Visto da fuori sembra un capannone qualunque. Eppure nel suo regno, Massimo Pierobon realizza dei veri e propri gioielli d&rsquo;ingegneria. Dentro &egrave; tutto pi&ugrave; o meno normale, come ci si aspetterebbe da una classica officina. 200 metri quadri, soffitti alti, attrezzi di ogni genere sparsi qua e l&agrave;. Disordine per i profani, ordine per chi lavora. Poi per&ograve; si fa caso ai telai a traliccio appesi al muro, alle foto che ritraggono Massimo e il pap&agrave; (il compianto Riccardo) assieme a gente che ha scritto la storia del motociclismo, alle stampanti 3D che ronzano e producono e&hellip;a un paio di moto che somigliano pi&ugrave; a delle superbike scappate dal mondiale, che a delle moto di serie. Sono le sue moto, quelle marchiate Pierobon.  Family business    &Egrave; dal 1952 che Massimo e suo padre Riccardo portano avanti con fierezza questa attivit&agrave;. Una bottega di artigiani nel cuore della Motor Valley, a Borgo Panigale, a poche centinaia di metri dalla Ducati. Cosa fanno? Telai per moto da corsa, principalmente, ma non solo. Serbatoi, telaietti, forcelloni, cavalletti&hellip;fatevi un giro sul loro sito, se vi va. Nel frattempo incontriamo Massimo, attuale titolare dell&rsquo;azienda. Massimo ha quell&rsquo;entusiasmo contagioso, tipico di chi non &egrave; mai veramente cresciuto perch&eacute;, fondamentalmente, adora quello che fa. Davanti alla sua officina non c&rsquo;&egrave; parcheggiata una Porsche Cayenne o un&rsquo;Audi RS6 ma un Fiat Ducato: gran parte di quello che guadagna, Massimo, lo reinveste nell&rsquo;attivit&agrave;. Nuovi macchinari, tecnologie innovative&hellip; solo cos&igrave; si arriva all&rsquo;eccellenza. Che, per Massimo, &egrave; l&rsquo;unico risultato possibile al giorno d&rsquo;oggi, se si vuole mantenere un&rsquo;attivit&agrave; come la sua.    &ldquo;&Egrave; quasi 70 anni che lavoriamo: credo che il nostro segreto sia che abbiamo saputo adattarci. A Bologna c&rsquo;erano tantissime aziende che facevano moto e tantissime altre che lavoravano come fornitori di queste aziende. Tutti facevano telai in tubi ma la maggior parte oggi han chiuso. Chi &egrave; stato un po&rsquo; sveglio si &egrave; allineato, da fornitore di certe parti &egrave; diventato fornitore di altre. Per esempio oggi si usano molto i telai in fusione, non pi&ugrave; a traliccio. Il telaio in fusione ha un vantaggio: pu&ograve; essere gestito molto pi&ugrave; velocemente dalla Casa madre. Con i tubi, sai&hellip; c&rsquo;&egrave; un lavoro incredibile, con dei margini molto ridotti. E non parlo solo dei soldi, ma anche del margine d&rsquo;errore: basta un granello di troppo nella saldatura e il telaio &egrave; da buttare. Ecco perch&eacute; la fusione in conchiglia si &egrave; sviluppata molto, come tecnologia. Guarda la Panigale V4, il nuovo Monster&hellip; Non &egrave; che sia peggio, &egrave; semplicemente un altro modo di concepire la moto&rdquo;.    IERI E OGGI; COM&#39;&egrave; CAMBIATO IL LAVORO  &Egrave; un fiume in piena, Massimo. Mentre mi spiega le lavorazioni necessarie a costruire un telaio, gesticola con le mani e sorride con gli occhi. Entusiasmo che contagia. &ldquo;Una volta era un lavoro molto diverso. Per farti un esempio, il telaio della Ducati 851 lo fece mio padre nella sua vecchia officina, con Bordi (Massimo, ndr) che guardava nascere la sua creatura. Avevano un motore di legno per fare gli ingombri: con quelle 4 misure &egrave; stato fatto il telaio, che tra l&rsquo;altro &egrave; andato avanti per 8 anni! Ma erano altri tempi. La moto nasceva da un tecnigrafo e dalle mani di pochi esperti. E c&rsquo;era sempre anche quella cosa un po&rsquo; astratta, che non saprei bene come definirla&hellip; un mix di esperienza e di culo, dai. Ma quello ci vuole anche oggi, no?&rdquo; Gi&agrave;, decisamente. &ldquo;Oggi per&ograve; &egrave; cambiato tutto. Non si pu&ograve; pi&ugrave; lavorare cos&igrave;. Ci sono pi&ugrave; protocolli, bisogna essere chirurgici e rispondere a specifiche richieste&rdquo;.  &quot;Un modo di lavorare sartoriale, che significa sapersi adattare&quot;    E come si fa? Dimostrando la competenza con i fatti, naturalmente. E su questo Massimo &egrave; categorico. La precisione &egrave; fondamentale, ma non solo. A una grande azienda, come pu&ograve; essere appunto Ducati, bisogna garantire la ripetibilit&agrave; della qualit&agrave;. Un lavoro artigianale ma comunque privo di imperfezioni. &ldquo;Quando con i miei ragazzi ci mettiamo a fare un lavoro, partiamo subito forte. Che si tratti di un telaio, un serbatoio o anche un semplice (si fa per dire) cavalletto, e credo che sia questo a fare la differenza. Un modo di lavorare sartoriale, che di fatto significa sapersi adattare alle esigenze dell&rsquo;azienda&rdquo;.  Ok, tutto chiaro, ma proviamo ad andare pi&ugrave; sul tecnico. Da dove si parte per progettare un nuovo telaio?  &ldquo;Tieni conto che per le aziende ormai non lavoriamo quasi pi&ugrave; cos&igrave;. Ci arrivano richieste precise, non abbiamo margine d&rsquo;improvvisazione. Quando invece lavoriamo per i privati&hellip; beh, parte tutto dalla mia testa. Ho delle intuizioni: io immagino dove voglio arrivare. Poi mi confronto con Davide (il disegnatore), mettiamo gi&ugrave; i primi disegni e ci ragioniamo. Cosa si pu&ograve; fare, cosa no&hellip; E partiamo da quelli che secondo noi sono i limiti della moto di serie. La posizione del baricentro, l&rsquo;avancorsa, l&rsquo;interasse&hellip; cerchiamo di migliorare la guidabilit&agrave; della moto, che ovviamente &egrave; un insieme di aspetti, come la trazione in uscita di curva o l&rsquo;agilit&agrave;, giusto per dirne un paio&rdquo;.    &quot;In questo settore impari studiando e provando sul campo&quot;  Un lavoro enorme, come &egrave; facile intuire, e che richiede una conoscenza infinita non solo della meccanica ma anche della dinamica del veicolo. Sapere come le vibrazioni del telaio contribuiscono al consumo degli pneumatici, quanto influisce la rigidit&agrave; del forcellone sulla guida e addirittura quanto contano le coppie di serraggio dei singoli bulloni. Un bagaglio di conoscenza che, in fin dei conti, &egrave; la ricchezza di un&rsquo;azienda come Pierobon.  Un&rsquo;ultima domanda per Massimo: cosa serve oggi per intraprendere una carriera del genere?  &ldquo;La mia passione per questo mestiere &egrave; nata perch&eacute; da piccolo mio padre non c&rsquo;era mai e l&rsquo;unico modo che avevo per vederlo era venire qua in officina. Io a 12 anni avevo una smerigliatrice in mano, e prima ancora ho imparato a usar la lima. In questo lavoro non si pu&ograve; pretendere di far le cose di fretta. Serve tempo, dedizione, bisogna essere disposti a sacrificare tantissime ore per imparare. Non c&rsquo;&egrave; un&rsquo;altra strada, purtroppo. Dico purtroppo perch&eacute; i ragazzi, oggi, sono abituati ad avere tutto subito. Ma la conoscenza vera in questo ambito ce l&rsquo;hai solo studiando e allo stesso tempo provando sul campo. Perch&eacute; puoi avere la miglior Laurea di questo mondo, ma per sapere quanto fa male una martellata, devi dartela sul pollice! Per quanto la tecnologia possa progredire, ci sono conoscenze che non potranno mai essere inserite in un computer. Sfumature, parametri che solamente lavorando sul campo si possono apprendere. Io ad esempio ho annotato tutti i miei piccoli segreti in un libro. Lo tengo nascosto come la formula della Coca Cola nella cassaforte di Atlanta!&rdquo;.  Sospensioni moto, Franco Gubellini: &quot;Pista o strada: contano sicurezza e comfort&quot; 

&quot;Oggi &egrave; cambiato tutto. Ci sono pi&ugrave; protocolli, bisogna essere chirurgici e rispondere a specifiche richieste&quot;. Il telaista &egrave; un mestiere per pochi. Sono richieste manualit&agrave; sopraffina e mente visionaria. Ce l&rsquo;ha spiegato un luminare sull&rsquo;argomento

Professione telaista, Massimo Pierobon: &quot;Con &#39;4 misure&#39; facemmo il telaio della 851. Altri tempi&quot;

Il motociclismo italiano&nbsp;perde un altro tassello della sua storia sportiva ed industriale. E&#39; morto ieri,domenica 5 aprile,&nbsp;Riccardo Pierobon o,&nbsp;come&nbsp;era soprannominato, Ricky One.&nbsp; Lo vogliamo ricordare in una intervista fatta da Riccardo Piergentili nel 2016 sulle pagine di In Moto.   Lo chiamano Ricky One (soprannome assegnatogli da Ben Bostrom) anche se all&rsquo;anagrafe, nel 1934, fu registrato col nome di Riccardo. Fisico asciutto, una vita dedicata alle moto e allo sport. Occhi chiari, sguardo sempre vigile, cuore e spirito da ragazzino. Parlare con Riccardo Pierobon, il fondatore dell&rsquo;engineering a conduzione familiare che collabora con diverse grandi Case motociclistiche, &egrave; innanzitutto una meravigliosa esperienza di vita. Ricky One &egrave; una persona genuina, uno di quelli che, con una semplicit&agrave; disarmante, &egrave; in grado di farti capire quanto sono importanti la seriet&agrave;, la professionalit&agrave;, la voglia di fare e i sacrifici. &Egrave; in grado di farti capire perch&eacute;, partendo da zero, &egrave; riuscito a costruire un&rsquo;azienda, che ora viene gestita dal figlio, Massimo. Nessuna agevolazione; solo lavoro, lavoro e lavoro. E voglia di faticare e di superare gli ostacoli. Questa &egrave; la ricetta per emergere e restare a galla.&nbsp;Ricky One non ha solo visto nascere il motociclismo moderno: lui ha addirittura contribuito a farlo crescere.  NON SERVE LA LAUREA  Ricky One non &egrave; un ingegnere ma ha realizzato i telai di numerose moto di serie e di altrettante moto da corsa. Ha vissuto da protagonista gli anni in cui, come lui sostiene, &quot;A Bologna c&rsquo;era una fabbrica di moto ogni cento metri&raquo;. Ricky One &egrave; sempre stato un tecnico, un appassionato di quel fantastico mondo a due ruote che ha fatto sognare diverse generazioni. &quot;Quando lavoravo in Verlicchi e andavo in Ducati con i miei capi, io mi dirigevo da Farn&egrave;, Bordi e Martini, per parlare di tecnica. I dirigenti, invece, si chiudevano negli uffici, per discutere di contratti e di soldi. Io dovevo risolvere i problemi tecnici. Non ero bravo a fare il politico. Ho sempre preferito lo sport alla politica. A volte mi arrabbio con mia moglie. Lei vorrebbe seguire le trasmissioni in cui quei signori in giacca e cravatta parlano dei problemi del Paese, mentre io preferisco gustarmi una gara di moto, di auto, una partita di calcio, un incontro di boxe, un meeting di atletica. Neppure i ministri sanno cosa devono fare... Figuriamoci cosa possiamo saperne noi!&quot;.    LEZIONI DI VITA  Entrando nella engineering di Pierobon pensavamo di parlare solo di progettazione, telai, forcelloni, eccetera. E lo abbiamo fatto. Ma le lezioni di tecnica sono passate in secondo piano rispetto a quelle di vita. A volte ci si chiede perch&eacute; alcune aziende funzionano ed altre no. Le risposte le abbiamo trovate parlando con Ricky One... &quot;Ho lavorato in Verlicchi per oltre 30 anni, sia nel reparto produzione sia in quello corse, che considero un po&rsquo; mio. Tanti anni fa c&rsquo;era l&rsquo;esigenza di realizzare componenti racing, che spesso erano costruiti con la sega e la lima! Ad esempio, quando arrivarono i primi bicilindrici, c&rsquo;era l&rsquo;esigenza di sincronizzare i carburatori. Io inventai un comando gas abbinato a un bilanciere, che permetteva ai carburatori di funzionare correttamente. Un sistema semplicissimo, per&ograve; all&rsquo;epoca nessuno ci aveva pensato&quot;.  &nbsp;  &nbsp;  LE ORIGINI IN VERLICCHI  Di fatto, quindi, l&rsquo;azienda Pierobon nacque all&rsquo;interno della Verlicchi, per poi diventare la realt&agrave; indipendente che tutti conosciamo. All&rsquo;inizio l&rsquo;engineering venne gestita solo da Ricky One, che and&ograve; in pensione nel 1987. In seguito, Massimo raccolse l&rsquo;eredit&agrave; del padre per portare avanti l&rsquo;azienda di famiglia. Ricky One ormai si considera un pensionato con la voglia di pensare e disegnare qualcosa di nuovo nel tempo libero, perch&eacute; &quot;Invecchiando bisogna smettere di fare fatica fisica, ma non bisogna mai smettere di pensare&quot;. Anche se ha amato tanto le moto, il suo lavoro non gli manca, perch&eacute; ha visto l&rsquo;involuzione del mondo, della societ&agrave;, dell&rsquo;Italia. Ricky One ha vissuto gli anni del boom economico e gli anni in cui tutti volevano diventare costruttori di moto. &quot;A Bologna, partendo dalla vecchia funivia (oggi non esiste pi&ugrave;, ndr) che portava a San Luca, in un tratto di due, massimo tre chilometri, c&rsquo;erano ben diciotto aziende di moto! La Comet, la Berneg, l&rsquo;SCM, tanto per citarne tre. Dal 1955 al 1970 tutti costruivano moto!&quot;.    LA GAVETTA SERVE  Ora sta osservando la recessione, secondo lui inevitabile, sia per colpa di chi ci governa, sia per colpa di chi vorrebbe lavorare senza fare la gavetta. &quot;Purtroppo il mondo &egrave; cambiato, in peggio. E io posso dirlo perch&eacute; sono nato presto... Quando lavoravo in Verlicchi tutti avevano un forte attaccamento all&rsquo;azienda, che sapeva valorizzare il personale. Serviva uno strumento per terminare un lavoro? Si acquistava, senza dover fare troppa burocrazia. Non &egrave; mai mancato uno strumento di lavoro, perch&eacute; la dirigenza sapeva che dietro una richiesta tecnica c&rsquo;era una reale necessit&agrave;. E tutti i dipendenti trattavano questi strumenti come fossero loro. C&rsquo;era uno spirito di gruppo e si lavorava bene. Oggi, purtroppo, non &egrave; pi&ugrave; cos&igrave;, anche perch&eacute; mi sono accorto che &egrave; venuto meno il concetto di team. Spesso molti ingegneri non sono a conoscenza di ci&ograve; che avviene nell&rsquo;ufficio accanto... &quot;.  COMPUTER AL POSTO DEL TECNIGRAFO  Ricky One ha spiegato come &egrave; cambiato il lavoro di progettazione, che non ha portato solo vantaggi&hellip; &quot;Il tecnigrafo &egrave; stato sostituito dai computer, la carta e la matita dai programmi di calcolo e dal mouse. I vantaggi sono molteplici, ma il rischio di perdere di vista l&rsquo;obiettivo &egrave; elevato. Oggi non si pu&ograve; lavorare senza computer ma secondo me c&rsquo;&egrave; il rischio di perdere inventiva. L&rsquo;uomo e le sue idee restano alla base di ogni progetto e nessun programma pu&ograve; trovare le soluzioni ai problemi. Lavorando a compartimenti stagni e si &egrave; persa la visione d&rsquo;insieme, che a mio avviso &egrave; fondamentale, soprattutto per realizzare una moto, un veicolo molto pi&ugrave; complesso di quanto sembri. Insomma, non si pu&ograve; pretendere che una persona pensi per quattro ma neppure che quattro persone ragionino senza confrontarsi. Inoltre, quando lavoravo in Verlicchi mi ricordo che, sistematicamente, si facevano delle riunioni dove tutti venivano a conoscenza delle problematiche di tutti i reparti, se erano state risolte e come erano state risolte. Oggi, i programmi effettuano dei calcoli ma i dati vengono immessi dalle persone. I programmi stessi sono realizzati dalle persone. Insomma, i software eseguono degli ordini. &Egrave; cambiato il sistema ma &egrave; sempre l&rsquo;uomo il valore aggiunto. In Italia, purtroppo, non sempre questo concetto &egrave; chiaro. All&rsquo;estero, in alcuni Paesi, s&igrave;. &Egrave; per questo motivo che c&rsquo;&egrave; una fuga di cervelli dall&rsquo;Italia. Perch&eacute; gli italiani, quelli bravi, quelli che sono capaci di lavorare bene e di risolvere problemi vanno dove vengono valorizzati&quot;.  &nbsp;  &nbsp;  DA RICCARDO A MASSIMO  L&rsquo;engineering Pierobon &egrave; associata al marchio Ducati ed &egrave; facile spiegare il perch&eacute;, secondo Massimo. &quot;All&rsquo;inizio degli anni &rsquo;90 Ducati era un&rsquo;azienda ben strutturata, nel settore produzione, mentre il reparto corse non era evoluto come oggi, anzi, diciamo che era piuttosto piccolo e formato da un gruppo di ingegneri appassionati delle competizioni. Io ero giovanissimo, un bambino, ma percepivo la voglia di correre. Bisognava correre, c&rsquo;era la voglia di confrontarsi con gli altri. Mio padre collaborava con quegli ingegneri, che lo ascoltavano. In quegli capii il valore di Ricky One e iniziai ad appassionarmi davvero alle moto e soprattutto alle corse&quot;. In quegli inizi&ograve; la svolta positiva di Ducati nelle corse e anche l&rsquo;engineering di Pierobon cambi&ograve; passo. &quot;La moto che ricordiamo con maggiore affetto &egrave; la Ducati 851, perch&eacute; fu il modello che ci diede la possibilit&agrave; di entrare davvero nel settore racing che contava. La nostra avventura, ma anche quella di Ducati, inizi&ograve; davvero da quella moto. Sono stati anni bellissimi, in cui noi andavamo spesso in Ducati e gli ingegneri della Ducati venivano spesso da noi. Si collaborava, c&rsquo;era voglia di fare e in poco tempo le moto Ducati divennero il riferimento nel mondiale delle derivate dalla serie&quot;.    IL TELAIO A TRALICCIO IN TUBI D&#39;ACCIAIO  Per Pierobon il telaio a traliccio in tubi &egrave; un credo, pi&ugrave; che una soluzione tecnica. E per anni &egrave; risultato vincente. &quot;Mio padre mi ha insegnato i segreti del telaio a traliccio, una soluzione funzionale e versatile. Lui mi diceva sempre di osservare i tralicci dell&rsquo;alta tensione; sono costruiti utilizzando un traliccio composto da triangoli; una struttura semplice ma allo stesso tempo rigida. Ci sarebbero tanti dettagli di cui parlare... per&ograve;, sintetizzando, posso dire che l&rsquo;esperienza, soprattutto quella acquisita nelle corse, &egrave; fondamentale. Quando sai cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato e perch&eacute;, puoi decidere cosa fare, puoi risolvere pi&ugrave; in fretta i problemi ed &egrave; pi&ugrave; difficile sbagliare strada quando parti da zero. Oggi lo chiamano know how&quot;.  Al figlio Massimo ed alla famiglia Pierobon le condoglianze da parte di tutta la&nbsp;redazione di In Moto e Motosprint.  &nbsp; 

Si &egrave; spento a 86 anni Ricky One l&#39;uomo che insieme al figlio Massimo non ha solo visto nascere il motociclismo moderno: ha contribuito a farlo crescere

Ciao Riccardo Pierobon: appassionato che ha fatto sognare

Lo chiamano Ricky One (soprannome assegnatogli da Ben Bostrom) anche se all&rsquo;anagrafe, nel 1934, fu registrato col nome di Riccardo. Fisico asciutto, una vita dedicata alle moto e allo sport. Occhi chiari, sguardo sempre vigile, cuore e spirito da ragazzino. Parlare con Riccardo Pierobon, il fondatore dell&rsquo;engineering a conduzione familiare che collabora con diverse grandi Case motociclistiche, &egrave; innanzitutto una meravigliosa esperienza di vita. Ricky One &egrave; una persona genuina, uno di quelli che, con una semplicit&agrave; disarmante, &egrave; in grado di farti capire quanto sono importanti la seriet&agrave;, la professionalit&agrave;, la voglia di fare e i sacrifici. &Egrave; in grado di farti capire perch&eacute;, partendo da zero, &egrave; riuscito a costruire un&rsquo;azienda, che ora viene gestita dal figlio, Massimo. Nessuna agevolazione; solo lavoro, lavoro e lavoro. E voglia di faticare e di superare gli ostacoli. Questa &egrave; la ricetta per emergere e restare a galla. Ricky One non ha solo visto nascere il motociclismo moderno: lui ha addirittura contribuito a farlo crescere.  NON SERVE LA LAUREA - Ricky One non &egrave; un ingegnere ma ha realizzato i telai di numerose moto di serie e di altrettante moto da corsa. Ha vissuto da protagonista gli anni in cui, come lui sostiene, &laquo;A&nbsp;Bologna c&rsquo;era una fabbrica di moto ogni cento metri&raquo;. Ricky One &egrave; sempre stato un tecnico, un appassionato di quel fantastico mondo a due ruote che ha fatto sognare diverse generazioni. &laquo;Quando lavoravo in Verlicchi e andavo in Ducati con i miei capi, io mi dirigevo da Farn&egrave;, Bordi e Martini, per parlare di tecnica. I dirigenti, invece, si chiudevano negli uffici, per discutere di contratti e di soldi. Io dovevo risolvere i problemi tecnici. Non ero bravo a fare il politico. Ho sempre preferito lo sport alla politica. A volte mi arrabbio con mia moglie. Lei vorrebbe seguire le trasmissioni in cui quei signori in giacca e cravatta parlano dei problemi del Paese, mentre io preferisco gustarmi una gara di moto, di auto, una partita di calcio, un incontro di boxe, un meeting di atletica. Neppure i ministri sanno cosa devono fare... Figuriamoci cosa possiamo saperne noi!&raquo;.    LEZIONI DI VITA - Entrando nella engineering di Pierobon pensavamo di parlare solo di progettazione, telai, forcelloni, eccetera. E lo abbiamo fatto. Ma le lezioni di tecnica sono passate in secondo piano rispetto a quelle di vita. A volte ci si chiede perch&eacute; alcune aziende funzionano ed altre no. Le risposte le abbiamo trovate parlando con Ricky One... &laquo;Ho lavorato in Verlicchi per oltre 30 anni, sia nel reparto produzione sia in quello corse, che considero un po&rsquo; mio. Tanti anni fa c&rsquo;era l&rsquo;esigenza di realizzare componenti racing, che spesso erano costruiti con la sega e la lima! Ad esempio, quando arrivarono i primi bicilindrici, c&rsquo;era l&rsquo;esigenza di sincronizzare i carburatori. Io inventai un comando gas abbinato a un bilanciere, che permetteva ai carburatori di funzionare correttamente. Un sistema semplicissimo, per&ograve; all&rsquo;epoca nessuno ci aveva pensato&raquo;.  LE ORIGINI IN VERLICCHI - Di fatto, quindi, l&rsquo;azienda Pierobon nacque all&rsquo;interno della Verlicchi, per poi diventare la realt&agrave; indipendente che tutti conosciamo. All&rsquo;inizio l&rsquo;engineering venne gestita solo da Ricky One, che and&ograve; in pensione nel 1987. In seguito, Massimo raccolse l&rsquo;eredit&agrave; del padre per portare avanti l&rsquo;azienda di famiglia. Ricky One ormai si considera un pensionato con la voglia di pensare e disegnare qualcosa di nuovo nel tempo libero, perch&eacute; &laquo;Invecchiando bisogna smettere di fare fatica fisica, ma non bisogna mai smettere di pensare&raquo;. Anche se ha amato tanto le moto, il suo lavoro non gli manca, perch&eacute; ha visto l&rsquo;involuzione del mondo, della societ&agrave;, dell&rsquo;Italia. Ricky One ha vissuto gli anni del boom economico e gli anni in cui tutti volevano diventare costruttori di moto. &laquo;A Bologna, partendo dalla vecchia funivia (oggi non esiste pi&ugrave;, ndr) che portava a San Luca, in un tratto di due, massimo tre chilometri, c&rsquo;erano ben diciotto aziende di moto! La Comet, la Berneg, l&rsquo;SCM, tanto per citarne tre. Dal 1955 al 1970 tutti costruivano moto!&raquo;.    LA GAVETTA SERVE - Ora sta osservando la recessione, secondo lui inevitabile, sia per colpa di chi ci governa, sia per colpa di chi vorrebbe lavorare senza fare la gavetta. &laquo;Purtroppo il mondo &egrave; cambiato, in peggio. E io posso dirlo perch&eacute; sono nato presto... Quando lavoravo in Verlicchi tutti avevano un forte attaccamento all&rsquo;azienda, che sapeva valorizzare il personale. Serviva uno strumento per terminare un lavoro? Si acquistava, senza dover fare troppa burocrazia. Non &egrave; mai mancato uno strumento di lavoro, perch&eacute; la dirigenza sapeva che dietro una richiesta tecnica c&rsquo;era una reale necessit&agrave;. E tutti i dipendenti trattavano questi strumenti come fossero loro. C&rsquo;era uno spirito di gruppo e si lavorava bene. Oggi, purtroppo, non &egrave; pi&ugrave; cos&igrave;, anche perch&eacute; mi sono accorto che &egrave; venuto meno il concetto di team. Spesso molti ingegneri non sono a conoscenza di ci&ograve; che avviene nell&rsquo;ufficio accanto... &raquo;.  COMPUTER AL POSTO DEL TECNIGRAFO -&nbsp;Ricky One ha spiegato come &egrave; cambiato il lavoro di progettazione, che non ha portato solo vantaggi&hellip; &laquo;Il tecnigrafo &egrave; stato sostituito dai computer, la carta e la matita dai programmi di calcolo e dal mouse. I vantaggi sono molteplici, ma il rischio di perdere di vista l&rsquo;obiettivo &egrave; elevato. Oggi non si pu&ograve; lavorare senza computer ma secondo me c&rsquo;&egrave; il rischio di perdere inventiva. L&rsquo;uomo e le sue idee restano alla base di ogni progetto e nessun programma pu&ograve; trovare le soluzioni ai problemi. Lavorando a compartimenti stagni e si &egrave; persa la visione d&rsquo;insieme, che a mio avviso &egrave; fondamentale, soprattutto per realizzare una moto, un veicolo molto pi&ugrave; complesso di quanto sembri. Insomma, non si pu&ograve; pretendere che una persona pensi per quattro ma neppure che quattro persone ragionino senza confrontarsi. Inoltre, quando lavoravo in Verlicchi mi ricordo che, sistematicamente, si facevano delle riunioni dove tutti venivano a conoscenza delle problematiche di tutti i reparti, se erano state risolte e come erano state risolte. Oggi, i programmi effettuano dei calcoli ma i dati vengono immessi dalle persone. I programmi stessi sono realizzati dalle persone. Insomma, i software eseguono degli ordini. &Egrave; cambiato il sistema ma &egrave; sempre l&rsquo;uomo il valore aggiunto. In Italia, purtroppo, non sempre questo concetto &egrave; chiaro. All&rsquo;estero, in alcuni Paesi, s&igrave;. &Egrave; per questo motivo che c&rsquo;&egrave; una fuga di cervelli dall&rsquo;Italia. Perch&eacute; gli italiani, quelli bravi, quelli che sono capaci di lavorare bene e di risolvere problemi vanno dove vengono valorizzati&raquo;.    DA RICCARDO A MASSIMO - L&rsquo;engineering Pierobon &egrave; associata al marchio Ducati ed &egrave; facile spiegare il perch&eacute;, secondo Massimo. &laquo;All&rsquo;inizio degli anni &rsquo;90 Ducati era un&rsquo;azienda ben strutturata, nel settore produzione, mentre il reparto corse non era evoluto come oggi, anzi, diciamo che era piuttosto piccolo e formato da un gruppo di ingegneri appassionati delle competizioni. Io ero giovanissimo, un bambino, ma percepivo la voglia di correre. Bisognava correre, c&rsquo;era la voglia di confrontarsi con gli altri. Mio padre collaborava con quegli ingegneri, che lo ascoltavano. In quegli capii il valore di Ricky One e iniziai ad appassionarmi davvero alle moto e soprattutto alle corse&raquo;. In quegli inizi&ograve; la svolta positiva di Ducati nelle corse e anche l&rsquo;engineering di Pierobon cambi&ograve; passo. &laquo;La moto che ricordiamo con maggiore affetto &egrave; la Ducati 851, perch&eacute; fu il modello che ci diede la possibilit&agrave; di entrare davvero nel settore racing che contava. La nostra avventura, ma anche quella di Ducati, inizi&ograve; davvero da quella moto. Sono stati anni bellissimi, in cui noi andavamo spesso in Ducati e gli ingegneri della Ducati venivano spesso da noi. Si collaborava, c&rsquo;era voglia di fare e in poco tempo le moto Ducati divennero il riferimento nel mondiale delle derivate dalla serie&raquo;.  IL TELAIO A TRALICCIO IN TUBI D&#39;ACCIAIO - Per Pierobon il telaio a traliccio in tubi &egrave; un credo, pi&ugrave; che una soluzione tecnica. E per anni &egrave; risultato vincente. &laquo;Mio padre mi ha insegnato i segreti del telaio a traliccio, una soluzione funzionale e versatile. Lui mi diceva sempre di osservare i tralicci dell&rsquo;alta tensione; sono costruiti utilizzando un traliccio composto da triangoli; una struttura semplice ma allo stesso tempo rigida. Ci sarebbero tanti dettagli di cui parlare... per&ograve;, sintetizzando, posso dire che l&rsquo;esperienza, soprattutto quella acquisita nelle corse, &egrave; fondamentale. Quando sai cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato e perch&eacute;, puoi decidere cosa fare, puoi risolvere pi&ugrave; in fretta i problemi ed &egrave; pi&ugrave; difficile sbagliare strada quando parti da zero. Oggi lo chiamano know how&raquo;.    X60R&hellip; NON SOLO ACCIAIO - Quando si parla di traliccio in tubi si pensa subito all&rsquo;acciaio. Pierobon, per&ograve;, crede anche nell&rsquo;alluminio e la X60R, la moto che nasce all&rsquo;interno della engineering bolognese, lo dimostra. &laquo;La X60R ha un telaio a traliccio in tubi di alluminio e monta il bicilindrico Ducati 1100 EVO raffreddato ad aria. Non &egrave; un mostro di potenza, se paragonato ai pi&ugrave; recenti bicilindrici raffreddati a liquido ma nelle corse ci siamo tolti ugualmente tante soddisfazioni. Non produciamo tante moto ma non &egrave; un problema, perch&eacute; l&rsquo;obiettivo della X60R &egrave; dimostrare quello che sappiamo fare, ovvero una moto guidabile, divertente e soprattutto facile da montare. Questo &egrave; uno degli aspetti pi&ugrave; importanti, ci tengo a sottolinearlo. Realizzare un buon prodotto &egrave; relativamente facile, se hai carta bianca. Invece costruire moto e ricambi caratterizzati da accoppiamenti perfetti &egrave; difficilissimo. Alcuni dei nostri clienti acquistano le moto in &ldquo;scatola di montaggio&rdquo; e sono in grado di portare a termine l&rsquo;assemblaggio utilizzando il nostro manuale di istruzioni. Di questo vado particolarmente fiero&raquo;.  UN CUORE DA CORSA - Il cuore di Massimo, come quello di Riccardo, batte per le corse, un mondo parallelo fatto di personaggi al di sopra delle righe e di situazioni limite, che poco o nulla hanno a che vedere con la vita &ldquo;normale&rdquo;. &laquo;Le corse sono le corse. Chi non ha mai vissuto le emozioni, gli stimoli, le tensioni e le avventure del paddock non pu&ograve; capire perch&eacute; chi &egrave; cresciuto in circuito &egrave; un po&rsquo; naif. I piloti sono gente strana, devi essere un po&rsquo; psicologo e un po&rsquo; padre per capirli e per entrare in confidenza con loro. Nelle moto il pilota fa la differenza e bisogna ascoltarlo per capire la strada da prendere. Ma il mondo delle corse non &egrave; solo questo: &egrave; uno strano intreccio. Nel paddock ognuno vuole vincere, ma alla fine tutti sono sulla stessa barca. Oggi pu&ograve; servire un aiuto a me, domani potrebbe servire a te. Grazie agli insegnamenti di mio padre, io ho capito che bisogna lavorare onestamente. Mi ricordo che una volta aiutai un team giapponese a saldare una marmitta, perch&eacute; avevano terminato i ricambi. Effettuammo la riparazione di nascosto, nel camion, e loro riuscirono a correre. Me ne furono sempre grati. A loro io avrei potuto chiedere aiuto, non mi avrebbero mai detto di no. Lo stesso discorso vale con i piloti. Ho un ottimo rapporto con Ben Bostrom, proprio perch&eacute; con lui sono stato sempre sincero e ho lavorato con seriet&agrave;, anche nei momenti difficili. Ecco, questi sono i piccoli segreti per vivere bene, professionalmente e personalmente&raquo;. 

L&rsquo;affascinante storia di una piccola engineering bolognese a conduzione familiare, con tante idee, voglia di lavorare e numerosi aneddoti da raccontare...

Personaggi: Riccardo e Massimo Pierobon, famiglia da corsa

Tra le novit&agrave; EICMA di quest'anno abbiamo anche&nbsp;qualche&nbsp;proposta della factory&nbsp;bolognese Pierobon, azienda specializzata in una&nbsp;produzione di componentistica di nicchia, altamente innovativa e specializzata, per i mezzi da competizione.  In questo caso parliamo di uno speciale forcellone studiato per le sportivissime Ducati 1199 e 899.  Il forcellone proposto da Pierobon &egrave; bibraccio e sostituisce quello di serie, monobraccio. Pur garantendo una riduzione delle masse non sospese relative all'asse posteriore della moto, offre al veicolo maggiori caratteristiche di rigidit&agrave; ripetto al componente di serie.  Alcuni elementi del forcellone sono ricavati&nbsp;dal pieno in lega di alluminio (utilizzati nella parte anteriore, perch&egrave;&nbsp;assicurano rigidit&agrave;, peso contenuto e adattabilit&agrave;) mentre altri sono realizzati&nbsp;in lamiera.  Il passaggio da componenti ricavati dal pieno a componenti in lamiera&nbsp;non causa alcuna&nbsp;diminuzione di&nbsp;rigidezza flessionale e torsionale, mantenuta grazie alla sezione trasversale ampia.  Allo scopo di aumentare la rigidezza torsionale complessiva, poich&eacute; l&rsquo;ammortizzatore della Panigale &egrave; fortemente decentrato, le lamiere laterali della gamba destra sono state triangolate nella parte centrale del forcellone, tramite l&rsquo;utilizzo di una terza lamiera, appositamente alleggerita.  Sulla parte finale del forcellone troviamo poi i supporti slitte pensati per consentire, sia il montaggio&nbsp;di quelle&nbsp;di serie&nbsp;che da pista:&nbsp; il&nbsp;perno posteriore &egrave; stato allungato di 14mm, ma il suo peso non &egrave; aumentato grazie al materiale utilizzato.  Il baricentro &egrave; stato invece spostato verso il perno fulcro del&nbsp;forcellone,&nbsp;per&nbsp;consentire di ridurre l&rsquo;inerzia e permettendo&nbsp;al pneumatico di copiare al meglio le asperit&agrave; della pista.  Assieme al forcellone si aggiungono al kit pensato per le Panigale due telaietti: uno anteriore e uno posteriore, entrambi in lega di alluminio.  Professionalit&agrave; e studio al servizio dell'appassionato, questo l'obbiettivo del brand Pierobon, -per accrescere il mito del "hand made in Italy"-.  [gallery ids="14222,14227,14226,14221,14225,14224"]  &nbsp;Giulia Cassinelli  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;

La storica azienda bolognese Pierobon propone un inedito forcellone bibraccio nel suo kit per le sportive di Ducati

4 risultati per 'pierobon'

Professione telaista, Massimo Pierobon: "Con '4 misure' facemmo il telaio della 851. Altri tempi"

Ciao Riccardo Pierobon: appassionato che ha fatto sognare

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Kit Pierobon per la Panigale