT, cercando di avvantaggiare gli aspetti pratici piuttosto che quelli di carattere, disegnando linee pulite ed eleganti abbinate a un comfort elevato. Cos&igrave; molti sono gli aspetti che lo rendono innovativo e al tempo stesso funzionale, disegnando un profilo chiaro dei fruitori al quale sar&agrave; destinato: tendenzialmente maschi e di et&agrave; compresa tra i 30 e 45 anni. Partendo dalla capacit&agrave; di carico, aspetto fondamentale che spesso fa davvero la differenza nella scelta di uno scooter, sul Satelis &egrave; stato ricavato un vano anteriore protetto da serratura che pu&ograve; contenere una bottiglia da 1 litro e con presa 12V, in aggiunta a un nuovissimo vano con apertura a pressione ricavato al centro del manubrio. La punta di diamante in fatto di capacit&agrave; &egrave; di certo il vano sottosella, dimensionato per contenere due caschi integrali o addirittura, in alternativa, persino due racchette da tennis. L&rsquo;aspetto di certo pi&ugrave; distintivo di questo vano &egrave; la funzionalit&agrave; dell&rsquo;apertura, che si effettua tramite la chiave di accensione, ma in senso orario, il che ne permette l&rsquo;apertura senza dovere spegnere il motore. Lo sblocco della serratura attiva oltretutto l&rsquo;apertura della sola parte posteriore della sella, per facilitare eventuali operazioni di carico anche con il conducente che pu&ograve; rimanere seduto nella sua porzione di sella. Sempre facendo il verso agli optional automobilistici, il ruotare della chiave comporta non solo il semplice sblocco della serratura ma anche l&rsquo;apertura assistita della sella verso l&rsquo;alto (meccanismo che pu&ograve; essere oltretutto automatizzato tramite il telecomando fornito come accessorio). Sembra incredibile, ma le caratteristiche riguardanti la sella non finiscono qui, infatti oltre ad essere dotata di una luce di cortesia all&rsquo;interno del vano e di una apertura meccanica di emergenza sotto lo sportellino che ospita il tappo per il carburante, ha un ulteriore piccolo vano nell&rsquo;estremit&agrave; anteriore contenente un comodissimo coprisella impermeabile estraibile per lo stazionamento in caso di pioggia. Per il nuovo scooter del leone insomma, sembra le abbiano pensate davvero tutte: per citarne un&rsquo;altra ancora, forse vi sar&agrave; capitato con altri scooter di doverli stazionare per un attimo a motore acceso, magari per chiudere il portone del garage, e trovarvelo spento all&rsquo;estrazione del cavalletto laterale... Peugeot ha pensato di modificare anche questo aspetto, ma come si pu&ograve; permettere di lasciare il motore acceso, il cavalletto laterale estratto e garantire la sicurezza al pilota? Facile, il Satelis resta semplicemente acceso, anche con la stampella fuori, ma se si tenta di accelerare la centralina taglia l&rsquo;alimentazione e l&rsquo;accensione quasi come quando si arriva al limitatore, impedendo di fatto di muoversi: geniale! In fatto di dispositivi innovativi, il Satelis &egrave; dotato anche delle luci di cortesia, che anche nel mondo auto non sono diffusissime se non in alcune vetture di alta gamma: allo spegnimento dello scooter, &egrave; stato aggiunto un ritardo nello spegnimento delle luci led delle posizioni, per permettere ad esempio quella visibilit&agrave; molto utile ad esempio nel caso di un cortile buio.    IN MARCIA  Immediato &egrave; il feeling trovato salendo in sella al Satelis, la triangolazione sella, manubrio e pedana &egrave; studiata per stature anche alte e non affatica anche nelle percorrenze medio-lunghe. La conformazione del plexiglass di serie &egrave; studiata poi per offrire la massima protezione aerodinamica fino alla statura di 185 cm, lo spazio per le gambe &egrave; abbondante e permette di muoversi con facilit&agrave;. Il lavoro svolto sul motore &egrave; davvero tangibile, infatti oltre ad essere silenziosissimo ha uno spunto vivace ed estremamente progressivo che non lascia mai spazio ad incertezze o strattoni della trasmissione. Utilissimo poi, e a conferma dei consumi ridotti, il dispositivo comandabile dal manubrio per la consultazione del consumo istantaneo che oscillando tra diversi valori a seconda della spinta richiesta, riesce ad arrivare addirittura a valori prossimi a 2 litri per 100 km nelle basse velocit&agrave; costanti. La nostra prova prevedeva poi l&rsquo;alternare l&rsquo;utilizzo delle tre versioni, provando sul pratico le differenze tra il modello con frenata standard e quelli con ABS/PBS. Entrambe le configurazioni hanno una risposta molto pronta, precisa e mordente, accentuata maggiormente nel modello senza ABS che vista la semplicit&agrave; del sistema di frenata d&agrave; l&rsquo;impressione di essere pi&ugrave; reattiva ma con la tendenza poi a bloccare il posteriore nelle frenate di emergenza. Affidabilissimo e poco invasivo &egrave; invece il sistema ABS Nissin con frenata combinata PBS che anche nei casi estremi riduce al minimo gli spazi di arresto senza innescare fastidiose vibrazioni delle leve. Nonostante poi l&rsquo;ingombro un po&rsquo; generoso delle strutture, la guida di Satelis &egrave; piacevole e con una assoluta stabilit&agrave;, sia nelle manovre nei piccoli spazi che nelle percorrenze sul medio percorso e fuoriporta; il peso abbastanza contenuto ne permette poi una buona manovrabilit&agrave;.  

Peugeot Satelis 125

Lo scooter pi&ugrave; sportivo e potente mai costruito ha anche un reparto di controlli elettronici, oggi tanto di moda, assolutamente assente. Quindi si guida (con grande soddisfazione) facendo affidamento alle proprie qualit&agrave; di pilota. Niente paura, vi divertirete  &nbsp;  Chiss&agrave; se &egrave; politicamente scorretto non considerare indispensabile l&rsquo;ABS su uno scooter da 76 CV e 249 kg dichiarati a secco! Magari quelli che si sentono privati del libero arbitrio nella guida dagli aiuti elettronici, che si sentono menomati della loro esperienza e derubati del piacere di personalizzare, o saper solo che si potrebbe, ogni frenata e ogni uscita di curva, lo potrebbero apprezzare solo per questo. Non ci sono molti dubbi sul fatto che questo Aprilia SRV 850, derivato strettamente dal Gilera GP 800 ma passato alla revisione del reparto sviluppo di Aprilia, subir&agrave; prima o poi un aggiornamento elettronico (tecnologia che alla Casa veneta non manca per nulla... anzi) con frenata antibloccaggio, controllo di trazione, plurimappature e chiss&agrave; cosa. Sta per&ograve; il fatto che ora si presenta bello tosto, duro e puro, sportivo come una moto da pista che difende con strafottenza la sua capacit&agrave; di avere un circuito idraulico per ogni asse, facile ed intuitivo come mamma ci ha fatto anche noi una volta, sapendo che se freni con la mano destra stringi i dischi davanti, con la sinistra quello dietro e ognuno pensa per s&eacute;. E che se passi inclinato su una pezza di asfalto e apri il gas senti che la ruota posteriore pattina. Se non &egrave; questo il piacere della guida sportiva, cos&rsquo;&egrave;? C&rsquo;era bisogno di dargli la forma di uno scooter? Be&rsquo;, oggi non &egrave; pi&ugrave; un&rsquo;eresia, e mi sembra che sia venuta anche molto bene questa forma, cos&igrave; familiarmente Aprilia, con tante ispirazioni tratte dalla RSV4 e quel tanto di aggressivo, una volta di snello e una volta di massiccio, che fa guardare all&rsquo;SRV 850 come indubbiamente e sfacciatamente sportivo. Chi lo guida vuole far sapere &ldquo;ragazzo stai attento, io so frenare e dare gas&rdquo;, quindi meglio essere chiari. Poi non &egrave; necessario scendere per strada col coltello in mezzo ai denti, questo &egrave; uno scooter, col suo vano sottosella (per un casco solo) e il suo ampio retroscudo (senza nessun vano se pur piccolo per uno scontrino, un cellulare, un telecomando...). La sua funzione di protezione dall&rsquo;aria per le gambe la svolge, mentre il basso cupolino invece non pu&ograve; fare altrettanto, e se serve ci si dovr&agrave; rivolgere al catalogo accessori. Il comfort per il resto per&ograve; &egrave; notevole: le vibrazioni non ci sono, se pure non sembra di essere su un motore elettrico, la sella &egrave; ampia e ben imbottita (ma non cedevole) e il supporto lombare fa il suo dovere, infine le gambe non sono affatto piegate in modo eccessivo e possono spostarsi a piacere tra la posizione perpendicolare alla strada e quella in avanti. In entrambi i casi le doti ciclistiche dell&rsquo;SRV 850 consentono di avere una buona anzi ottima sensazione di controllo. Non c&rsquo;&egrave; modo di regolare le sospensioni in marcia, ed anche in garage l&rsquo;affare non &egrave; semplice, ma la taratura media &egrave; adatta alla guida sportiva senza risultare secca o dannosa per la schiena.    Il peso importante del resto aiuta a convincere la parte ammortizzante che ad ogni sollecitazione del terreno &egrave; bene che lei si adegui. I freni sono notevoli: pi&ugrave; tiri pi&ugrave; frenano, ma per inchiodare, tornando al tema dell&rsquo;ABS, sinceramente bisogna impegnarsi come degli asini (quelli delle favole che sono stolti e non quelli veri che sono saggi...). La stabilit&agrave; &egrave; notevole almeno fino alle velocit&agrave; consentite dal percorso di prova, che invece esaltava la solidit&agrave; di appoggio a terra, la guida rotonda e la coerenza di una ciclistica che pu&ograve; risultare pesante a lungo solo per chi &egrave; meno, diciamo cos&igrave;, allenato, ma che deve tenere a bada un interasse di 1.583 mm e un peso in ordine di marcia che supera di un bel po&rsquo; i 250 chili. Quando in piega si trova un avvallamento o c&rsquo;&egrave; un&rsquo;incertezza con la manetta l&rsquo;assetto si scompone in modo molto limitato e questo vale proprio tanto su un veicolo del genere. Insomma, se volete che lo scooter vi dia anche delle vere sensazioni di guida, dirette, senza le salubri ma ammalianti menzogne dell&rsquo;elettronica non avete alternative. Non c&rsquo;&egrave; da rimpiangere molto nel traffico cittadino, pur se le dimensioni sono quelle che dichiara la sua scheda tecnica e non proprio le stesse di un 150 cm3, ma la smanettata con l&rsquo;SRV si rivela molto divertente.  &nbsp;  DA FERMO  L&rsquo;anima sportiva Aprilia si coglie immediatamente da alcune assonanze con la sportiva RSV4, che scende anche in pista nel mondiale Superbike, ma pure senza fare riferimenti questo SRV &egrave; bello e personale. I retrovisori con gli indicatori di direzione incorporati, i semimanubri in alluminio, le leve dei freni regolabili entrambe, la treccia metallica del circuito idraulico, il triplo fanale anteriore e le prese d&rsquo;aria, il cupolino &ldquo;mozzato&rdquo; sportivo e aggressivo, il gruppo ottico posteriore non meno evocativo, i due silenziatori sovrapposti (un po&rsquo; tanto retr&ograve; a dire il vero e fin troppo Gilera GP 800...), i padelloni dei freni anteriori esposti con baldanza, una bellissima sella che &egrave; anche spaziosa e confortevole, ma in fondo tutta l&rsquo;atmosfera racing della verniciatura, nera e bianca o solo nera, ne fanno un bel&rsquo;oggetto. Che costa, se non poco, meno della concorrenza che ha meno cilindrata e pi&ugrave; elettronica: 9.630 Euro franco concessionario.  

Aprilia SRV 850

Quante moto del compromesso tra enduro, strada, trial, rally vi ricordate? La KTM che tanto ha suscitato scalpore alla sua presentazione nell&rsquo;autunno scorso non &egrave; solo una formula insolita e innovativa della consueta alchimia di diverse percentuali tra le varie &ldquo;specialit&agrave;&rdquo;, &egrave; una moto inedita. Ecco cos&rsquo;&egrave; veramente e come va, per 7.250 Euro f.c.  &nbsp;  Il titolo, per chi scrive o impagina un servizio, &egrave; importante. Quando ho pensato a &ldquo;terre di mezzo&rdquo; mi sono anche subito detto &ldquo;sbagliato, non rende&rdquo;. La Freeride &egrave; una moto che non &egrave; stata fatta mischiando due o pi&ugrave; concetti. Esistono le trial che vengono ingentilite nella sella, nell&rsquo;autonomia, nella rapportatura, le enduro che vengono abbassate e ammorbidite nelle sospensioni e nell&rsquo;erogazione. Certo anche qui tutto sommato si &egrave; preso un motore che esisteva gi&agrave;, il 350 da cross-enduro pluriricoperto di recente gloria, ma non &egrave; tutto cos&igrave; semplice. Nel nostro caso ci sono alcuni elementi che fanno capire a cosa siamo di fronte: le tre mappature e i pneumatici da trial, che sono dei veri trial, da gara, seppure poco diffusi. Le tre scelte elettroniche permettono di guidare in modo diverso la stessa moto e sono quindi dedicate a tre clienti &ldquo;tipo&rdquo;, ma anche tre modi di affrontare le difficolt&agrave; totalmente diversi tra loro. Ed ecco che per sfruttare la flessibilit&agrave; d&rsquo;uso di questa moto bisogna non rinunciare all&rsquo;optional pi&ugrave; importante, il selettore sul manubrio col quale si passa da standard a soft a hard. Perch&eacute; il trialista esperto o l&rsquo;endurista da hard preferir&agrave; la mappa che gli d&agrave; un motore pi&ugrave; aggressivo a basso regime, in modo da potersi &ldquo;sparare&rdquo; a gas aperto e frizione in mano su per il muro che si propone all&rsquo;improvviso. La mappa soft &egrave; adatta ai meno esperti, a chi &egrave; esperto ma &egrave; sempre a corto di allenamento e vuole comunque divertirsi, a chi ha avuto una giornata difficile ma a casa in qualche modo ci deve pur tornare, magari accasciato sulla sella che non &egrave; troppo diversa da una enduro gara e sempre meglio di una trial di quando le avevano ancora, le selle, tanti anni fa.  DA FERMO  Tra i motivi di fascino di questa moto c&rsquo;&egrave; che &egrave; anche bella da vedere. Che non guasta mai: quando rientrate la sera a casa e ve la guardate se vi fa non solo pregustare l&rsquo;uscita del prossimo fine settimana ma vi rende anche soddisfatti di possedere un bell&rsquo;oggetto, be&rsquo; &egrave; tutto valore aggiunto, no? Snella e tirata all&rsquo;osso ma anche armoniosa, razionale all&rsquo;esasperazione ma anche civettuola, priva di nulla di quello che serve eppure cos&igrave; leggera, anche sulla bilancia. Frutto di soluzioni ad hoc furbe e ben realizzate. Sella e copriserbatoio si sollevano tramite un pulsantino celato nella parte finale a sinistra della sella. Si accede al rifornimento (il serbatoio &egrave; trasparente cos&igrave; sapete ad occhio come siete messi), al filtro dell&rsquo;aria che si sfila con una mano in un secondo, e &ldquo;all&rsquo;interno&rdquo; della moto che &egrave; fatto di talmente pochi elementi, cos&igrave; raccolti e ben disposti, che sembra un insetto evoluto e primordiale al tempo stesso. Gli incavi per spostare la moto a mano, la forma dei parafanghi, la leggerezza della trasmissione e di tutto il reparto frenante, i silenziatori cos&igrave; ben protetti e poco invasivi, la scelta della larghezza del manubrio e di comandi belli, leggeri, robusti, funzionali, sia sopra che alle pedane, la dicono lunga sulla cura messa su questa moto. Le pedane inoltre si possono arretrare di 8 mm per una posizione pi&ugrave; trialistica semplicemente smontando e riposizionando il loro attacco (due bulloni) e cos&igrave; il manubrio. I comandi idraulici di freno anteriore e frizione hanno leve simili, cos&igrave; ve ne portate solo una di ricambio in tasca. Perch&eacute; la Freeride &egrave; fatta per cadere e riportarvi a casa.    &nbsp;  Ecco come per incanto vi abbiamo anche spiegato cos&rsquo;&egrave; questa Freeride, una moto per tanti e per fare molte delle specialit&agrave; del fuoristrada, perch&eacute; tutti possano togliersi delle grandi soddisfazioni dalla propria gita senza litigare col prossimo non motociclista e nemmeno con se stessi per essere tornati malconci fisicamente e moralmente dall&rsquo;uscita pi&ugrave; banale a quella veramente impegnativa, a seconda di come uno se la sente. Non a caso &egrave; stato pensato un kit di ribassamento delle sospensioni di 25 mm che abbinato alla sella con meno imbottitura fa guadagnare quasi 5 cm. Mica poco per chi vuole mettere gi&ugrave; i piedi pi&ugrave; spesso. Cosa che durante il giro di prova della presentazione &egrave; stato poco possibile perch&eacute;... non c&rsquo;era tanto posto per farlo. Verso la fine cos&igrave; abbiamo anche provato che seduti in sella ci si sta ma che la moto si governa meno bene rispetto a quando sei seduto su di una enduro, con la quale per&ograve; lo zampettare per uscire dalle difficolt&agrave;, al momento che le forze non ti sostengono pi&ugrave;, &egrave; meno efficace. Importante invece notare come si faccia subito amicizia con la posizione in piedi, tanto azzeccata che la si pu&ograve; tenere per un giorno intero, e tale da non indurre nella voglia di provare la posizione arretrata che probabilmente far&agrave; gola ai trialisti pi&ugrave; acrobatici. Questi godranno dell&rsquo;equilibrio naturale in dote alla Freeride, pi&ugrave; sensibile agli spostamenti di peso di una enduro, ma meno di una trial, e in tutti i casi meno esigente fin quando il risultato che dovete ottenere non raggiunge i livelli pi&ugrave; impegnativi. I freni sono una libidine totale in fatto di morbidezza e sensibilit&agrave;, e non sembra nell&rsquo;unico tratto veloce che manchi la potenza per fermarsi dalla sesta ai regimi gi&agrave; elevati.  La mancanza della messa in moto a pedale, se non aggiunge peso con la presenza in pi&ugrave; di motorino e batteria affidabile, dall&rsquo;altra non pu&ograve; che creare qualche apprensione di restare a motore morto proprio dove non si pu&ograve; che spingere in salita. Anche perch&eacute; la Freeride forse non &egrave; la moto che si usa quotidianamente. Abbiamo comunque, nell&rsquo;arco delle dieci ore del test, volutamente rimesso in moto spesso e senza passare per il folle e non ci sono stati problemi. La frizione da parte sua, se pure chiamata in causa di proposito pi&ugrave; spesso del necessario, visto il tiro del motore (che gira anche alto ma non cresce di potenza pi&ugrave; di tanto)e la dolcezza di lavor&igrave;o del cambio (che ha le prime tre marce molto ravvicinate), sembra piuttosto robusta. Soprattutto quando si sar&agrave; presa conoscenza e fiducia delle reali possibilit&agrave; del motore a bassissimo regime, nelle varie mappe, allora si potranno centellinare centimetri di ascesa in aderenza lasciando inermi le dita di sinistra.  Abbiamo notato che tutte le moto del test avevano i registri tendicatena gi&agrave; arretrati, ci &egrave; stato detto per evitare interferenze con il tipo di pneumatico e che con altri il problema non si verifica. Sull&rsquo;argomento gomme da trial aggiungiamo che fango all&rsquo;europea non ce n&rsquo;era, nonostante la grandinata di met&agrave; giornata, e quindi di aderenza con la vera palta non sappiamo dirvi, considerando che i tasselli delle coperture da trial sono piuttosto ravvicinati e che l&rsquo;aderenza questi copertoni la danno con la carcassa pi&ugrave; che con la forma del tassello. Ma sono gi&agrave; nati pneumatici di tipo trialistico adatti all&rsquo;enduro estremo con tassellatura pi&ugrave; diradata. Infine le sospensioni. Ricordato che si regolano ampiamente, cos&igrave; come escono dal montaggio sono scorrevoli, morbide ma non cedevoli, e nei 240-250 mm di escursione si trova sia la copia del piccolo sasso come l&rsquo;assorbimento dell&rsquo;impatto sul grosso ostacolo. E non ci sono sembrate proprio in grossa difficolt&agrave; sul veloce. Se un giorno scopri che non te ne fai nulla di 300 mm di escursione, di 45 CV quando ne usi la met&agrave;, con quello che comporta in fatto di assetto e impegno nella guida anche a bassa velocit&agrave;, che vuoi ritrovare il piacere della gita impegnativa arrivando ancora in cima ma senza farti maledire per il rumore, hanno fatto la moto per te, omologata Euro-di-pi&ugrave;, con cui poterti muovere anche nei piccoli spostamenti con uno stile invidiabile. Altro che SUV. Anzi, usalo per metterci dentro la Freeride e goditi l&rsquo;off-road.  

KTM Freeride 350

Una grande viaggiatrice su ogni terreno, che abbiamo provato a lungo nel nuovo allestimento Worldcrosser, in grado di portarvi dappertutto con grande facilit&agrave;  &nbsp;  Dopo la presentazione avvenuta due anni fa, la Yamaha XT 1200 Z Super T&eacute;n&eacute;r&eacute; ha riscosso un successo a nostro avviso non pari alle sue eccellenti doti di viaggiatrice all-road, ma siamo sicuri che il tempo le dar&agrave; ragione. Questa moto infatti merita di essere provata per essere pienamente apprezzata, visto che sul volto di chiunque l&rsquo;abbia guidata abbiamo letto solo espressioni di soddisfazione. Le grandi tradizioni fuoristradistiche della Casa dei tre diapason sono ben radicate nella struttura della Super T&eacute;n&eacute;r&eacute;, e si traducono in una ciclistica molto robusta e in un propulsore instancabile e trattabilissimo. Dopo averla provata pi&ugrave; volte e in differenti ambientazioni, ce ne siamo sempre pi&ugrave; convinti, affascinati non tanto dalle sue prestazioni, ma dalla preziosa dote di poterci condurre ovunque con apparente facilit&agrave;, dal viaggio stradale misurato in migliaia di chilometri, a quello prevalentemente in fuoristrada, dove se la cava bene nella maggior parte delle situazioni. Il desiderio nato in noi durante la prova sarebbe quello di vedere una Super T&eacute;n&eacute;r&eacute; con le stesse caratteristiche, ma di media cilindrata e con peso minore, che potrebbe diventare l&rsquo;arma totale per i viaggi avventura.  &nbsp;  DA FERMO  La Worldcrosser si arricchisce di particolari prevalentemente orientati all&rsquo;estetica piuttosto che alla funzionalit&agrave;. Le due carene laterali in carbonio, ora dotate di griglia metallica sugli sfoghi dell&rsquo;aria, sono le meglio riuscite di tutto il pacchetto e, a nostro avviso, risultano pi&ugrave; belle di quelle originali. Il carbonio si trova anche sulle coperture foderi della forcella e sulle protezioni del telaio. Utili a livello protettivo, ma non molto belle da vedere ci sono sembrate le protezioni in alluminio di cardano e freno posteriore, che appesantiscono l&rsquo;aspetto della Worldcrosser, mentre il paracoppa maggiorato in alluminio si sposa molto bene con l&rsquo;aspetto avventuriero della moto, oltre ad offrire una indispensabile protezione nell&rsquo;off-road. La leggerezza del carbonio compensa l&rsquo;aggiunta dei nuovi accessori e il peso dichiarato di 261 kg col pieno non varia, restando un po&rsquo; eccessivo per i nostri gusti. Il prezzo della Worldcrosser &egrave; di 15.690 Euro f.c., e tre sono i colori disponibili: bianco, nero e grigio opaco Per i possessori del modello base, Yamaha offre un kit di trasformazione in Worldcrosser al prezzo di 1.990 &euro;. Per chi invece volesse renderela ancora pi&ugrave; aggressiva, esiste un kit di notevole resa estetica denominato WR-C, che comprende terminale Akrapovic con protezione anticalore in carbonio, fanali supplementari e indicatori di direzione a led, il tutto a 1.262 &euro;. Naturalmente non variano le dotazioni standard della Super T&eacute;n&eacute;r&eacute;, come il cupolino regolabile su due posizioni, la sella modificabile in altezza (845 o 870 mm), il gruppo ottico anteriore a solenoide e gli attacchi per le borse rigide integrati al telaietto posteriore.    &nbsp;  IL VIAGGIO  Quest&rsquo;anno la Yamaha ha organizzato un viaggio in Andalusia, nel sud della Spagna, su un territorio poco distante dal Nordafrica e molto simile ad esso nella conformazione. Qui il clima &egrave; molto secco e ad inizio marzo abbiamo trovato una temperatura ideale per la moto, che si aggirava tra i 15&deg; e i 25&deg;C. Le guide locali ci hanno spiegato che qui il clima ideale per la moto va da ottobre a maggio, mentre nei mesi pi&ugrave; caldi le temperature salgono parecchio, tanto che il fuoristrada &egrave; vietato a causa dell&rsquo;alto pericolo d&rsquo;incendio della vegetazione. Guidati dalla solita e impeccabile struttura della Tom42 di Tony Merendino, siamo partiti da Almeria viaggiando per tre giorni su un percorso ad anello. Abbiamo inizialmente puntato ad est verso le scogliere di Cabo De Gata, passando per il deserto di Tabernas, zona utilizzata per i set dei western di Sergio Leone e tuttora impiegata per girare i film in ambientazione desertica. Siamo poi risaliti a nord passando per la zona delle miniere d&rsquo;oro abbandonate di Rodalquilar. Tutta quest&rsquo;area &egrave; formata da montagne rocciose dai mille colori dovuti alla ricchezza di metalli e tutte originate da un antico vulcano sottomarino. Proseguendo verso nord abbiamo percorso la spettacolare strada asfaltata che dal paese di Velefique porta all&rsquo;omonimo passo a 1.860 m di altezza. Se una strada come questa esistesse in Italia sarebbe il paradiso dei motociclisti, visto che sale e ridiscende la montagna per circa 20 km, con una perfetta alternanza di tratti misti lenti e allunghi pi&ugrave; veloci, su un asfalto perfetto e in totale assenza di traffico. Pur percorrendo pi&ugrave; volte alcuni tratti per le sessioni fotografiche, non abbiamo mai incontrato altro traffico, praticamente fantascienza in rapporto alle nostre pur belle strade! Queste montagne sono solcate da numerosi e lunghissimi tagliafuoco, vere e proprie &ldquo;autostrade&rdquo; per la Worldcrosser, tramite i quali ci si sposta velocemente anche in fuoristrada. Il punto pi&ugrave; a nord del nostro anello &egrave; coinciso con il paese di Velez Blanco, piccola cittadina di bianche case arroccato sulla cima di un colle e dominato da un castello edificato durante la dominazione araba. Quello che stupisce di questi luoghi &egrave; la bassissima densit&agrave; demografica, che rispetto ai paesaggi nostrani &egrave; capace di farci soli e sperduti in mezzo al nulla, specialmente percorrendo i tratti in fuoristrada. Il ritorno verso sud ha compreso l&rsquo;affascinante carraia del monte Cascaire, che in mezzo a paesaggi molto pi&ugrave; verdi ci ha portati fino a 1.816 metri di altezza. Prima di raggiungere di nuovo Almeria abbiamo raggiunto gli oltre 2.000 metri del centro di osservazione spaziale di Calar Alto, una zona brulla e rocciosa di aspetto quasi lunare, nella quale spuntano le monolitiche forme bianche dei telescopi.  La guida Rispetto al modello base la World-crosser non presenta differenze di telaio o propulsore, pertanto ogni nostra sensazione &egrave; tranquillamente riportabile anche alla versione base. I tre giorni di questo viaggio ci hanno permesso di guidare su percorsi molto pi&ugrave; variegati rispetto alle velocissime piste africane dell&rsquo;anno passato (vedi In Moto n. 4/2011), dandoci una visione pi&ugrave; completa delle doti fuoristradistiche di questa grossa 1200. Anche se il chilometraggio totale si divideva circa a met&agrave; tra asfalto e sterrato, in termini di tempo le parti asfaltate sono corse via veloci, lasciandoci per la maggior parte del tempo con le ruote sulla terra. Il test &egrave; quindi stato molto estremo per questo tipo di moto, che pesa 260 kg e non nasce certo per vivere di sola terra: ancora una volta siamo rimasti positivamente impressionati da quello che siamo riusciti a fare!  L&rsquo;assetto Memori delle precedenti uscite in fuoristrada con la Super T&eacute;n&eacute;r&eacute;, abbiamo subito cercato di togliere pi&ugrave; peso possibile dall&rsquo;avantreno della Wordcrosser e la cosa &egrave; parzialmente riuscita precaricando al massimo le molle forcella e scaricando quella del mono tramite il comodo pomello. Cos&igrave; abbiamo ottenuto un retrotreno sicuramente troppo morbido e incline al fondocorsa, ma abbiamo guadagnato tantissimo sull&rsquo;avantreno, limitandone la tendenza a chiudere sui terreni soffici. Il nostro compagno di viaggio Francesco Catanese ci ha raccontato che sulla Super T&eacute;n&eacute;r&eacute; con cui ha recentemente concluso il Rally dei Faraoni, &egrave; bastato montare una anteriore di 21&rdquo; per migliorare di parecchio l&rsquo;avantreno. Anche i pneumatici hanno richiesto una riduzione della pressione, che abbiamo portato da 2,0 bar, con cui ci era stata consegnata la moto, a 1,7 bar, ottenendo non solo reazioni pi&ugrave; dolci sulle asperit&agrave; pi&ugrave; appuntite, ma anche un miglior grip sull&rsquo;asfalto!  La postura Debitamente studiata per le lunghe percorrenze, offre una posizione di guida estremamente comoda grazie a una sella sapientemente conformata, che per chi guida risulta stretta e col giusto spazio per le gambe nella zona frontale e pi&ugrave; larga e spaziosa in quella posteriore. Delle 2 altezze selezionabili abbiamo scelto la pi&ugrave; alta, perch&eacute; garantisce una migliore posizione delle ginocchia da seduti. A completare la postura prettamente da fuoristrada ci pensano il largo manubrio dalla piega piuttosto accentuata e le pedane fissate in posizione perfetta sotto al baricentro del pilota. Da queste ultime abbiamo subito rimosso i gommini antivibrazioni, in modo da avere un appoggio pi&ugrave; diretto e un movimento pi&ugrave; libero con lo stivale da cross. Per il parabrezza abbiamo optato per la posizione pi&ugrave; bassa delle due, scelta rivelatasi molto azzeccata, visto che su ogni sterrato si &egrave; sempre riempito di polvere, trasformandosi in un&rsquo;appendice ben poco trasparente.  L&rsquo;asfalto La Super T&eacute;n&eacute;r&eacute; nasce per essere utilizzata su asfalto e in questo ambiente si conferma facile da gestire e al tempo stesso molto efficace. I 110 CV di potenza vengono erogati in maniera estremamente dolce e se da un lato questa caratteristica &egrave; perfetta per gran parte dei potenziali utenti, dall&rsquo;altro pu&ograve; non accontentare i pi&ugrave; smaliziati, lasciando l&rsquo;impressione di un propulsore poco emozionante. La Yamaha Italia si &egrave; accorta di questo e al momento ha stilato un accordo con Diapason Racing, che mette a disposizione una centralina appositamente modificata per rendere il propulsore pi&ugrave; piccante. Tutta la prova si &egrave; svolta con pneumatici tassellati di tipo on-off, che giocoforza limitano le prestazioni in tutte le situazioni su asfalto e con i quali la sensazione &egrave; quella di galleggiare sui tasselli che flettono in tutte le direzioni. Comunque basta ben poco per prendere confidenza con questo comportamento e cominciare a giocarci sopra. Chi ha detto che andando pi&ugrave; piano ci si diverte di meno? Appena prese le misure con staccate e curve, da affrontare a velocit&agrave; minori, si comincia a giocare con il poco grip gestendo il posteriore che perde aderenza in staccata e in accelerazione. L&rsquo;unica vera attenzione va rivolta all&rsquo;avantreno in ingresso curva, che non fornisce un solido appoggio e va quindi gestito con prudenza. Il comportamento su asfalto dei nuovi Pirelli Scorpion Rally va comunque oltre le aspettative, permettendo andature molto elevate per un tassellato. Su asfalto e con pneumatici tassellati l&rsquo;elettronica dell&rsquo;ABS e del YCC-T vengono molto in aiuto, correggendo ogni minima perdita di aderenza: nel caso si decida di escludere il controllo di trazione bisogna fare molta attenzione alla gestione del gas. Anche il setting delle sospensioni &egrave; ben bilanciato, visto che contiene bene i trasferimenti di carico e regala ottima stabilit&agrave; sul veloce.  L&rsquo;elettronica Con una massa cos&igrave; importante da gestire, la guida fuori dall&rsquo;asfalto dev&rsquo;essere molto dolce e pulita e in questo frangente i meno smaliziati possono ricevere un buon aiuto dall&rsquo;elettronica. Una convinzione comune e in parte errata &egrave; quella di dover escludere l&rsquo;ABS perch&eacute; &ldquo;altrimenti la moto non si ferma&rdquo;. Questo &egrave; vero quando si guida sul fango o sul viscido, ma sui terreni secchi l&rsquo;ABS aiuta tantissimo a non scomporre l&rsquo;assetto della moto, per poi doverlo recuperare a fatica con tanto peso da gestire. Abbiamo percorso parecchi tratti con il sistema inserito senza lamentare alcun allungamento delle frenate e senza dover pensare troppo al dosaggio della forza frenante. Per chi volesse invece escluderlo non esiste un tasto, ma una procedura piuttosto scomoda da ripetere ogni volta, che richiede di issare la moto sul cavalletto centrale e con la seconda inserita, far girare a vuoto la ruota posteriore per una decina di secondi, fintanto che la spia dell&rsquo;ABS diventi fissa. Il controllo di trazione, invece, sullo sterrato &egrave; decisamente troppo invasivo a livello 1, ma funziona decisamente meglio a livello 2, contenendo le scodate in accelerazione. Volendo, pu&ograve; anche essere facilmente disinserito.  Le ramblas Il terreno andaluso che le nostre ruote hanno maggiormente calpestato &egrave; quello delle ramblas, ovvero lunghi letti di fiume in secca, che in Nordafrica vengono chiamati oued, e che vengono regolarmente utilizzati dal traffico locale a 2 e 4 ruote per i piccoli spostamenti. Nelle ramblas &egrave; quindi facile trovare un percorso battuto che serpeggia da un lato all&rsquo;altro del letto quasi sempre arido del fiume. Questa &egrave; una vera &ldquo;sala giochi&rdquo; per la Crosstourer, visto che a zone di misto stretto e guidato si alternano tratti molto veloci in cui si riesce ad allungare qualche marcia superando facilmente i 140 km/h. La potenza del propulsore &egrave; anche troppa e con il YCC-T disabilitato bisogna avere molta accortezza nella gestione del gas. Il terreno alterna tratti duri e compatti ad altri sassosi, con qualche breve chiazza di sabbia morbida. Ogni tanto qualche guado richiede attenzione per il terreno viscido che si crea nei dintorni di esso. Finch&eacute; c&rsquo;&egrave; grip la Worldcrosser se la cava alla grande, a patto di guidarla in piedi. In questa posizione ci si trova davvero bene grazie alla conformazione di sella e serbatoio, che offrono un perfetto spazio per le gambe e un ottimo appiglio per ancorarsi con polpacci e ginocchia. Sui tratti compatti, ma anche sui sassi, la Super T&eacute;n&eacute;r&eacute; sfoggia una ottima stabilit&agrave; e si lascia guidare anche a ritmi elevati a patto di non voler forzare sul manubrio per mantenere la traiettoria, ma lasciandola sempre scartare lateralmente in cerca del grip o di un buon appoggio. Lodevole il lavoro delle sospensioni, che ce la mettono tutta (soprattutto la forcella) per assorbire le asperit&agrave; e mantenere l&rsquo;assetto, pur incappando in numerosi fondocorsa con conseguenti spanciate del provvidenziale paracoppa in alluminio. Sui sassi abbiamo notato qualche reazione secca della forcella, capace di far perdere la traiettoria all&rsquo;anteriore. Il notevole peso sull&rsquo;anteriore crea problemi non appena si incontra morbido o sabbia, quando si innesca un netto sottosterzo da contrastare col gas in modo da alleggerire il pi&ugrave; possibile l&rsquo;anteriore e curvare col posteriore.  I tagliafuoco Sui passi di montagna abbiamo percorso alcuni di questi lunghi e larghi corridoi scavati tra la vegetazione. La loro caratteristica &egrave; di essere prevalentemente dei veloci rettilinei, ricchissimi di saliscendi che alternano gustosissime salite da percorrere a manetta a ripide discese con terreno smosso. Questo richiede una certa accortezza nell&rsquo;affrontare le salite senza perdere abbrivio, e la debita cautela nelle discese, che affrontate con una grossa bicilindrica richiedono di anticipare per tempo tutti i comandi per contrastare i lunghi spazi di frenata. Qui il fondo &egrave; roccioso, con qualche zona di terra dal grande grip, e anche in questo frangente ci siamo trovati meglio di ci&ograve; che immaginavamo, con la Worldcrosser che ci ha regalato grande divertimento. Certamente qualche &ldquo;lungo&rdquo; in staccata c&rsquo;&egrave; scappato e l&rsquo;impegno richiesto per affrontare le esse in discesa non &egrave; trascurabile, ma tutto sommato la ciclistica ci ha sempre lasciato il giusto margine di correzione per invogliarci a fare anche qualche bella tirata. Risulta notevole come anche sulle buche secche in sequenza o nei frequenti apri e chiudi del gas non si percepisca minimamente la presenza della trasmissione ad albero. Il classico battito avvertibile quando la ruota posteriore riprende aderenza in accelerazone, o quella sensazione di gioco al retrotreno nelle staccate pi&ugrave; forti sono praticamente sconosciuti alla trasmissione della Super T&eacute;n&eacute;r&eacute;, che si conferma la migliore da noi mai provata in fuoristrada.  La terra rossa Nei vastissimi territori di questa regione si incontrano anche vaste aree coltivate le cui strette strade di connessione sono ottimi percorsi con curve e saliscendi. Oltretutto il terreno secchissimo e polveroso non viene mai intaccato dal passaggio delle moto, lasciandolo in ottime condizioni per chi deve percorrerlo per lavoro. Qui i terreni assumono mille colori, che vanno dal grigio della polvere, al rosso cupo di certe terre coltivate, a quello quasi viola di alcuni tratti pi&ugrave; umidi. Anche qui non abbiamo risparmiato la Worldcrosser, mantenendo ritmi decisamente allegri e guidando saltando regolarmente da una all&rsquo;altra delle due corsie ben delineate dal passaggio dei mezzi a quattro ruote. Proprio percorrendo a bassa andatura uno di questi tratti, voltandoci indietro per attendere chi seguiva ci siamo inconsapevolmente distratti e, salendo con l&rsquo;anteriore sulla gobba centrale dello sterrato, abbiamo innescato una perdita di aderenza dell&rsquo;anteriore che non siamo pi&ugrave; riusciti a recuperare, finendo per terra dopo qualche metro di strisciata senza alcuna conseguenza. Questo insegna che con una pesante enduro diventa difficile recuperare un errore e ci ricorda che la guida pi&ugrave; redditizia &egrave; quella pi&ugrave; pulita possibile.  

Yamaha Super T&eacute;n&eacute;r&eacute; Worldcrosser

Un piccolo &ldquo;ruote alte&rdquo; dal prezzo molto abbordabile, adatto ad un&rsquo;utenza prettamente urbana e decisamente indicato anche per il pubblico femminile  Per chi prova l&rsquo;esperienza di spostarsi utilizzando uno scooter, diventa molto difficile riuscire a concepire qualunque altro mezzo per muoversi rapidamente in citt&agrave;. Infatti le 2 ruote a motore restano comunque il sistema pi&ugrave; pratico e veloce e non hanno rivali tra gli altri mezzi di trasporto, pubblici o privati. Nei centri storici congestionati dal traffico, i numeri delle vendite danno ragione agli scooter a ruote alte e con cilindrata fino a 150 cm3, cio&egrave; mezzi facili da condurre per tutti e dai costi ridotti. L&rsquo;Xenter &egrave; un modello nuovo pensato per la massima praticit&agrave; d&rsquo;utilizzo, con il quale la Casa dei tre diapason sferra un deciso attacco a questo segmento, mirando dichiaratamente a sfidare l&rsquo;attuale leader del mercato (l&rsquo;Honda SH). Questo ottavo di litro Yamaha si affianca alla versione di 150 cm3, con la quale condivide tutti i particolari a parte cilindrata e prezzo. La possibilit&agrave; di acquistare un Xenter si allarga pertanto anche ai sedicenni, oltre che ai principianti, al prezzo di 2.890 &euro; f.c. comprensivo di parabrezza e bauletto.  DA FERMO  Definito dalla Yamaha stessa uno &ldquo;beautility&rdquo;, combinazione delle parole bellezza e utilit&agrave;, l&rsquo;Xenter mantiene il giusto mix tra eleganza e sportivit&agrave; tipico di tutta la gamma scooter Yamaha, con il familiare doppio fanale anteriore dalla forma a mandorla e una preziosa unit&agrave; posteriore a led. La linea pulita dell&rsquo;Xenter &egrave; ottenuta adottando di serie un parabrezza fatto su misura, che quindi si integra molto bene col frontale, oltre a comprendere i pratici paramani. La vista posteriore &egrave; alleggerita dalla mancanza delle sospensioni, tipiche per questa categoria, e anche il bauletto posteriore da 39 litri, direttamente realizzato da Yamaha per l&rsquo;Xenter, non stona affatto con il resto. Oltre che sugli accessori, il tentativo di offrire qualcosa in pi&ugrave; rispetto alla concorrenza si vede anche sullo studio ergonomico, i cui risultati sono una pedana totalmente piatta e piuttosto ampia, ottenuta mantenendo il retroscudo il pi&ugrave; verticale possibile per lasciare spazio alle gambe. Molto pratici risultano anche il gancio pieghevole appendi-borsa posto sotto al blocchetto della chiave e il piccolo vano portaoggetti con sportellino di chiusura, che, posizionato sul manubrio, risulta molto pratico. Per permettere un miglior appoggio a terra, la parte frontale della sella &egrave; opportunamente svasata lateralmente, mentre subito pi&ugrave; indietro una corposa imbottitura si fa carico del comfort. Alzando la sella si accede al tappo del serbatoio e a un vano portaoggetti fatto a secchiello in cui nemmeno un piccolo casco jet riesce a stare. Gli accessori a richiesta vedono un telo coprigambe appositamente modellato per l&rsquo;Xenter e una pratica borsa morbida interna per il bauletto.    IN MARCIA  Una piovosa giornata passata a scorrazzare per le scivolose e trafficate vie di Barcellona &egrave; stata la cornice della nostra prova. Meteorologicamente parlando ci prepariamo al peggio, riponiamo la tuta impermeabile nel piccolo vano sottosella, mentre lasciamo il bauletto vuoto, pronto a contenere guanti e casco durante le varie fermate. Notiamo subito la praticit&agrave; del sistema di apertura e chiusura del bauletto, oltretutto attuabile con la stessa chiave di accensione. Scendere dal cavalletto centrale &egrave; operazione facile da effettuare sia stando in sella, sia da in piedi a fianco dello scooter. I piedi appoggiano molto bene a terra grazie anche alla sella che sapientemente si assottiglia se ci si siede in avanti, mentre i 142 kg dichiarati di peso in ordine di marcia si gestiscono molto bene grazie al baricentro basso. L&rsquo;ampio spazio della pedana lascia molta libert&agrave; di movimento ai piedi, ma la sella a doppio livello tende a far sedere in avanti, con le ginocchia vicine al retroscudo. Ci sono molto piaciute la forma e le dimensioni del parabrezza fornito di serie, che &egrave; alla giusta altezza per passarci sopra con lo sguardo e che risulta protettivo anche per le mani grazie alle due apposite appendici. L&rsquo;avviamento &egrave; molto rapido e le vibrazioni risultano contenute a tutti i regimi. Nelle partenze da fermo notiamo un certa pigrizia nella risposta al comando del gas, cosa che scompare quando si chiude e riapre il gas col motore su di giri, ma che causa una non perfetta risposta nelle partenze ai semafori o quando si manovra in surplace tra le auto ferme. Passata questa fase iniziale, il motore sale bene di giri e regala accelerazioni pi&ugrave; che buone per un ottavo di litro a 4 tempi. Nonostante l&rsquo;ottima modulabilit&agrave; del gas, passando sulla segnaletica orizzontale molto bagnata dalla pioggia abbiamo registrato decise perdite di aderenza, causate senz&rsquo;altro dalla cattiva qualit&agrave; delle vernici stradali spagnole e forse dalla qualit&agrave; economica dei pneumatici di primo equipaggiamento, i cinesi Duro.  Sin dai primi metri l&rsquo;Xenter si rivela comunque molto facile da gestire grazie alla percezione di minimo peso durante la guida e al buon funzionamento di tutti i comandi. Il lavoro svolto dal reparto sospensioni ci ha stupiti per il buon assorbimento delle asperit&agrave; dei fondi urbani nonostante il corposo sostegno fornito da forcella e mono. Infatti risulta difficile innescare eccessivi trasferimenti di carico o pompaggi del posteriore, anche nelle curve veloci e dissestate. Anche i pav&egrave; dei centri storici vengono digeriti molti bene dall&rsquo;Xenter, che offre ottimo comfort e non incappa in fastidiosi fondocorsa. &Egrave; vero che la scarsa potenza di propulsore e freni fatica a mettere in crisi la ciclistica, ma precisione e direzionabilit&agrave; restano comunque buone. Durante la guida ci &egrave; capitato di essere lentamente sospinti in avanti dal gradino della sella, fino a sfiorare con le ginocchia il retroscudo, cosa che potrebbe arrecare fastidio a chi supera i 175 cm di statura. La larghezza ridotta dell&rsquo;Xenter permette di trovare agilmente posto anche negli stretti parcheggi a pettine dei centri storici. Un altro punto a favore dell&rsquo;Xenter &egrave; il sistema UBS per la frenata combinata. L&rsquo;impianto non eccelle per potenza, infatti per essere incisivo richiede un certo sforzo sulle leve, ma agendo solo sulla leva sinistra si ottiene una buona frenata senza pericolo di bloccare le ruote. La leva del freno posteriore agisce infatti parzialmente anche sull&rsquo;anteriore, garantendo buone e sicure decelerazioni, molto adatte a chi ha poca esperienza. Per i nostri gusti non stonerebbe un impianto pi&ugrave; potente, ma relativamente alla clientela tipo a cui l&rsquo;Xenter si rivolge, pensiamo sia una soluzione molto ben congegnata. Se poi per frenare si usa anche la leva destra, la frenata migliora ancora. Certo che anche sugli scooter di piccola cilindrata non sarebbe male poter disporre del sistema ABS, almeno come accessorio: vista la diffusione che ha l&rsquo;ABS sulle moto di oggi, crediamo che presto accadr&agrave;.  

Yamaha Xenter 125

L&rsquo;Harley-Davidson guarda al futuro attingendo dal proprio passato come solo un grande marchio pu&ograve; fare. La Slim appartiene alla famiglia Softail ed &egrave; magra solo di nome. Ha un aspetto massiccio, con tutti i muscoli al posto giusto  Due le novit&agrave; Harley-Davidson presentate a febbraio e disponibili gi&agrave; in primavera. La pi&ugrave; grossa, sia come cilindrata, sia come dimensioni, si chiama Slim, e appartiene alla famiglia Softail. Casey Ketterhagen, senior designer di questo progetto, ha raccontato che l&rsquo;obiettivo principale &egrave; stato quello di mantenere il motore come vero fulcro della moto, quindi in evidenza su tutto il resto. La logica conseguenza &egrave; stata di ridurre e snellire le proporzioni della moto, eliminando tutte le parti considerate in eccesso ed abolendo finiture e dettagli che potessero distogliere l&rsquo;attenzione dal motore. D&rsquo;altronde &egrave; gioco facile per il monumentale propulsore di 103 &ldquo;cubic inches&rdquo; catalizzare l&rsquo;attenzione... Il risultato &egrave; una moto carismatica, di forte personalit&agrave;, massiccia e muscolosa nonostante la cura dimagrante, un vero bobber, che grazie al telaio Softail ha l&rsquo;aspetto di un &ldquo;rigido&rdquo;. Il profilo del Softail &egrave; rimasto, come pure l&rsquo;inimitabile stile Harley. Per il resto la moto &egrave; un tributo alle essenziali bobber che si costruivano artigianalmente negli anni &rsquo;50, con dettagli ripresi da una moto storica quale &egrave; stata la Knucklehead. La linea del serbatoio, della plancia di controllo e delle pedane poggiapiedi, infatti, attinge alla traccia lasciata da questo indimenticabile modello. Le ruote sono entrambe di 16&rdquo;, a raggi, con i cerchi neri e i pneumatici dalle spalle alte, cos&igrave; da avere un aspetto ancora pi&ugrave; massiccio ed occultare parzialmente la larghezza dei pneumatici volutamente contenuta in una misura che corrisponde a &ldquo;soli&rdquo; 144 mm, per conferire pi&ugrave; maneggevolezza al mezzo. A supportare questa scelta c&rsquo;&egrave; un largo manubrio denominato Hollywood, caratterizzato da un&rsquo;ampia curvatura e da un traversino. Le sue origini come accessorio risalgono addirittura a prima della guerra, quando veniva montato su forcelle Springer e sul traversino venivano installate luci aggiuntive e borse, emulando quello &ldquo;stile hollywoodiano&rdquo; ricco di eccessi e di stravaganze che poi ha dato il nome al manubrio stesso.  DA FERMO  Tre i colori disponibili: nero opaco, nero lucido e rosso. Il nero (sia opaco che lucido) &egrave; il colore che le conferisce pi&ugrave; grinta, ma la livrea rosso amaranto d&agrave; pi&ugrave; contorno ai dettagli valorizzandola di pi&ugrave;. Ci sono molte scelte accuratamente valutate che caratterizzano questo modello. Oltre al manubrio con traversino di rinforzo ci sono due corti parafanghi, una forcella robusta completamente schermata, molto simile a quella presente sulla Fat Boy, e un fanale di grosse dimensioni definito a Nacelle, ma che in realt&agrave; non rientra in questa tipologia dal nome di derivazione aeronautica. Poi c&rsquo;&egrave; il piacevole impianto di scarico sdoppiato e sovrapposto sul lato destro con due lunghi terminali cilindrici Shotgun tagliati obliqui. Di qualsiasi colore sia la Softail Slim ha le parti lucidate o cromate ridotte all&rsquo;osso. Ma se nella versione rossa le parti lucidate si sposano bene con la livrea, la versione nera risulterebbe sicuramente ancora pi&ugrave; determinata e agguerrita se anche ulteriori parti della forcella e del motore fossero verniciate in tinta, o quantomeno le parti lucide del motore fossero rifinite mediante micropallinatura. Poco male comunque: come tutti sanno, per personalizzare a piacimento una Harley-Davidson c&rsquo;&egrave; a disposizione tutto quello che si vuole. La targa &egrave; posizionata alla fine del parafango e il suo supporto prevede solo una piccola luce minimale che la illumina. La vera luce posteriore, sia di posizione che di stop, &egrave; sdoppiata e posizionata sui due lati assieme agli indicatori di direzione. Un&rsquo;idea originale e valida che &ndash; oltre a lasciare il retrotreno particolarmente pulito &ndash; lascia intendere l&rsquo;attenzione che i designer Harley-Davidson danno alle esigenze e ai gusti della propria utenza. Un altro dettaglio attentamente valutato sono i pochi centimetri di spazio lasciati &ldquo;vuoti&rdquo; tra sella e serbatoio. Sarebbe stato semplice eliminarli, ma il designer stesso della Slim ha dichiarato con convinzione: &laquo;&Egrave; giunto il momento che il motore torni ad essere il centro di tutto. Mi piace l&rsquo;idea di guardare verso il basso e intravedere il cuore pulsante che anima la moto&raquo;.    IN MARCIA  La posizione di guida &egrave; eccellente, si ha letteralmente l&rsquo;impressione di essere tutt&rsquo;uno con la moto. La sella bassa (650 mm) e stretta all&rsquo;anteriore consente di &ldquo;inserirsi&rdquo; perfettamente nel mezzo e di sentire il serbatoio tra le ginocchia. Il manubrio dotato di traversino &egrave; largo e offre un&rsquo;impugnatura abbastanza bassa che asseconda la visibilit&agrave;. Le pedane a mezzaluna sono molto comode e consentono una posizione naturale. Per chi ha il piede particolarmente grande o vuole comunque spaziare avanti e indietro sulle pedane &egrave; consigliabile eliminare la leva che fa da bilanciere al comando del cambio e usufruire unicamente della leva singola. La Slim &egrave; ben bilanciata e se non viene piegata oltre il dovuto non segnala gli oltre tre quintali di peso, e il serbatoio da 18,9 litri &egrave; capiente ma non ingombrante. La moto &egrave; dotata di serie di antifurto con telecomando con funzione di riconoscimento a distanza e concede la possibilit&agrave; di avviare il motore senza introdurre la chiave (&egrave; sufficiente averla in tasca). Una volta avviato, il motore di 1.690 cm&sup3; raffreddato ad aria si fa notare per la sua voce roca che denuncia la grossa cubatura e per l&rsquo;assenza di vibrazioni, grazie al contralbero di bilanciamento che contraddistingue i motori della serie Twin Cam B. Appena si &egrave; in movimento l&rsquo;eccellente posizione di guida mette subito a proprio agio e il largo manubrio trasmette una piacevole sensazione di dominio sul mezzo. Non ci sono vibrazioni fastidiose, solo il cupo rullare del motore che con la sua coppia poderosa trasmette la sensazione di poter divellere qualsiasi cosa si trovi sul proprio cammino. I comandi sul manubrio sono posizionati secondo la formula classica Harley e il comando della frizione risulta molto morbido e modulabile. Il baricentro &egrave; basso e le ruote di 16&rdquo; contribuiscono ad abbassarlo ancora di pi&ugrave;. Nonostante il notevole interasse, la misura contenuta dei pneumatici in larghezza concede alla moto una insospettabile maneggevolezza, e appena presa un po&rsquo; di confidenza non ci si ricorda pi&ugrave; di stare portando a passeggio oltre 300 chili di acciaio e alluminio &ldquo;made in USA&rdquo;... Purtroppo, oltre al baricentro, anche le pedane poggiapiedi sono molto vicine a terra e basta veramente poco per grattarle sull&rsquo;asfalto. Poco male, sono comunque pieghevoli e quindi fino a un certo livello non intralciano la traiettoria impostata. L&rsquo;inserimento delle marce &egrave; quello classico delle Harley con spaziature notevoli della leva, ma tutto sommato abbastanza preciso, e le sei marce disponibili sono divise in modo impeccabile, cos&igrave; da consentire di godere appieno delle sensazioni che il grosso bicilindrico sa offrire. Un singolo freno anteriore a disco &ndash; pi&ugrave; uno al posteriore - non &egrave; certo l&rsquo;ideale per fermare una moto di questa mole, ma certamente anche l&rsquo;occhio vuole la sua parte, e l&rsquo;avantreno visto dal lato destro &egrave; indiscutibilmente piacevole. L&rsquo;ABS &egrave; di serie, ma anche questo (a nostro giudizio) &egrave; migliorabile. C&rsquo;&egrave; comunque da dire che chi sceglie la filosofia motociclistica proposta dalla Harley-Davidson non cerca certo le staccate al limite o l&rsquo;inserimento estremo in curva, quindi la Slim svolge egregiamente il compito per il quale &egrave; stata concepita, e in pi&ugrave; porta degnamente in s&eacute; il carisma esclusivo che questo marchio sa offrire.  

Harley-Davidson Softail Slim

Design ricercato, finiture di classe, e borse rigide che si integrano perfettamente nelle sue linee sinuose. Il tutto condito da cromature sfavillanti e dimensioni &ldquo;yankee&rdquo;. Ma c&rsquo;&egrave; anche molta sostanza data da un propulsore potente, sospensioni all&rsquo;altezza e ABS di serie. Servono 18.990 Euro per avere questo oggetto esclusivo che non passa certo inosservato  &nbsp;  All&rsquo;ora dell&rsquo;aperitivo fare un giro per il centro della citt&agrave; per parcheggiare la moto di turno in prova davanti a qualche locale molto &ldquo;cool&rdquo; serve per capire molte cose. Si arriva con calma, con disinvoltura ci si toglie il casco e in disparte si scrutano le reazioni di chi passa. Costa un&rsquo;overdose di caffeina ma vale bene il piacere di &ldquo;capire l&rsquo;effetto che fa&rdquo; su quanti, anche non motociclisti, passandole accanto ne rimangano colpiti e si soffermano ad ammirarla. Giovani e meno giovani, persino le mamme, i cui bambini vogliono salirci come sulla giostrina del supermercato, chiedendo un cenno di assenso, con questa Victory finiscono per domandarsi: &laquo;ma che moto &egrave;?&raquo;&nbsp; La Cross Roads non passa certo inosservata perch&eacute; si tratta di un mezzo esclusivo cui nessuno pu&ograve; rimanere indifferente. Ed oggi in molti hanno voglia pi&ugrave; che mai di distinguersi dalla massa. &Egrave; uno degli assi in mano alla Victory: essere ancora un marchio di nicchia che per&ograve; tra gli appassionati ha gi&agrave; una sua schiera di estimatori.  DA FERMO  L&rsquo;elemento centrale &egrave; il propulsore, con la splendida finitura dell&rsquo;alettatura dei cilindri che si accompagna alle cromature dei coperchi delle teste e a quelli inferiori del blocco motore e del cambio. Tutto intorno, il serbatoio, la sella e le bandelle laterali sono ben raccordate in un insieme armonico in cui anche le borse rigide, che contraddistinguono questo modello, si raccordano perfettamente, alleggerite dai fregi cromati. Gradevole la copertura anteriore che nasconde alla vista il radiatore dell&rsquo;olio, le cui forme sono ulteriormente dissimulate dal perimetrale cromato che salvaguardia l&rsquo;integrit&agrave; sua e del propulsore tutto, in caso di cadute accidentali. Persino l&rsquo;esteso parabrezza si integra col disegno complessivo della moto, certamente imponente ma non &ldquo;pesante&rdquo; alla vista, grazie al sapiente dosaggio di cromo e vernice nera. Anche il faro anteriore, che riprende il &ldquo;family feeling&rdquo; Victory, come accade in campo automobilistico appare non scontato, sebbene sia molto meglio riuscita la fanaleria posteriore, davvero originale, che caratterizza e snellisce. Curati e niente affatto scontati i cerchi a sei razze cave con bordi lucidati. Lunghissimi, ma molto discreti nel design (e parimenti nel sound) gli scarichi che appena si scorgono sotto le borse e che sono interamente ricoperti, fin dai collettori, da paratie paracalore.    &nbsp;  IN SELLA  La Cross Roads fa parte della gamma touring di Victory e, non appena in sella, se ne comprende il motivo. La posizione &egrave; molto comoda e, nonostante l&rsquo;imponenza del mezzo, la sua snellezza, nella zona in cui il serbatoio si raccorda alla sella, permette di poggiare saldamente i piedi a terra. Una volta in movimento questi vanno accomodati sulle abbondanti pedane, poste molto avanti, diciamo all&rsquo;altezza delle mani sul manubrio, permettendo di assumere una postura tipicamente &ldquo;custom&rdquo; ma ugualmente favorevole alla guida, grazie anche al sostegno lombare offerto dall&rsquo;ampia e morbida seduta ed alla triangolazione regalata dall&rsquo;enorme manubrio. Su questo spicca la ricercatezza delle coperture degli snodi delle leve, molto aerodinamiche e piacevoli alla vista. Ribadiamo che le manopole, esattamente come fa la concorrenza, per qualche oscuro motivo, sono piuttosto voluminose. Gi&agrave; che siamo in tema, se pensate di farne un uso invernale, come il clima che ci ha accompagnato in questo test, suggeriamo di richiedere quelle riscaldate dato che sono disponibili come optional. Il parabrezza, che non intralcia la vista, permette di viaggiare protetti, originando per&ograve; qualche turbolenza in prossimit&agrave; del casco, a velocit&agrave; autostradali. Quando non c&rsquo;&egrave; bisogno di &ldquo;apri e chiudi&rdquo; &egrave; di grande utilit&agrave; il cruise control, di serie, posto sotto l&rsquo;acceleratore su cui agisce in modo misto, ossia meccanico ed elettronico, e il cui azionamento &egrave; intuitivo. Anche le borse rigide, dove &egrave; possibile stivare fino ad 80 litri, inneggiano alla vocazione turistica, ma tornano comode anche in citt&agrave;: attenzione per&ograve; che le valigie si scaldano alla base che &egrave; poco sopra gli scarichi. Ecco, la metropoli: forse &egrave; questo l&rsquo;habitat a lei meno consono. Il problema non &egrave; tanto la sua maneggevolezza. Certo non gira in un &ldquo;fazzoletto&rdquo; e nelle svolte agli incroci bisogna fare un po&rsquo; pi&ugrave; di attenzione del solito; le manovre in sella sono giusto un po&rsquo; pi&ugrave; impegnative che con un&rsquo;altra moto, e quelle a spinta si avvantaggerebbero di una maniglia, inconciliabile col suo design, ma ben presto si fraternizza con le sue doti da maggiorata. Il vero limite &egrave; che non pu&ograve; sgattaiolare tra le auto in coda e, per parcheggiarla, serve del posto! Velluto... &egrave; la fragranza di caff&egrave; favorita da quel noto attore, appassionato di custom, di Italia e di&hellip; italiane. Gli piacerebbe anche questa moto dal comportamento che viene da definire vellutato. &Egrave; evidente nell&rsquo;affrontare un susseguirsi di curve a velocit&agrave; &ldquo;brillante&rdquo;, grande la naturalezza con cui la si indirizza mentre lei, placida, asseconda i gesti. Gi&agrave; perch&eacute; le curve normalmente sono un terreno, ritenuto dai pi&ugrave;, ostico per questo tipo di moto che nascono in una terra in cui le strade sono larghe e dritte. E invece no. Lei va gi&ugrave; in piega, di nuovo su e subito &egrave; pronta per un&rsquo;altra curva. Sar&agrave; il telaio in alluminio, sar&agrave; la gommatura studiata ad hoc ma non c&rsquo;&egrave; dubbio che sia piacevole portarla a spasso. Certo bisogna usarla un po&rsquo; per prenderci la mano perch&eacute; stiamo sempre parlando di una moto di oltre due metri e sei, con un interasse di 1.670 mm e un peso di 340 kg dichiarati, ma &egrave; proprio rileggendo questi dati che ci si stupisce del suo comportamento amichevole su strada. Il merito va anche al generoso propulsore, di oltre 1.700 cm3, la cui coppia concorre a quella sensazione di guida sul &ldquo;velluto&rdquo; e che risponde in maniera pronta ai comandi impartiti consentendo un ridotto uso del cambio: questo, pur risultando rumoroso, come si conf&agrave; ad una custom, ha innesti precisi ed una spaziatura corretta con una sesta di &ldquo;ampio respiro&rdquo; che permette di viaggiare a 90 km/h a soli 2.000 giri, con le &ldquo;good vibrations&rdquo; tipiche dei grossi V-twin che solleticano dolcemente le parti basse. Solo in prossimit&agrave; dei 3.500 giri origina qualche vibrazione parassita, avvertibile sulla pedana destra, mentre insistendo col gas, diviene mano a mano pi&ugrave; ruvido fino all&rsquo;approssimarsi del regime massimo, posto oltre i 5.000 giri (nelle marce basse quando non c&rsquo;&egrave; alcuna limitazione elettronica). Ma &egrave; vero che difficilmente lo si usa a questi regimi, perch&eacute; d&agrave; il meglio di s&eacute; pi&ugrave; in basso. Buono il lavoro delle sospensioni, la cui taratura pur garantendo una guida dalle belle sensazioni, consente di assorbire bene le asperit&agrave; stradali e di passare indenni persino sui dossi artificiali pi&ugrave; sfacciati, senza ripercussioni sulla schiena n&eacute; reazioni scomposte della ciclistica. Resta da dire dei freni il cui comportamento, nel corso della presentazione tenutasi oltre un anno fa, ci aveva lasciato un po&rsquo; perplessi per la facilit&agrave; del bloccaggio del posteriore, al punto da auspicare l&rsquo;introduzione del sistema ABS. Tutte le versioni 2012 sono infatti dotate del sistema antibloccaggio di serie.  

Victory Cross Roads Hard Bags

Per il 2012 la Casa di Akashi ipoteca il primato della moto pi&ugrave; potente con la nuova ZZR 1400, che oltre all&rsquo;eccezionale propulsore stupisce per l&rsquo;ottimo comportamento della ciclistica. L&rsquo;abbiamo portata (quasi) al limite a Nard&ograve;  &nbsp;  Pesantemente castigati da sistemi Tutor, rilevatori al laser e colonnine Autovelox, gli amanti della velocit&agrave; da qualche tempo hanno dovuto raffreddare i propri bollenti spiriti, rassegnandosi ad andature rispettose dei limiti. Kawasaki, invece, non pare curarsi troppo di limiti e controlli e aggiorna la gi&agrave; esuberante ZZR 1400 con modifiche mirate proprio a migliorarne il comportamento in accelerazione e alle alte velocit&agrave;. Questa moto voluminosa, lunga e non troppo leggera, &egrave; in grado di dare soddisfazioni particolari, grazie a una ciclistica estremamente sincera e precisa, una maneggevolezza migliore di quel che si potrebbe pensare e un motore esageratamente generoso e potente. Un ben noto spot pubblicitario recitava: &ldquo;la potenza &egrave; nulla senza controllo&rdquo;, parole azzeccatissime anche per la ZZR 1400, che mette l&rsquo;elettronica a bada dei propri 200 CV offrendo una doppia mappatura della centralina e il controllo di trazione KTRC regolabile su tre livelli, oltre all&rsquo;ormai quasi scontato ABS. Il risultato &egrave; una moto che ha tanta potenza e un peso non indifferente, ma risulta perfettamente gestibile, relativamente maneggevole e pienamente in linea col proprio ruolo da sport tourer, oltre ad essere capace di raggiungere in un attimo i 299 km/h (autolimitati).  DA FERMO  I volumi non certo ridotti di questa Kawasaki stabiliscono subito un certo rispetto da parte di chi la osserva, mentre il profilo piuttosto basso la fa sembrare decisamente pi&ugrave; lunga di quella che effettivamente misura. Nella vista frontale si evidenziano i nuovi gruppi ottici, che ora sono due, lunghi e sottili, ognuno con due proiettori all&rsquo;interno, mentre il resto della carena non presenta variazioni di spicco, se non alcuni accorgimenti aerodinamici. Restano quindi il cupolino largo e basso con la voluminosa presa d&rsquo;aria dinamica centrale e gli ampi sfoghi d&rsquo;aria del radiatore dotati di vistose alettature. Alettature simili appaiono anche sui supporti degli specchi retrovisori e sulle protezioni della forcella e sono il frutto di attenti studi aerodinamici per migliorare la stabilit&agrave; alle alte velocit&agrave;. Il corpo centrale della moto si assottiglia parecchio per cercare la migliore abitabilit&agrave; per il pilota, mentre la parte posteriore torna a diventare voluminosa per la presenza dei due imponenti terminali di scarico. In opzione a questi, la Casa propone come accessorio due terminali Akrapovic in titanio, che permettono un risparmio di peso di 7 kg. Anche il comfort sulle lunghe percorrenze &egrave; stato particolarmente curato tramite l&rsquo;adozione di una sella di nuova conformazione, il riposizionamento delle pedane e l&rsquo;offerta di un cupolino pi&ugrave; protettivo dotato di spoiler. Per parcheggiarla ci si deve accontentare della stampella laterale, perch&eacute; il cavalletto centrale &egrave; fornito solo su richiesta. Il colore non poteva essere altro che il classico verde della Casa in una bella versione metallizzata, che in alternativa ha solo un pi&ugrave; elegante nero.    &nbsp;  IL TEST  Per mostrare appieno le notevoli doti propulsive e ciclistiche della ZZR 1400, la Casa di Akashi non poteva fare scelta migliore che portarci al Technical Center di Nard&ograve;, nei pressi di Taranto, complesso dotato di oltre 75 km di piste dedicate allo sviluppo e test di veicoli a motore, unico in Europa grazie ad un anello di velocit&agrave; di circa 12 km di lunghezza. L&rsquo;anello &egrave; composto da 4 corsie per auto e moto, progressivamente inclinate per poter guidare fino ai 240 km/h come se si fosse in un rettilineo infinito. Noi di In Moto, primi tra le riviste di settore, abbiamo iniziato a frequentare questo impianto &ldquo;nel secolo scorso&rdquo; (1995) tornandoci regolarmente anche per i nostri record di velocit&agrave; con Pirelli e la Suzuki Hayabusa, e qualcuno ricorder&agrave; la prima foto dello strumento a 300 orari con la macchina fotografica montata sulla piastra della forcella della Honda CBR 1100 XX. Il programma del test prevede l&rsquo;esperienza decisamente unica di percorrere qualche giro dell&rsquo;anello a velocit&agrave; crescente, fino a restare a gas spalancato in sesta! A parte il fatto che non capita tutti i giorni di guidare una due ruote da 200 CV, quello che ci fa pensare &egrave; il restare a 299 km/h per cos&igrave; tanto tempo, in un ambiente diverso da tutto ci&ograve; a cui siamo abituati. La curiosit&agrave;, mescolata a un po&rsquo; di apprensione, si fa sempre pi&ugrave; forte. Il rispettabile peso di 268 kg dichiarati non riesce a nascondersi sotto alla carena di questa super Kawa e al primo contatto da ferma non pare troppo amichevole. Basta per&ograve; montare in sella per trovare un ottimo comfort e due semimanubri che non sono cos&igrave; bassi come pensavamo. Per stringere i lati di serbatoio e carena le gambe sono costrette in una posizione un po&rsquo; aperta, in compenso le pedane sono comode e lasciano le ginocchia poco piegate. Anche il manubrio risulta comodo perch&eacute;, non troppo lontano dalla sella, permette al busto di non doversi inclinare troppo in avanti, sgravando molto peso da braccia e polsi. Teniamo a precisare che stiamo ragionando sui parametri relativi a una sport touring e non su quelli di una vera turistica. Cos&igrave; da fermi, il cupolino pare largo, ma molto basso per poter offrire grande protezione, ma nel corso della prova ci ricrederemo. La sella &egrave; sufficientemente bassa per permettere un buon appoggio a terra dai nostri 175 cm di statura, ma la massa della moto non ci rende la vita facile se cerchiamo di manovrare restando in sella, cos&igrave; in alcuni casi preferiamo scendere per fare retro, situazione in cui manca un&rsquo;ampia maniglia.  UNA VOLTA messo in moto manovriamo con un po&rsquo; di attenzione (il peso si sente...) per uscire dal parcheggio e alle bassissime andature gas e frizione ci vengono incontro con una modulabilit&agrave; perfetta, che trasmette un immediato feeling. Aumentando leggermente l&rsquo;andatura il peso scompare per buona parte, lasciando il posto a un facile e intuitivo controllo della moto. Le sospensioni lavorano parecchio sulle asperit&agrave; regalando parecchio comfort, ma filtrando parzialmente anche le sensazioni che arrivano dall&rsquo;asfalto. Nonostante questo setting tendente al morbido, il buon sostegno di mono e forcella contiene alla grande i trasferimenti di carico, anche nelle corposissime accelerazioni e nelle frenate pi&ugrave; decise. Proprio per provare questo tipo di comportamento ci spostiamo in un&rsquo;apposita area di Nard&ograve; dove effettuiamo accelerazioni e frenate. Qui proviamo una dozzina di lanci a gas spalancato, o perlomeno ci proviamo ad aprirlo tutto! La ZZR ci spara ogni volta fuori dalla linea di partenza come una fionda e rispetto ai tentativi da fermo, in cui modulare 200 CV con la frizione non &egrave; cosa immediatamente facile, restiamo impressionati dalle partenze lanciate a 40 km/h in seconda, dove la progressione del contagiri dai 4.000 agli 11.000 giri &egrave; impressionante, tanto che sembra di essere su un dragster. Un punto assolutamente positivo della ZZR &egrave; il sistema ABS, che ci ha dato uno dei migliori feeling di sempre, grazie a un intervento davvero poco invasivo, che trasmette ottima confidenza e permette, dopo qualche tentativo, di effettuare frenate al limite a 200 km/h con grande scioltezza. Anche se gli spazi di frenata saranno influenzati dal peso, il comportamento in staccata &egrave; da 10 e lode, grazie anche al buon sostegno della forcella e all&rsquo;ottima modulabilit&agrave; e potenza della leva al manubrio. Dopo un lancio di qualche chilometro, sulla terza corsia dell&rsquo;anello abbiamo provato la velocit&agrave; massima. Gli spazi enormi del circuito e l&rsquo;ottima stabilit&agrave; della ZZR fanno sembrare i 200 km/h una tranquilla andatura da viaggio autostradale. Ci stupisce anche quanto poco basti abbassarsi per essere protetti dal cupolino e viaggiare rilassati! Aprire il gas a manetta a questa velocit&agrave; e con la sesta inserita vuole dire trovarsi con la lancetta sui 270 orari in un attimo e con la moto che ancora fila via bella liscia. Abbiamo raggiunto il confine oltre il quale la faccenda si fa pi&ugrave; impegnativa. Da qui in poi l&rsquo;ago rallenta la sua corsa e l&rsquo;avantreno comincia a mostrare qualche imprecisione. Si arriva comunque in fretta oltre il fondoscala, fin quando il limitatore comincia a intervenire a ripetizione per tenerci a 299 km/h, con il propulsore che ne avrebbe ancora e urla bloccato a 11.000 giri. Il busto &egrave; sdraiato sul serbatoio, ma il casco possiamo permetterci di tenerlo un po&rsquo; sollevato per vedere meglio innanzi a noi. La moto non vibra pi&ugrave; di tanto, ma serpeggia leggera e costante, richiedendo attenzione. Oltretutto siamo oltre la velocit&agrave; di compensazione della pista, quindi dobbiamo pensare anche a curvare leggermente a sinistra. Stiamo percorrendo 83 metri al secondo e tre chilometri di pista ce li beviamo in circa 40 secondi. Si tratta di una dimensione che non si pu&ograve; conoscere altrove. La pista di handling &egrave; un tracciato dalle varie configurazoni, che nel nostro caso si presenta con un lungo rettilineo e un tratto guidato che alterna curve lente e veloci. Adottando una guida sciolta e pulita, la ZZR risponde in maniera molto coerente. Relativamente veloce nei cambi direzione, richiede pi&ugrave; impegno per arrivare alla corda a centro curva e mantenere la traiettoria. La ciclistica resta comunque precisa e non accusa movimenti o perdite di assetto. Il propulsore &egrave; un vero portento visto che dai 4.000 giri fornisce una montagna di coppia e una progressione impressionante. Proviamo a percorrere il tratto misto con una sola marcia, seconda, terza o quarta e la cosa non cambia, perch&eacute; in uscita dalle curve continuiamo a gustarci accelerazioni corposissime. Facciamo qualche tentativo col KTRC: a livello 3 &egrave; troppo invasivo e taglia violentemente in uscita di curva alterando l&rsquo;assetto, mentre a livello 2 o 1 si mostra pi&ugrave; adatto alla guida sportiva intervenendo solo in caso di evidenti perdite di aderenza e limitando in maniera molto utile le impennate in uscita dalle curve lente. La ZZR non &egrave; pensata per un uso spinto in pista e risente principalmente del limite dato dal notevole peso. Le staccate e gli ingressi in curva sono le fasi che richiedono pi&ugrave; accortezza e dopo pochi giri la corsa della leva destra si allunga. Il freno posteriore ha buona sensibilit&agrave; per la pista e proprio per questo ci fa pensare che nell&rsquo;uso a pieno carico possa essere poco potente, ma avremo modo di appurarlo meglio in futuro.  

Kawasaki ZZR 1400

Moto nuova, vecchie sensazioni. Restano la livrea inconfondibile e il gusto della velocit&agrave;. &Egrave; sempre una delle migliori scelte per chi vuole una moto sportiva adatta sia all&rsquo;uso su strada sia a quello in circuito  &nbsp;  L&rsquo;ultima nata nella famiglia delle GSX-R ha la stessa filosofia costruttiva delle sue antenate, per&ograve; &egrave; stata perfezionata. Merito di una ottima base tecnica, arricchita con componenti di eccellente qualit&agrave; (le nuove pinze freno Brembo color oro catturano l&rsquo;attenzione e contribuiscono a migliorare il rendimento della moto in staccata) e alleggerita per migliorare la guidabilit&agrave; e la fruibilit&agrave;. Blu e bianco, perfettamente &ldquo;mixati&rdquo; per ottenere grafiche appariscenti. &Egrave; questo che gli appassionati si aspettano dalle sportive giapponesi ed &egrave; questo che Suzuki ha realizzato, puntando, come al solito, su linee spigolose, che rendono la GSX-R 1000 particolarmente minacciosa. In realt&agrave;, grazie anche alle modifiche apportate al propulsore, che hanno migliorato molto l&rsquo;erogazione, ora pi&ugrave; fluida, la moto si guida benissimo anche ad andature da passeggio, perch&eacute; il tiro in basso &egrave; aumentato e la risposta al gas &egrave; diventata ancora pi&ugrave; progressiva.  DA FERMO  Dal punto di vista del design, Suzuki &egrave; senza dubbio una delle aziende pi&ugrave; conservative, almeno per quanto riguarda le supersportive. Ma ben guardare la nuova GSX-R 1000 ha un aspetto pi&ugrave; snello. Merito di alcune plastiche inedite ma soprattutto della scelta di utilizzare un solo terminale di scarico. Sulla vecchia versione infatti i due terminali rendevano il design del retrotreno troppo massiccio. Ora questo problema &egrave; stato risolto, anche se il nuovo silenziatore &egrave; ancora un po&rsquo; grosso e non &egrave; in armonia con il resto. Il taglio del nuovo gruppo ottico anteriore &egrave; pi&ugrave; aggressivo, anche se &egrave; sempre caratterizzato dal doppio fanale sovrapposto. Al retrotreno c&rsquo;&egrave; un fanale a led. La colorazione che sicuramente sar&agrave; pi&ugrave; apprezzata come la blu e bianca. Bellissime le pinze radiali monoblocco ad attacco radiale della Brembo: sono particolarmente visibili, perch&eacute; verniciate di color oro e dal punto di vista strutturale hanno poco da invidiare ai componenti da corsa. Rivisto il cruscotto. Le forme non cambiano, per&ograve; ora lo sfondo non &egrave; pi&ugrave; bianco ma nero. Ben fatto il telaio a doppio trave in alluminio, che ha forme sinuose e lascia in vista una parte della meccanica. Anche il forcellone &egrave; realizzato in alluminio ed ha la capriata di rinforzo. Le finiture non sono affatto male e convince anche la scelta di utilizzare delle plastiche che ricordano la trama del carbonio. Le frecce posteriori sono inglobate nel codino che ora &egrave; pi&ugrave; appuntito. Gli indicatori di direzione anteriori, invece, sono sempre montati all&rsquo;interno degli specchietti retrovisori. Nel complesso, quindi, la linea della moto risulta ancora pi&ugrave; &ldquo;pulita&rdquo; di prima. La nuova Suzuki GSX-R 1000 &egrave; gi&agrave; disponibile nelle concessionarie. Fino al 31 marzo coster&agrave; 13.500 Euro. Dall&rsquo;1 aprile, per portarsi a casa la 1000 di Hamamatsu occorreranno 15.100 Euro. Un bell&rsquo;incentivo per affrettarsi. I prezzi si intendono franco concessionario.    &nbsp;  LA GUIDA  SULLA nuova GSX-R 1000, come in passato, si sta comodi, anche se ora si avverte un maggiore carico sui polsi. Il compromesso trovato, comunque, &egrave; buono perch&eacute;, guidando al limite, si riesce ad instaurare un buon feeling con l&rsquo;avantreno, senza faticare pi&ugrave; del dovuto. Il piano di seduta non &egrave; molto alto, pertanto la moto risulta pi&ugrave; adatta ai piloti di bassa e media statura, piuttosto che a quelli alti. La sella, ben imbottita, &egrave; dotata di un rivestimento meno scivoloso, rispetto a quello utilizzato sul precedente modello. Il miglioramento, quindi, c&rsquo;&egrave;, per&ograve; ancora il grip non &egrave; quello che servirebbe per guidare bene in circuito. Abbiamo apprezzato la possibilit&agrave; di variare la posizione delle pedane. In configurazione standard sono troppo avanzate ma &egrave; sufficiente una chiave a brugola e pochi minuti per aumentare l&rsquo;arretramento, rendendo la moto pi&ugrave; adatta all&rsquo;uso in circuito. I comandi al manubrio sono ben posizionati e quindi facili da usare. Pertanto, effettuare il cambio della mappatura della centralina &egrave; davvero un gioco da ragazzi. Il pulsante che gestisce questa funzione, infatti, &egrave; sempre a &ldquo;portata di dito&rdquo; e nelle fasi pi&ugrave; concitate della guida bisogna addirittura stare attenti a non urtarlo inavvertitamente. Il motore &egrave; nettamente migliorato. Non &egrave; la potenza massima ad impressionare, quanto il salto di qualit&agrave; fatto a livello di erogazione e risposta al gas. Inoltre, ora il quadricilindrico di Hamamatsu ai bassi e medi regimi ha una spinta davvero incredibile che, una volta raggiunti i 7.500 giri, aumenta, garantendo accelerazioni paragonabili alle vere moto da corsa! Quando si apre il gas, la moto non si scompone. Da subito si avverte un repentino aumento della velocit&agrave;, che sale costantemente, insieme al sound di scarico ed a quello di aspirazione. L&rsquo;arco di utilizzo &egrave; molto ampio, caratteristica che consente di guidare subito di buon passo. Anche uscendo dalle curve con il motore ai bassi regimi (circa 5.000 giri), grazie alla notevole coppia, l&rsquo;asfalto &ldquo;corre&rdquo; veloce sotto le ruote. Poi, oltrepassati i 7.500 giri, la potenza inizia a farsi sentire e l&rsquo;ago del contagiri arriva velocemente a 13.000 giri. Il limitatore &egrave; posizionato a circa 14.000 giri ma non serve spingersi a tale limite, perch&eacute; negli ultimi 1.000 giri la spinta cala sensibilmente. Quello che c&rsquo;&egrave;, comunque, basta e avanza. Anzi, tra una curva e l&rsquo;altra conviene sfruttare il tiro ai medi piuttosto che l&rsquo;allungo, buono ma non eccezionale. Il cambio funziona bene. Gli innesti sono morbidi e precisi e la leva ha una corsa contenuta. Aumentando il ritmo, si nota una maggiore ruvidit&agrave; di funzionamento e per effettuare correttamente il cambio di rapporto, bisogna chiudere completamente il gas. Ottimo il lavoro svolto dalla frizione antisaltellamento, che permette di effettuare staccate al limite in piena sicurezza, anche quando &egrave; necessario utilizzare la prima marcia. Il nuovo propulsore Suzuki, come il vecchio, ha tre mappature (A, B e C).In pista la scelta migliore &egrave; sicuramente la A, che assicura il massimo livello prestazionale. Per&ograve;, se le condizioni dell&rsquo;asfalto non sono ottimali o se si usa la moto su strada, la mappatura B rappresenta un ottimo compromesso: ai bassi e medi regimi, infatti l&rsquo;erogazione diventa meno corposa ed il motore pi&ugrave; facile da usare. A livello di potenza massima non cambia nulla, pertanto in rettilineo la perdita di velocit&agrave; &egrave; minima. La mappatura C, invece, &egrave; pensata per migliorare la guidabilit&agrave; sull&rsquo;asfalto bagnato. La riduzione della potenza erogata &egrave; consistente e, su tutto l&rsquo;arco di utilizzo &egrave; quantificabile in un - 30%.  AZZECCATE, quindi, le modifiche al motore. Ma il salto in avanti della GSX-R 1000 &egrave; merito anche di una nuova e migliore messa a punto della ciclistica. Le sospensioni sembrano identiche a quelle dal precedente modello ma al loro interno sono state fatte alcune modifiche. Risultato: la forcella ha una maggiore scorrevolezza e, quando si va alla ricerca del limite, riesce a trasmettere un maggiore feeling. Inoltre, nei tratti sconnessi copia molto bene le asperit&agrave; e mantiene la ruota anteriore incollata all&rsquo;asfalto. Nonostante gli ingegneri Suzuki abbiano scelto una taratura pi&ugrave; morbida, infine, l&rsquo;equilibrio ciclistico della GSX-R 1000 resta sempre da riferimento. Migliorato anche il rendimento dell&rsquo;ammortizzatore. In accelerazione, inizialmente, si ha l&rsquo;impressione di avvertire un eccessivo trasferimento di carico, per&ograve;, quando si inizia a fare sul serio, ci si rende conto di avere sempre molta trazione a disposizione, anche quando si vogliono utilizzare tutti i cavalli a disposizione. Solo in uscita da tornanti, con la prima marcia inserita e spalancando completamente il gas, si avverte uno spin della ruota posteriore, facilmente gestibile, per merito dell&rsquo;azzeccata distribuzione dei pesi. Grazie all&rsquo;ottimo lavoro svolto delle sospensioni ed &ldquo;all&rsquo;operazione alleggerimento&rdquo;, la nuova GSX-R 1000 ora vanta una agilit&agrave; strepitosa, tanto che i cambi di direzione si riescono ad affrontare ad una velocit&agrave; incredibile. Molto buono anche il comportamento della moto a centro curva. La precisione direzionale e la stabilit&agrave; non mancano, pertanto &egrave; possibile raggiungere velocit&agrave; di percorrenza elevate. Solo dopo avere terminato la fase d&rsquo;inserimento in curva si riscontra un leggero sottosterzo, causato dalla mancanza di un pizzico di freno idraulico in estensione. Per risolvere il problema, senza intervenire sulle tarature, &egrave; comunque sufficiente ridurre l&rsquo;azione frenante pi&ugrave; lentamente. Continuando a parlare di freni, va detto che la stabilit&agrave; della ciclistica permette di spremere a fondo l&rsquo;impianto. Anche cos&igrave; facendo, l&rsquo;affondamento della forcella non &egrave; mai eccessivo e comunque avviene sempre in maniera progressiva. &Egrave; proprio nei freni che si trova una delle novit&agrave; pi&ugrave; interessanti. Ora c&rsquo;&egrave; molta pi&ugrave; potenza a disposizione. Nonostante questo, la modulabilit&agrave; &egrave; sempre ottima. Durante i primi giri, sembra davvero di avere a disposizione dei freni da corsa. Poi, per&ograve;, bisogna fare i conti con l&rsquo;unico, piccolo &ldquo;neo&rdquo; di questo impianto, ovvero la costanza di rendimento. Se sottoposto a lungo a stress elevati, infatti, i freni della GSX-R perdono parte della loro efficacia. La corsa della leva della pompa freno anteriore tende ad aumentare. Ad un certo punto, la situazione si stabilizza e solo a quel punto &egrave; di nuovo possibile prendere dei riferimenti attendibili in staccata. A nostro avviso, gran parte della colpa &egrave; dei tubi freno in gomma. Un componente stradale, abbinato a pinze e pompe freno racing. Insomma, senza stravolgere il progetto e senza investire cifre folli, Suzuki &egrave; riuscita a migliorare una moto che funzionava gi&agrave; egregiamente. Anche se l&rsquo;elettronica non &egrave; al livello di quella utilizzata sulle migliori supersportive, la nuova GSX-R 1000, grazie ad un motore facile da usare e ad una ciclistica equilibrata, resta una delle &ldquo;maxi&rdquo; pi&ugrave; versatili.  

Suzuki GSX-R 1000

Uno dei modelli di punta della Casa inglese, fresco di un importante rinnovamento, ora viene proposto anche nella aggressiva versione R. Poche sostanziali modifiche la trasformano in una racer. Il motore e il telaio rimangono tali, ma ora la ciclistica &egrave; davvero agile  &nbsp;  Appena un anno fa abbiamo avuto modo di provare la nuova Speed Triple. Lampante &egrave; stata la percezione di una moto totalmente nuova, finalmente facile da guidare e dalle reazioni decisamente pi&ugrave; &ldquo;svelte&rdquo;. Ora quella moto &egrave; affiancata dal modello R, che sino ad oggi non era mai esistito. Il primo pensiero &egrave; stato se ce ne fosse l&rsquo;effettivo bisogno. Al primo sguardo sembra togliere un po&rsquo; di quel carattere che sino ad oggi la Speed imponeva, con i suoi particolari non molto raffinati e senza troppe sofisticazioni. Ma una volta provata, possiamo affermare che Triumph ci ha visto lungo. Questa moto &egrave; facile, veloce, e soprattutto divertentissima: tra i cordoli del circuito di Jerez (una tra le piste pi&ugrave; impegnative e guidate), si muove come una vera racer. Il nuovo comparto sospensioni e i cerchi leggeri ne aumentano esponenzialmente le prestazioni ciclistiche, trasformandola da un&rsquo;icona modaiola a una moto di razza pura. Sar&agrave; disponibile tra pochissimi giorni nei concessionari, nei colori phantom black, nero, e crystal white, bianco, al prezzo di 14.495 Euro chiavi in mano (15.095 Euro con ABS disinseribile).  DA FERMO  Le differenze dalla &ldquo;Triple&rdquo; standard sono poche ma essenziali. Al primo sguardo colpisce l&rsquo;imponente forcella Ohlins, che, con il nobile color oro, attira l&rsquo;attenzione, facendo capire che si tratta di cosa veramente preziosa. In secondo luogo colpiscono i cerchi forgiati, dall&rsquo;aspetto minimalista, ma ricercato. Le razze sono rastremate al massimo, con lavorazioni eseguite alle macchine utensili, che fanno molto &ldquo;racing&rdquo;. Infine &egrave; impossibile non notare le poderose pinze radiali monoblocco della Brembo, che da sole la dicono lunga sui propositi di questa moto. Per il resto rimane fedele alle forme della sua progenitrice, e a parte il nuovo ammortizzatore posteriore, la differenza estetica pi&ugrave; evidente consiste nei nuovi inserti in carbonio su alcuni pannelli della carrozzeria. La nuova Speed Triple R mantiene inalterati i tratti cardini del suo design. Il tipico doppio fanale, il serbatoio benzina imponente e i due immancabili scarichi sovradimensionati sotto il rastremato codino, sono i lineamenti di questa moto, che nel tempo possono evolversi, ma non cambiare. In generale, l&rsquo;aspetto di questo nuovo modello appare pi&ugrave; sontuoso, e ricercato, trasuda ricchezza e abbondanza, come se la Casa inglese volesse fare un regalo ai fedeli della &ldquo;grossa&rdquo; di Casa Triumph.    &nbsp;  LA GUIDA  La posizione di guida della R &egrave; identica al modello standard. Si &egrave; seduti su una moto comoda, con il manubrio che non costringe il pilota a protendersi in avanti, mantenendo una posizione eretta e molto confortevole. Le gambe rimangono libere di muoversi una volta in sella, grazie alla posizione delle pedane che non le costringe ad angoli impossibili. La zona sella-serbatoio &egrave; rastremata e permette di toccare bene a terra con i piedi una volta fermi. In movimento ti accorgi subito del notevole passo avanti che i tecnici hanno compiuto nello sviluppo del comparto sospensioni. Il lavoro svolto in pista in collaborazione con Ohlins ha indubbiamente trasformato una moto da citt&agrave; in una racer agile e veloce, la quale, nonostante l&rsquo;aspetto tutt&rsquo;altro che racing, si comporta egregiamente tra i cordoli. Il rinnovato telaio della Speed Triple accoglie di buon grado le modifiche attuate, svelando doti atletiche, sino ad oggi nascoste.  Mai ci saremmo aspettati tanta agilit&agrave; da un Speed. Nel tortuoso e tecnico tracciato spagnolo, si muove disinvolta e si comporta come una moto adatta a questo scopo. A basse andature si dimostra comoda e facile da gestire, il comportamento dinamico &egrave; armonioso e si lascia guidare senza alcuna particolare precauzione. La risposta del motore &egrave; sempre dolce e non si avverte alcuno strappo nemmeno se si ruota decisamente l&rsquo;acceleratore, facendo salire il motore dai regimi pi&ugrave; bassi. Il regime di giri ideale per andare &ldquo;a spasso&rdquo; si aggira dai 3.000 ai 6.000 giri, dove si gode di una buona dose di coppia, e si riesce a sfruttare una sola marcia per lunghe tratte. Caratteristica che ricorda molto la vecchia Speed, anche se sotto l&rsquo;aspetto ciclistico si avverte immediatamente un netto miglioramento. Alzando il ritmo, al contrario di quello che accadeva in passato, ci si trova tra le mani una moto veloce ed efficace, che non stanca, ma diverte. L&rsquo;anteriore &egrave; solido e molto comunicativo: nonostante una taratura piuttosto cedevole, si inserisce nelle curve con estrema rapidit&agrave; e si dirige verso la corda senza dover &ldquo;tirare la moto per le corna&rdquo;, come accade con il modello gi&agrave; esistente. Anche a centro curva il comportamento della forcella svedese &egrave; irreprensibile: al rilascio del freno anteriore risponde in modo armonico estendendosi in modo neutro e graduale. Questo permette alla moto di mantenere la traiettoria, spostando gradualmente il carico al posteriore. Quest&rsquo;ultimo ci &egrave; piaciuto in modo particolare, il nuovo TTX 36 &egrave; stato sviluppato egregiamente su questa ciclistica. In fase di accelerazione si carica progressivamente mantenendo la gomma ben salda al terreno. Nonostante le coperture prettamente stradali Pirelli Diablo Supercorsa SP (comunque adattissime all&rsquo;uso in pista anche se non racing) non abbiamo mai riscontrato perdite di aderenza in uscita di curva, segno tangibile dell&rsquo;ottimo lavoro svolto dall&rsquo;ammortizzatore. Anche nei cambi di direzione la moto &egrave; bilanciata e svelta, e, al contrario del vecchio modello, ora &egrave; molto veloce nel cambiare inclinazione, basta un tocco sul manubrio ed &egrave; subito pronta ad uscire dalla &ldquo;esse&rdquo;. In questo frangente, i cerchi forgiati fanno la differenza. Il tre cilindri di 1.050 cm3 ha mantenuto le sue peculiarit&agrave;. Possiede una spinta progressiva e lineare su tutto l&rsquo;arco di giri, e il range di utilizzo &egrave; davvero largo. Dai 5.000 giri fino ai 10.500 spinge in modo regolare senza picchi di potenza, gradendo in modo particolare la zona intorno ai 7.000-8.000 giri dove elargisce una maggiore energia, che ti tira letteralmente fuori dalle curve. Non a caso in quella zona si trova appunto il picco di coppia, che su questo motore deve essere sfruttato al massimo, per riuscire a guidare al meglio la Speed. Il nuovo cambio &egrave; nettamente migliorato, e anche se non perfetto, ora ha le marce che si inseriscono pi&ugrave; velocemente. Nella guida &ldquo;racing&rdquo; non abbiamo avuto particolari difficolt&agrave;. L&rsquo;impianto frenante &egrave; potente, le nuove pinze Brembo mordono i dischi con forza superiore alla media, e assicurano spazi di frenata molto ridotti. Aspettiamo solo di provarla su strada per vedere confermate le doti esaltate dall&rsquo;uso pi&ugrave; estremo in pista.    &nbsp;

Triumph Speed Triple R

Si migliora ancora una delle icone Ducati, che in questa versione pu&ograve; vantare tanto carbonio, componenti pregiati e l&rsquo;utile Data Analyser. Una motard che regala emozioni forti  Impossibile dimenticare le immagini di Ruben Xaus completamente di traverso in sella alla Hypermotard, col ginocchio a terra e il pollice sinistro sollevato verso il cielo. Era il 2007, anno di presentazione di questa moto che ha cambiato per sempre la storia della Ducati. Quelle foto hanno fatto innamorare tanti appassionati della Hyper, che negli anni &egrave; diventata una delle icone della nuova era della Casa di Borgo Panigale. Linee forti per emozioni forti: un design da Supermotard per una guida da ginocchio a terra. Nella versione 1100 EVO SP il gi&agrave; forte carattere della moto &egrave; stato addirittura estremizzato, anche grazie all&rsquo;esperienza fatta in pista nel Desmo Challenge. Per il 2012 la famiglia Hypermotard vede tre modelli: la pi&ugrave; abbordabile 796 (dire entry level non sarebbe appropriato...), la 1100 EVO e appunto la 1100 EVO SP Corse Edition, disponibile nella sola colorazione &ldquo;Corse&rdquo; e in vendita al prezzo di 14.105 Euro chiavi in mano. Di fatto non si tratta di un modello nuovo, bens&igrave; di una rivisitazione grafica della moto che gi&agrave; era in listino nel 2011. In questa versione, la sportivit&agrave; della Hypermotard &egrave; estremizzata grazie ad una dotazione tecnica di prim&rsquo;ordine, dal largo utilizzo di parti in fibra di carbonio, passando per diversi pezzi pregiati come ruote e sospensioni e per finire con l&rsquo;equipaggiamento di serie del DDA, ovvero il Ducati Data Analyser, optional per le altre moto della famiglia. Questo sistema, comprensivo di software per PC, scheda USB da 4 mb per il recupero dati e istruzioni, permette di analizzare le prestazioni della moto e del pilota, e di effettuare confronti tra diversi canali informativi. Il sistema registra l&rsquo;apertura del gas, velocit&agrave; del mezzo, regime del motore, temperatura del motore, distanza percorsa, giri, tempi sul giro e calcola inoltre automaticamente i dati relativi al regime del motore e velocit&agrave; del mezzo, in modo da mostrare anche la selezione delle marce come ulteriore canale informativo. Insomma, una vera acquisizione dati come sulle moto da corsa. DA FERMO  Tanto di cappello alle linee dell&rsquo;Hypermotard, che grazie alla dotazione della versione SP guadagnano qualche carato. Merito del tanto carbonio presente, a cominciare dal codino, per passare ai copricinghie del motore e i parafanghi anteriore (e copristeli forcella) e posteriore. La colorazione &ldquo;Corse&rdquo; esalta ancora di pi&ugrave; le linee della Hyper, sulla quale spicca sempre il rosso telaio a traliccio. Sembra non sentire gli anni questa Ducati, che, va ricordato, &egrave; stata svelata per la prima volta al pubblico, in versione concept, all&rsquo;EICMA di fine 2005. Basta guardarla per capire perch&eacute; abbia fatto girare la testa a tanti appassionati. In questa versione, inoltre, la grossa forcella Marzocchi di 50 mm &Oslash;, le pinze Brembo monoblocco e i cerchi forgiati Marchesini &egrave; sicuro che turberanno ancora di pi&ugrave; i sogni di chi la vorrebbe nel proprio garage. Su questa SP, nata per chi ama la pista, avremmo forse preferito un manubrio pi&ugrave; &ldquo;leggero&rdquo;, ovvero senza i paramani con frecce e specchietti integrati, croce (perch&eacute; scomodi) e delizia (in quanto vero elemento di design) della Hypermotard. Tra gli accessori sono disponibili paramani e retrovisori pi&ugrave; tradizionali, che forse avrebbero dato una piccola ventata di freschezza a questa versione. Per il resto nulla da dire: la Hypermotard 1100 EVO SP sprizza sportivit&agrave; da ogni bullone. E anche il manubrio pi&ugrave; alto lo conferma, a differenza di quanto scelsero i designer, che per la prima versione optarono per raiser molto bassi: con questa modifica, la Hyper ha un aspetto ancora pi&ugrave; motard!    IN MARCIA  Il modello SP Corse Edition &egrave; quanto di pi&ugrave; sportivo si possa chiedere a una Hypermotard. Nata per chi non ama le vie di mezzo, questa versione &egrave; dura e cruda, come una vera moto da corsa, e lo si percepisce appena si sale in sella, pi&ugrave; alta di 30 mm rispetto al modello 1100 EVO. Nei movimenti da fermo, questa differenza, fa penare parecchio chi &egrave; sotto il metro e ottanta di altezza, ma in movimento permette pieghe pazzesche, senza il rischio di fastidiosi sfregamenti delle pedane sull&rsquo;asfalto. Questa differenza, che appunto garantisce una superiore luce a terra, &egrave; stata resa possibile grazie all&rsquo;utilizzo di una grossa forcella Marzocchi di 50 mm &Oslash; con steli dotati di riporti superficiale antiattrito DLC nero e di un mono Ohlins con serbatoio separato, entrambi completamente regolabili. La differenza di altezza si percepisce appena si sale in sella, come &egrave; immediato il diverso feeling con il manubrio a sezione differenziata, ora dotato di raiser pi&ugrave; alti, in perfetto stile motard. Questa soluzione, se da un lato ha reso la moto un filo meno agile nei cambi di direzione, ha permesso di guadagnare un po&rsquo; di fiducia sull&rsquo;anteriore, da sempre poco comunicativo sulle Hyper. A ridare agilit&agrave; ci hanno poi pensato i due splendidi cerchi forgiati Marchesini in lega d&rsquo;alluminio. Verniciati di nero con banda rossa, sono il sogno proibito di ogni appassionato del marchio Ducati. Che la SP sia una moto dedicata alla pista lo si deduce anche dalle coperture: Pirelli Diablo Supercorsa SP, ovvero quanto di pi&ugrave; sportivo si possa desiderare su strada. Altra chicca di questa versione sono poi le pinze Brembo monoblocco. Queste, prese direttamente dalle corse, hanno 4 pistoncini di 34 mm ognuna e lavorano accoppiate a due dischi di 305 mm &Oslash;. La dotazione di serie prevede poi comandi idraulici al manubrio con pompe radiali e leve regolabili e pedane con profilo in metallo seghettato per aumentare la presa dello stivale in condizioni estreme (e ricoperte di gomma). Le pedane hanno inoltre una protezione in teflon sotto ognuna. La posizione in sella &egrave; da motard vera, anche grazie al bicilindrico al L raffreddato ad aria-olio, che rende l&rsquo;Hypermotard davvero snella. Il propulsore, nella gi&agrave; conosciuta versione EVO, &egrave; quanto di meglio sia uscito dagli stabilimenti Ducati in fatto di bicilindrici a due valvole. Chi ha gi&agrave; avuto la possibilit&agrave; di provare una Hypermotard lo sa: questa moto non &egrave; sicuramente tra le pi&ugrave; facili da guidare. E tra l&rsquo;altro questa &egrave; una sensazione che si percepisce subito, anche solo guardandola da fermo. Non &egrave; facile perch&eacute; &egrave; rigida, caricata sull&rsquo;avantreno, e ha un motore esuberante, che a ogni battito regala scariche di adrenalina a chi &egrave; in sella. Non &egrave; certo una moto per chi vuole andare a spasso, anche perch&eacute;, ai bassi regimi, il bicilindrico bolognese vibra, &ldquo;spinge&rdquo; e diventa un po&rsquo; irregolare nell&rsquo;erogazione, come se cercasse un po&rsquo; di sfogo. Basta comunque salire di pochi giri per sentire diminuire le vibrazioni e soprattutto per renderlo pi&ugrave; gestibile, anche se va detto che questo propulsore &egrave; adatto solo a chi &egrave; in grado di domarlo, perch&eacute; anche se i cavalli non superano i 100, se ci si fa prendere la mano si corre il rischio di farsi portare in giro dalla moto, aggrappati al manubrio come pupazzi. L&rsquo;Hyper va domata, e una volta acquisito il giusto feeling con il gas, che praticamente &egrave; direttamente collegato con la ruota posteriore, non &egrave; difficile trovarsi a giocare con l&rsquo;anteriore che sfiora l&rsquo;asfalto. Nelle prime marce basta davvero un grado in pi&ugrave; di rotazione del polso destro per sparare l&rsquo;anteriore verso il cielo. Situazione sicuramente entusiasmante, anche perch&eacute; chi acquista una Hypermotard cerca proprio questo, ma decisamente delicata quando il fondo &egrave; irregolare. &Egrave; infatti in queste condizioni che la EVO SP va guidata da mani esperte, perch&eacute; pu&ograve; diventare nervosissima e imbizzarrirsi come un toro al rodeo, senza contare il fatto che la notevole coppia pu&ograve; far perdere improvvisamente aderenza al posteriore. Insomma, quando piove bisogna fare molta attenzione, anche perch&eacute; il potentissimo impianto frenante &egrave; moto aggressivo e poco modulabile e in caso di frenata d&rsquo;emergenza il bloccaggio della ruota davanti &egrave; difficile da evitare. Stesso discorso per l&rsquo;impianto posteriore, con il quale serve un po&rsquo; di feeling. Frena bene, ma blocca facilmente. Insomma, la Hypermotard resta una moto di carattere, e in questa versione diventa ancora pi&ugrave; incline all&rsquo;uso esclusivamente sportivo e in pista. Perch&eacute; il comfort non &egrave; certo elevato, la protezione aerodinamica &egrave; nulla, ma tra le curve &egrave; un fulmine. Si butta in piega rapidissima e altrettanto rapidamente cambia direzione. Predilige una guida da sportiva (quindi pochi piedi a terra) e, a patto che l&rsquo;asfalto sia perfetto, ha una stabilit&agrave; eccellente. Il cambio &egrave; buono, la frizione soffre un po&rsquo; se stressata in citt&agrave;, ma nel complesso funziona bene, anche perch&eacute; nel traffico, quando si va piano, si &egrave; costretti ad averla sempre in mano per controllare l&rsquo;esuberanza del bicilindrico bolognese. Insomma, se usate la moto solo in citt&agrave;, la Hypermotard EVO SP Corse Edition non fa per voi, ma se passate le domeniche tra un tornante e l&rsquo;altro, allora &egrave; ci&ograve; che dovete avere nel vostro garage. Ma occhio ai punti della patente, perch&eacute; farsi prendere la mano con questa moto &egrave; fin troppo facile!  

Ducati Hypermotard 1100 EVO SP Corse Edition

La Triumph Steve McQueen Edition &egrave; una versione speciale della Bonneville T100 realizzata (con l&rsquo;approvazione di Chad McQueen, il figlio) a titolo di tributo per la passione dell&rsquo;attore per il marchio britannico, nata con l&rsquo;idea di replicare la gloriosa T650 che, nel film &ldquo;La grande fuga&rdquo;, tenta senza successo il salto del reticolato dopo il lungo inseguimento con l&rsquo;esercito nazista. I 1.100 esemplari numerati sono gi&agrave; esauriti in buona parte dei Paesi in cui &egrave; prevista l&rsquo;importazione, tanto &egrave; l&rsquo;affetto con cui gli appassionati ricordano ancora Steve McQueen. Le consegne non avverranno prima di aprile, dunque la possibilit&agrave; di prendere in prestito la moto numero 1 (che finir&agrave; nel garage di Chad, che l&rsquo;ha chiesta espressamente come parte integrante dell&rsquo;accordo) mi ha dato la possibilit&agrave; di realizzare un&rsquo;esclusiva molto speciale, anzi un vero e proprio viaggio nel tempo, con cui sono tornato a quel giorno in cui, uscito dal cinema, ero ancora a bocca aperta per le doti di guida di McQueen. Steve poi fu il protagonista di &ldquo;On any sunday&rdquo;, un documentario sul fuoristrada USA del 1971 diventato ormai leggenda per qualunque motociclista degno di tale nome. La sequenza finale, in cui Mert Lawhill e Malcolm Smith derapano al tramonto con il suggestivo sfondo dell&rsquo;Oceano Pacifico, &egrave; in grado di emozionare anche il pi&ugrave; accanito detrattore delle due ruote. La Steve McQueen Edition &egrave; basata sulla Bonneville in versione T100, con i cerchi a raggi, presentata all&rsquo;Intermot 2000 come capostipite della linea retr&ograve; della Casa di Hinckley. Da allora, Triumph ha prodotto pi&ugrave; di 120.000 di queste bicilindriche parallele, nelle versioni di 790 e 865 cm3, fra Bonneville, Scrambler, T100, Thruxton, America e Speedmaster. Considerando le 500.000 Triumph prodotte da quando John Bloor nel 1990 ha resuscitato il glorioso marchio britannico, la famiglia Bonneville pesa sulle vendite per un quinto del totale, a testimonianza del fascino esercitato sul pubblico. La Steve McQueen &egrave; bellissima, con la sua linea contraddistinta dal doppio scarico, dalla livrea verde militare e dal motore verniciato a polvere in nero, con la sola eccezione delle alette di raffreddamento. La posizione di guida che accoglie il pilota &egrave; diversa rispetto alla T100 di serie, che riproduce fedelmente l&rsquo;assetto piatto &ndash; poco comodo sulle lunghe distanze &ndash; in voga negli anni &rsquo;60. La Steve McQueen, con la sua sella monoposto posta a 775 mm (35 mm pi&ugrave; alta e anche pi&ugrave; stretta vicino al serbatoio, per facilitare l&rsquo;appoggio a terra ai meno alti e al pubblico femminile &ndash; dopotutto l&rsquo;attore aveva moltissime fan...), &egrave; ben pi&ugrave; comoda e, grazie a una schiuma di diversa densit&agrave;, porta addirittura a pensare di trovarsi su un&rsquo;unit&agrave; in gel, ipotesi smentita per&ograve; da Simon Warburton: &laquo;Non volevamo assolutamente sacrificare il comfort della sella &ndash; spiega il product manager Triumph &ndash; per cui abbiamo provato infinite varianti in termini di densit&agrave; della schiuma, fino a decidere per questa&raquo;. Il portapacchi &egrave; pratico e utile, oltre che molto fedele alla linea retr&ograve;. Grazie al doppio contralbero, le vibrazioni sono praticamente assenti su sella, manubrio e pedane anche quando ci si avvicina alla linea rossa, a 7.500 giri. Inoltre, il fatto che il 90% dei 68 Nm di coppia massima siano disponibili gi&agrave; a 2.500 giri, e non si scenda mai sotto questo valore fino agli 8.000 giri, garantisce un&rsquo;accelerazione dolce e gentile, marcia dopo marcia. L&rsquo;azione del cambio, dai rapporti immutati, &egrave; fluida e precisa, decisamente la migliore di tutte le Bonneville provate. La frizione &egrave; morbida e progressiva, e non causa affaticamenti alla mano sinistra nella guida nel traffico. Le leve al manubrio sono regolabili; il freno, che fa affidamento su un disco singolo Sunstar di 310 mm &Oslash; (con flange &ldquo;swooshing&rdquo;, per usare il termine Triumph) e una pinza Nissin a soli due pistoncini, ha un&rsquo;azione pi&ugrave; che adeguata per il tipo di moto: morde bene e ha un buon feeling anche con un solo dito sul comando, grazie a una scelta appropriata per la pompa. Il posteriore &egrave; facile da usare e piacevolmente reattivo. L&rsquo;ampio arco d&rsquo;erogazione della Bonneville, con i 67 CV tutti facilmente accessibili, determina una guida rilassata e soddisfacente, grazie ad un&rsquo;iniezione Keihin (su tutte le Bonneville dal 2008) precisa e pulita. Triumph ha faticato molto per far sembrare carburatori i corpi farfallati, ma ne &egrave; valsa la pena: l&rsquo;iniezione sequenziale multipoint programmata direttamente a Hinckley inquina cinque volte meno dei precedenti carburatori, e rispetta la normativa Euro-3 grazie al catalizzatore a tre vie. Il risultato &egrave; un motore pronto e reattivo che non risulta per&ograve; mai brusco o aggressivo: il perfetto complemento per un viaggio nel tempo, divertente e rilassante. I soli 1.100 esemplari sono gi&agrave; andati a ruba, saltando in cima alla lista dei desideri di tutti i nostalgici e i fan dell&rsquo;attore hollywoodiano. Magari con questa Bonneville moderna il Capitano Hilts (vedi il box nella pagina a fianco) sarebbe riuscito a fare quel maledetto salto...   DA FERMO  Per circa 1.000 Euro in pi&ugrave; rispetto alla versione standard, ci si porta a casa una Bonneville T100 che trasuda Anni &rsquo;60 da tutti i pori, con livrea verde opaco e logo Triumph stencil che fa molto militare: un esemplare all&rsquo;apparenza pi&ugrave; utilitario che non speciale, ma che ripropone in pieno lo spirito della TR6 che Steve McQueen e Bud Ekins guidarono durante le riprese de &ldquo;La grande fuga&rdquo;. Le differenze comprendono una sella monoposto, un robusto paracolpi e una serie di particolari in nero: portapacchi, il fanale anteriore (dalle dimensioni ridotte), cerchi e raggi, manubrio, molle degli ammortizzatori posteriori, specchietti e supporti parafango anteriore. Naturalmente, ogni esemplare &egrave; numerato, con una placca sul riser manubrio. Rispetto alla pi&ugrave; recente versione della Bonneville con cerchi in lega d&rsquo;alluminio di 17&rdquo;, presentata nel 2009 per avvicinarsi al look Anni &rsquo;70, la Steve McQueen Edition vanta cerchi a raggi, sempre con pneumatici Metzeler ma con anteriore di 19&rdquo;. Anche la geometria dello sterzo &egrave; quella del modello precedente, con la forcella Kayaba non regolabile di 41 mm di diametro steli e 120 mm di corsa contraddistinta da una maggior inclinazione (28&deg;, un grado in pi&ugrave;) e un interasse di 1.500 mm invece dei 1.454 mm del modello pi&ugrave; recente. Il motore resta il bicilindrico di 865 cm3 (nel 2005 l&rsquo;alesaggio &egrave; stato maggiorato di 4 mm) raffreddato ad aria/olio, con misure caratteristiche di 90 x 68 mm, con distribuzione bialbero a camme in testa a comando misto catena/ingranaggi. La fasatura dell&rsquo;albero motore resta a 360&deg;, il che conferisce alla Bonneville la tradizionale voce ovattata allo scarico, con due contralberi deputati a smorzare le vibrazioni inevitabilmente generate da tale soluzione. La potenza massima si attesta a 67 CV a 7.500 giri, con il regime di coppia massima (68 Nm) pi&ugrave; in basso, a 5.800 giri.    IN MARCIA La Steve McQueen &egrave; bellissima, con la sua linea contraddistinta dal doppio scarico, dalla livrea verde militare e dal motore verniciato a polvere in nero, con la sola eccezione delle alette di raffreddamento. La posizione di guida che accoglie il pilota &egrave; diversa rispetto alla T100 di serie, che riproduce fedelmente l&rsquo;assetto piatto &ndash; poco comodo sulle lunghe distanze &ndash; in voga negli anni &rsquo;60. La Steve McQueen, con la sua sella monoposto posta a 775 mm (35 mm pi&ugrave; alta e anche pi&ugrave; stretta vicino al serbatoio, per facilitare l&rsquo;appoggio a terra ai meno alti e al pubblico femminile &ndash; dopotutto l&rsquo;attore aveva moltissime fan...), &egrave; ben pi&ugrave; comoda e, grazie a una schiuma di diversa densit&agrave;, porta addirittura a pensare di trovarsi su un&rsquo;unit&agrave; in gel, ipotesi smentita per&ograve; da Simon Warburton: &laquo;Non volevamo assolutamente sacrificare il comfort della sella &ndash; spiega il product manager Triumph &ndash; per cui abbiamo provato infinite varianti in termini di densit&agrave; della schiuma, fino a decidere per questa&raquo;. Il portapacchi &egrave; pratico e utile, oltre che molto fedele alla linea retr&ograve;. Grazie al doppio contralbero, le vibrazioni sono praticamente assenti su sella, manubrio e pedane anche quando ci si avvicina alla linea rossa, a 7.500 giri. Inoltre, il fatto che il 90% dei 68 Nm di coppia massima siano disponibili gi&agrave; a 2.500 giri, e non si scenda mai sotto questo valore fino agli 8.000 giri, garantisce un&rsquo;accelerazione dolce e gentile, marcia dopo marcia. L&rsquo;azione del cambio, dai rapporti immutati, &egrave; fluida e precisa, decisamente la migliore di tutte le Bonneville provate. La frizione &egrave; morbida e progressiva, e non causa affaticamenti alla mano sinistra nella guida nel traffico. Le leve al manubrio sono regolabili; il freno, che fa affidamento su un disco singolo Sunstar di 310 mm &Oslash; (con flange &ldquo;swooshing&rdquo;, per usare il termine Triumph) e una pinza Nissin a soli due pistoncini, ha un&rsquo;azione pi&ugrave; che adeguata per il tipo di moto: morde bene e ha un buon feeling anche con un solo dito sul comando, grazie a una scelta appropriata per la pompa. Il posteriore &egrave; facile da usare e piacevolmente reattivo. L&rsquo;ampio arco d&rsquo;erogazione della Bonneville, con i 67 CV tutti facilmente accessibili, determina una guida rilassata e soddisfacente, grazie ad un&rsquo;iniezione Keihin (su tutte le Bonneville dal 2008) precisa e pulita. Triumph ha faticato molto per far sembrare carburatori i corpi farfallati, ma ne &egrave; valsa la pena: l&rsquo;iniezione sequenziale multipoint programmata direttamente a Hinckley inquina cinque volte meno dei precedenti carburatori, e rispetta la normativa Euro-3 grazie al catalizzatore a tre vie. Il risultato &egrave; un motore pronto e reattivo che non risulta per&ograve; mai brusco o aggressivo: il perfetto complemento per un viaggio nel tempo, divertente e rilassante. I soli 1.100 esemplari sono gi&agrave; andati a ruba, saltando in cima alla lista dei desideri di tutti i nostalgici e i fan dell&rsquo;attore hollywoodiano. Magari con questa Bonneville moderna il Capitano Hilts sarebbe riuscito a fare quel maledetto salto... 

Una &ldquo;Bonnie&rdquo; speciale, in tiratura limitata, dedicata a un grande attore appassionato di moto. Gi&agrave; venduti quasi tutti gli esemplari

Triumph Bonneville Steve McQueen Edition

La Fireblade del ventennio &egrave; una evoluzione del modello 2008, di cui conserva e accentua le peculiarit&agrave; pi&ugrave; apprezzabili, come l&rsquo;equilibrio ciclistico e la corposit&agrave; del motore. Aspetto pi&ugrave; filante e nuove sospensioni  &nbsp;  Guidare una Honda vuol dire mettersi a cavallo di una moto che prima di tutto vuole risultare amica, o per meglio dire una moto che, pur rimanendo fedele alla sua vocazione sportiva, &egrave; in grado di adattarsi a stili e abilit&agrave; di guida anche piuttosto differenti. La Fireblade tiene fede a questo credo risultando paradossalmente facile da condurre anche in curvoni da duecento all&rsquo;ora come si trovano a Portimao o anche in staccate in discesa dopo rettilinei da sesta (quasi) piena. Ma il bello &egrave; che allo stesso tempo anche il tornantino da strada di montagna riesce ad essere digerito senza difficolt&agrave;; insomma equilibrio e facilit&agrave; di guida. In cambio, e non poteva essere altrimenti, si andr&agrave; a pagare qualcosa in efficacia, ovvero in termini di tempo sul giro, ma se si vuole fare i piloti, la CBR &egrave; una base di partenza di assoluta eccellenza.  DA FERMO  La cura costruttiva che contraddistingue tutte le creature della Casa dell&rsquo;ala &egrave; ben evidente anche su questa maxisportiva: precisi gli accoppiamenti, belle le vernici e vivaci i colori degli adesivi che sul serbatoio sono ben protetti da uno strato di trasparente. La linea &egrave; stata rivista rispetto al modello 2008 per incontrare meglio i gusti del pubblico e ora, fermo restando le dimensioni di base, la moto appare pi&ugrave; slanciata, sia per merito dell&rsquo;anteriore pi&ugrave; filante, sia per un taglio diverso delle feritoie nelle carene che movimentano la vista laterale. Le nuove feritoie sono descritte anche come pi&ugrave; efficienti nell&rsquo;estrarre i flussi caldi dal radiatore e nell&rsquo;assicurare un leggero ma avvertibile effetto deportante ad altissima velocit&agrave;. Tre le colorazioni disponibili: bianco perla, rosso e nero grafite. Il prezzo &egrave; allettante: 15.550 Euro f.c. la versione C-ABS, mentre la standard costa 1.000 Euro in meno.    &nbsp;  IN SELLA  LE POCHE novit&agrave; introdotte sul modello 2012 di sicuro si fanno sentire. Per prima cosa il motore: stessa potenza, stessa coppia, ma elettronica pi&ugrave; raffinata, e il risultato &egrave; una sensazione di una spinta pi&ugrave; piena o per meglio dire pi&ugrave; uniforme ai medi regimi. Soprattutto, e questo &egrave; un aspetto importante, il &ldquo;salto&rdquo; di coppia attorno ai 6.000 giri/min appare meno brusco a tutto vantaggio della guidabilit&agrave;. L&rsquo;elettronica ha variato anche la risposta del sistema C-ABS, che non ci stanchiamo di ripetere: per il 90% degli utenti costituisce sicuramente un valore aggiunto, impagabile su strada e spesso utile anche in pista. Il limite pi&ugrave; grosso della soluzione Honda risiede nel ripartitore di frenata, un accorgimento magari utile su una sport touring, ma inutile e a volte deleterio su una moto pensata per la pista. Ad ogni modo, ora l&rsquo;azione sulle pinze anteriori in caso di azionamento del comando a pedale &egrave; meno avvertibile, mentre si sente sempre l&rsquo;effetto inverso, cio&egrave; l&rsquo;azionamento della pinza posteriore in caso di utilizzo della leva al manubrio. Se si inizia a staccare molto forte infatti il posteriore inizia a perdere di rigore: non &egrave; colpa della forcella (la Big Piston lavora egregiamente) e nemmeno del freno motore ben calmierato dalla frizione antisaltellamento, ma un po&rsquo; il ripartitore di frenata e un po&rsquo; la taratura del mono innescano qualche leggero saltellamento a moto dritta e qualche seppur minimo serpeggiamento in fase di inserimento a freni in mano. Molto bene invece la fase di percorrenza curva, in questo frangente si esalta l&rsquo;eccellente equilibrio globale della Fireblade: un perfetto compromesso fra agilit&agrave; e stabilit&agrave;. Si riesce a sfruttare tutto il grip disponibile piegando tanto senza preoccupazioni, lasciando cos&igrave; libero il pilota di concentrarsi nella scelta della traiettoria migliore e del punto in cui iniziare ad aprire il gas. In fase di uscita di curva si potrebbe forse volere un maggiore sostegno, ma con il giusto set-up il comportamento &egrave; apprezzabile, il pneumatico posteriore lavora a dovere e allo stesso tempo la tendenza ad allargare la traiettoria &egrave; limitata. Da ultimo non possiamo non segnalare l&rsquo;eccellente rigore direzionale anche in piena velocit&agrave; e il comfort riservato al pilota che per una sportiva &egrave; pi&ugrave; che buono. I pi&ugrave; alti magari apprezzerebbero una sella pi&ugrave; lontana da terra, ma in compenso i semimanubri sono alla giusta altezza e angolazione e non affaticano. Anche la protezione aerodinamica &egrave; buona e le vibrazioni sono praticamente assenti, per merito anche del contralbero di equilibratura, anzi la CBR risulta essere una delle moto pi&ugrave; silenziose della sua categoria. Difatti per rispettare le norme fonometriche, anche a gas pieno il ruggito del motore risulta abbastanza imbavagliato, per effetto del gran lavoro sui convogliatori di aspirazione, e per l&rsquo;ampia camera di espansione sotto il motore, e che questa caratteristica debba considerarsi un pregio o un difetto&hellip;&nbsp; rimane un&rsquo;opinione personale.  

Honda CBR1000RR Fireblade C-ABS

Potete stare sicuri di una cosa: se c&rsquo;&egrave; KTM di mezzo, l&rsquo;ecologia &ndash; intesa come moto elettriche &ndash; diventer&agrave; divertente  &nbsp;  Mentre tutti gli altri costruttori si concentrano sul risparmio economico e sull&rsquo;abbattimento delle emissioni, la KTM ha sviluppato il suo primo modello a propulsione alternativa concentrandosi su un fattore: il divertimento. L&rsquo;aspro limone del politically correct trasformato in rinfrescante limonata, insomma. Signore e signori, ecco la Freeride E, modello di serie della gamma 2012. &laquo;La pratica del fuoristrada &egrave; sempre pi&ugrave; difficile, tanto in Europa che negli USA&raquo; spiega Harald Ploeckinger, alto dirigente KTM, un passato in Rotax e ora responsabile dello sviluppo motoristico per la Casa di Mattighofen. &laquo;Uno dei problemi principali sta nel rumore, e abbiamo pensato che lo sviluppo di un mezzo che non inquina e non fa rumore possa avvicinare il fuoristrada alle aree urbane, per renderlo appetibile anche per chi non ha voglia di viaggiare per ore prima di poter scaricare la moto e divertirsi&raquo;. Insomma, arrivare al punto in cui potrebbero essere i comuni stessi a creare strutture per l&rsquo;off-road, sulla falsariga delle piste da sci artificiali o delle pareti da roccia. &laquo;L&rsquo;Austria &egrave; un gran bel posto per sciare, perch&eacute; non possiamo usare le stesse aree per divertirci in moto? Con la Freeride E non abbiamo emissioni nocive, e praticamente nessun rumore tranne quello della catena... probabilmente fa pi&ugrave; rumore uno sci sulla neve!&raquo; La KTM &egrave; partita definendo il riferimento prestazionale: ponendosi come obiettivo un peso massimo di 100 kg, si &egrave; puntato ad una 125 due tempi per l&rsquo;uso agonistico: nessun compromesso, nemmeno in un mezzo elettrico. Per quanto riguarda la batteria, KTM ha pensato alla durata di una manche di cross &ndash; 40 minuti pi&ugrave; due giri, dopodich&eacute; si &egrave; rivolta all&rsquo;AIT (Istituto Austriaco di Tecnologia) di Vienna, specialisti di propulsione elettrica, per chiedere di collaborare. Il progetto &egrave; stato finanziato, in parte, dal governo austriaco come sviluppo sperimentale, anche se naturalmente solo quando il progetto era gi&agrave; ad un certo livello di sviluppo, quando i ragazzi di Mattighofen avevano in mano qualcosa da far vedere. &ldquo;Non ho mai avuto una tale ondata di richieste di provare il mezzo in tutta la mia carriera - ha raccontato Ploeckinger. - Un vero e proprio tsunami!&rdquo; La prova del prototipo della Freeride E si &egrave; svolta sulla pista di test realizzata appositamente da KTM all&rsquo;esterno del proprio stabilimento satellite dove vengono realizzati i motori, a soli 3 km dal quartiere generale di Mattighofen. Ecco come il team R&amp;D, capitanato dall&rsquo;ex Toyota F1 Hannes Proschek, ha raggiunto i suoi obiettivi. La Freeride E, con la sella a soli (per una off-road) 910 mm e pedane ragionevolmente basse, accoglie bene piloti di ogni statura e offre una certa confidenza anche ai principianti o a chi, magari, torna in fuoristrada dopo molto tempo. Si accende agendo sull&rsquo;interruttore di massa del manubrio destro, non essendoci chiave, dopodich&eacute; si tratta di attendere qualche secondo che il sistema si attivi completamente. Il tutto viene monitorato dalla strumentazione dietro al cannotto di sterzo, su cui campeggia una fila di led che vi informa sul livello di carica della batteria e tre numeri (1-2-3) che, sulla moto definitiva, indicheranno la mappatura attivata: 3 sar&agrave; quella pi&ugrave; dolce, 2 quella intermedia e la 1 pi&ugrave; diretta e potente, anche se KTM ha introdotto una certa limitazione della coppia anche in questa. Un motore elettrico eroga infatti tutta la sua coppia fin dal minimo regime di rotazione, il che potrebbe rivelarsi difficile da gestire anche per i pi&ugrave; esperti (il controller ora limita la coppia sotto i 500 giri, per poi lasciarla piatta) sul livello massimo, fino ai 6.600 a cui interviene il limitatore. Non vi resta che premere il pulsante di avviamento sotto quello di massa, girare l&rsquo;acceleratore e&hellip; volare! La KTM sta lavorando per ottimizzare consumi ed erogazione: Proschek ha spiegato che un professionista potrebbe esaurire la carica in 20 minuti, ma visto il target della Freeride E, si &egrave; puntato (magari usando le mappature 2 e 3, che consumano notevolmente meno) ad arrivare a un&rsquo;autonomia di 45 minuti su un tipico percorso da enduro, con punte di un&rsquo;ora e mezzo. La guida &egrave; semplice e divertente: la mancanza della leva della frizione non si fa sentire, vista la spinta vigorosa fin dai bassi: c&rsquo;&egrave; coppia subito, anche quando serve per volare su un salto. La maneggevolezza e l&rsquo;equilibrio alle basse velocit&agrave; sono tali da far pensare pi&ugrave; a una trial che non a una enduro specialistica, e la coppia di cui sopra viene sempre in aiuto. Bastano cinque metri, con partenza da fermo, per scalare una rampa di tre metri con pendenza del 70%: impressionante! Sullo stretto ci si diverte senza troppo impegno, anche e soprattutto per l&rsquo;assenza di marce e frizione. Si impara presto a usare il freno posteriore al posto della frizione quando si deve rallentare in piedi sulle pedane; il resto lo fa la ciclistica, con sospensioni WP che assorbono senza esitazioni anche le irregolarit&agrave; pi&ugrave; marcate, come canali e radici. Insomma, una ciclistica che considereremmo notevole anche su una moto tradizionale, anche se l&rsquo;alimentazione elettrica &egrave; la classica ciliegina sulla torta: pensate anche solo alla possibilit&agrave; di manovrare, da fermi e gi&ugrave; dalla moto, senza paura di spegnere la moto o farvela scappare da sotto per un uso maldestro della frizione. La KTM punta ad avviare la produzione della prima pre-serie di 500 unit&agrave; fra luglio e agosto 2012, per farle provare ad amatori in tutto il mondo e ottenere pareri dalla loro esperienza sul campo. Verso la fine dell&rsquo;anno partir&agrave; la produzione, a un prezzo sotto i 10.000 &euro; batteria compresa. L&rsquo;idea &egrave; di offrire due modelli (prima in Europa e poi negli USA e in Australia): una versione cross, come quella oggetto del test, e una EXC Enduro, con luci e frecce, omologata per l&rsquo;uso stradale. Ma &egrave; prevista anche una Supermoto: una E-Duke! Ploeckinger spiega giustamente come la vera impresa sia creare una moto elettrica da fuoristrada, poich&eacute; il successivo adattamento per uso stradale richiede un impegno marginale...    &nbsp;

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