Rumors e foto portano di solito verso una sola ed unica direzione: quella di un futuro annuncio ufficiale. Pochi giorni, infatti, e Benelli &egrave; di nuovo sulla bocca di tutti, merito della recente ufficializzazione in Asia della nuovissima Tornado 302R, la sportiva entry level di cui si erano gi&agrave; scoperte caratteristiche tecniche e nuove linee grazie a delle foto apparse online alcuni giorni fa.  Benelli 302R 2021: prime foto della piccola sportiva  Ciclistica rinnovata    Come gi&agrave; ampiamente anticipato, infatti, la nuova Benelli Tornado 302R si presente sul mercato orientale con un design inedito e molto pi&ugrave; accattivante, con nuove grafiche sulle carene e una linea marcatamente moderna. Tuttavia, insieme agli upgrade stilistici, come riportato dai media cinesi, gli aggiornamenti saranno anche lato ciclistica: nuovo il telaio ridisegnato, nuova la forcella a steli rovesciati - che ora &egrave; regolabile nel precarico -, nuovo il freno anteriore a doppio disco e nuovo anche l&rsquo;ABS a doppio canale.  Destinata ai mercati asiatici  Dalla Cina, per&ograve;, arrivano anche altre conferme. Lato motore, infatti, sulla nuova Tornado 302R trova posto &ndash; come gi&agrave; scoperto &ndash; lo stesso bicilindrico in linea 300 cc raffreddato a liquido del modello precedente, ma con potenza ridotta a 35,17 cv a 11.000 giri/min e 27 Nm di coppia a 9.000 giri/min. Una riformulazione, questa, quasi inevitabile per riuscire a soddisfare le norme antinquinamento, ormai sempre pi&ugrave; rigorose.  Per il resto, dalla Cina hanno assicurato che la nuova Tornando 302R non trover&agrave; spazio in mercati che non siano esclusivamente quelli asiatici. La moto, quindi, non arriver&agrave; in Italia.    Benelli, in Cina spuntano possibili TNT600 e 302R 

Dopo i rumors iniziali e le prime foto, dalla Cina arrivano le conferme sulla nuova piccola sportiva riservata ai mercati orientali. Aggiornata, ma non stravolta, la vedremo in Italia?

Benelli Tornado 302R: svelata in Asia la nuova sportiva entry-level

        Spuntano fuori nuovi dettagli di quella che dovrebbe essere la nuova creatura Yamaha ad essere lanciata sul mercato asiatico entro settembre 2021. Una nuova foto ci fa guardare pi&ugrave; da vicino la naked che, stando ai rumors, prenderebbe il nome di FZ-X. Dettagli estetici Guardando la foto pubblicata dal sito BikeWale, molto probabile sul frontale un faro circolare con illuminazione full-LED, protetto dall&rsquo;alluminio su entrambi i lati. Gli indicatori di direzione dovrebbero invece essere tradizionali. La nuova Yamaha FZ-X si mostra con un serbatoio dalle forme classiche e una carrozzeria massiccia, con una particolare protezione del radiatore a forma di boomerang. Caratteristiche dichiarate Trapelate nei giorni scorsi anche le specifiche sul motore, che dovrebbe essere un 149 cc raffreddato ad aria da 12,4 Cv a 7.500 giri/min, con 13,6 Nm di coppia: lo stesso propulsore della FZ V3. Dalla sorella V3, la nuova moto dovrebbe riprendere anche il passo &ndash; 1.330 mm pur essendo 35 mm pi&ugrave; alta, 5 mm pi&ugrave; stretta e 30 mm pi&ugrave; lunga. Il prezzo ufficiale ancora non &egrave; stato rivelato e non sappiamo se arriver&agrave; anche in Europa, soprattutto pensando alle diverse normative sullo scarico tra il continente asiatico e il nostro. Di sicuro, l&rsquo;innovazione pi&ugrave; importante per il mercato orientale &egrave; l&rsquo;estrema leggerezza della FZ-X, dichiarata in appena 135 kg. Rewind, Yamaha XTZ 750 Super T&eacute;n&eacute;r&eacute;: regina di strada       

Alcune indiscrezioni erano gi&agrave; trapelate, ora possiamo vedere pi&ugrave; dettagli della naked da 149 cc che debutter&agrave; entro settembre. Faro circolare full-LED e tanto alluminio&nbsp;

Yamaha, foto-spia della nuova FZ-X per il mercato asiatico

In Italia potrebbe diventare una pi&ugrave; che efficacie alternativa ai maxi scooter entry level che dominano il segmento, ma la cosa certa al momento resta la notizia del solo debutto nel mercato asiatico.  Stiamo parlando del nuovo Sym GPX Drone 150: uno scooter nato dalla collaborazione tra Sym (produttore di motociclette taiwanese) e GPX (costruttore di motociclette made in Thailandia), dove quest&rsquo;ultima &egrave; stata responsabile della parte di progettazione e di design e Sym nella parte dedicata al motore e alle prestazioni.    Immatricolazioni scooter gennaio 2021: la top 10 in FOTO  SVILUPPO CONGIUNTO  Entrambi i marchi, dunque, hanno realizzato un nuovo prodotto sfruttando appieno ogni sfaccettatura e ogni loro competenza complementare, cos&igrave; da riuscire a mettere su strada &ndash; al momento solo quelle asiatiche, in futuro chiss&agrave; &ndash; uno scooter con motore monocilindrico 4T da 150 cc raffreddato a liquido che con molta probabilit&agrave; riuscir&agrave; a ritagliarsi una fetta importante di mercato.    LIVELLO PREMIUM  Ogni singola caratteristica &egrave; stata pensata, elaborata e sviluppata in maniera congiunta tra i due Marchi. Come fanno sapere entrambe le Casa motociclistiche, infatti, il nuovo Sym GPX Drone &egrave; stato prodotto unendo tutti i punti di forza utili a mettere su strada uno scooter di livello premium.  Attorno al motore da 150 cc &egrave; stato installato un sistema di illuminazione a LED completo &ndash; presente sia lato anteriore che posteriore -, smart key con sistema antifurto &ndash; presente, per&ograve;, solamente nei modelli di fascia pi&ugrave; alta -, un tachimetro completamente digitale e dal carattere particolarmente sportivo, un sottosella ampio capace di contenere anche un casco integrale e sistema frenante a disco - anteriore e posteriore - con sistema CBS capace di ripartire la potenza di frenata su entrambe le ruote.  Insomma, in fin dei conti risulta uno scooter che promette di competere con quelli prodotti da Honda e Kymco e che probabilmente non stonerebbe se confrontato con alcuni dei suoi principali concorrenti.    PREZZI E COLORI  Sul mercato Thailandese, al momento, risulta disponibile in tre diverse configurazioni: Standard, Keyless e Keyless Special e nei colori Galaxy Balck, Red, Silver, Racing Yellow e Midnight Blue. I prezzi partono dai 65.900 bath (circa 1.800 euro al cambio) per la versione Standard fino ai 70.800 bath (circa 1.900 euro) per la versione Keyless Special.  Zeeho Cyber, debutta in Cina lo scooter elettrico di CF Moto 

Il nuovo Drone 150 &ndash; al momento disponibile solo in Asia - &egrave; stato prodotto unendo tutti i punti di forza delle due Case, cos&igrave; da poter mettere su strada uno scooter di livello premium

Sym GPX Drone, nuovo scooter da 150 cc

Il nuovo maxi scooter – al momento disponibile solo in Asia - è stato prodotto grazie alla collaborazione tra Sym e GPX, così da poter mettere su strada uno scooter di livello premium. Eccolo in queste foto

Sym GPX Drone 150

        Derbi Terra, enduro stradale gi&agrave; presente da anni sul mercato europeo, da 125 sta per aumentare di cilindrata: si passa infatti a 250, un salto per&ograve; da attuare per il mercato asiatico e sotto il marchio Aprilia per una moto prodotta dai cinesi di Zongshen. Aprilia Mot&ograve; 6.5, il coraggio di osare Non ci sono ancora date ufficiali, ma le prime immagini ritraggono un esemplare di Terra con cilindrata 250 color bianco e nero. Ma la novit&agrave; pi&ugrave; evidente &egrave; che l'esemplare in questione ha la tipica "A" della Casa di Noale stampato sulla carrozzeria.  CARATTERISTICHE E MERCATO DI SBOCCO Le prime informazioni ci dicono che la nuova moto &egrave; alimentata dal monocilindrico DOHC da 249,2 cc raffreddato a liquido, lo stesso motore dell'Aprilia GPR 250, lanciata in Cina nel 2019, ha ruote a raggi posteriori da 17" e anteriori da 18" con pneumatici tassellati, freni a disco e, al posteriore, un monoammortizzatore che lavora in abbinamento ad un forcellone a sezine differenziata. Stop da quarantena: approfittiamone per la manutenzione Terra 250 Aprilia dovrebbe debuttare in India, un mercato fiorente per quanto riguarda gli esemplari off-road, andando a porsi come rivale di mercato della KTM 250 Adventure.       

La enduro stradale &egrave; pronta a sbarcare in Asia con cilindrata aumentata a 250 cc, per un debutto sotto il Marchio di Noale

La Derbi Terra diventa Aprilia per il mercato asiatico

Un raid affascinante e avventuroso, un lento &quot;ritorno&quot; in moto attraverso le 1.000 suggestioni dell&rsquo;Asia centrale. La quinta tappa sulle strade di Russia, Ucraina, Transnistria fino all&rsquo;Italia

In moto dall’Asia centrale all’Italia #5 - LE FOTO

Un viaggio lungo 13.000 km e 11 paesi: Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Russia, Ucraina, Transnistria, Moldova, Romania, Bulgaria, Grecia e Italia. Nella quinta e ultima parte del loro racconto (QUI le puntate precedenti) Francesco e Serena ci parlano delle grandi citt&agrave; Russe in cui hanno fatto tappa, dei brutti incontri in Ucraina, della frontiera inaspettata con la Transnistria e del loro rientro a casa, passando per il relax e le belle spiagge della penisola Calcidica.  &ldquo;SVEGLIA, C&rsquo;&Egrave; DA ATTRAVERSARE LA RUSSIA&rdquo;. &Egrave; l&rsquo;alba e nei nostri piani abbiamo tre giorni per entrare e uscire in quella che rimane la nazione con il territorio pi&ugrave; esteso al mondo. Da Uralsk puntiamo quindi subito verso Samara, dopo aver superato il primo confine. La strada prosegue sulla falsariga di quella kazaka, anche se qui i cantieri si moltiplicano per la costruzione di una vera e propria autostrada a 4 corsie. Sar&agrave; che rimaniamo su strade principali ma la situazione non sembra cos&igrave; disastrosa come pensavamo. Colline ondulate si susseguono senza soluzioni di continuit&agrave;, mentre ai lati della strada, campi di grano gi&agrave; mietuto e girasoli ci ricordano che questo paese ne &egrave; il maggiore produttore mondiale.  AD UN TRATTO CI RITROVIAMO DAVANTI L&rsquo;IMMENSO VOLGA, che in alcuni momenti prende le sembianze di un lago per via delle dighe che alimentano le centrali idroelettriche, fonte d&rsquo;energia per le industrie insediate in questa regione della Russia. Ci fermiamo a Samara. Ovunque, gigantografie della mascotte Zabivaka (in russo, colui che segna) ci ricordano dei recenti mondiali di calcio. Lungo le rive del fiume, spiagge dorate ospitano le classiche strutture che potremmo trovare in una delle nostre localit&agrave; balneari. Peccato per il meteo: sarebbe stata un&rsquo;esperienza interessante prendere un po&rsquo; di sole e fare un bagno in centro citt&agrave;.    NELLE PIAZZE STERMINATE, IL COMPAGNO LENIN indica ancora la direzione al popolo accanto alle chiese ortodosse, mentre la &ldquo;nuova&rdquo; giovent&ugrave; russa passa ininterrottamente da un locale all&rsquo;altro. Nessuno ci chiede pi&ugrave; da dove veniamo, e il suono burbero delle parole dei negozianti, che farebbero venir voglia di uscire senza comprare niente, ci ricorda che siamo oramai fuori dall&#39;Asia Centrale. Nessuno conosce una parola d&rsquo;inglese e il loro russo veloce fa disperare Serena, che fino ad oggi era riuscita a comunicare in questa lingua con chiunque avessimo incontrato. Ovunque, bancarelle con i cimeli dell&#39;ex URSS e dischi di rock russo tra i quali spuntano persino vecchi LP di Pupo e Celentano. Samara ci mostra la Russia che cresce e vuole tornare potenza mondiale: accanto alle vecchie Lada, decine di auto di lusso  IL NOSTRO VIAGGIO PROSEGUE VERSO SARATOV E VORONEZ con una media di circa 600 km al giorno. A circondarci, sconfinate pianure verdi che fanno sembrare minuscola la nostra pianura Padana. Sicuramente torneremo in futuro per esplorare meglio questa regione affascinante, ora per&ograve; &egrave; gi&agrave; tempo di entrare in Ucraina.  &nbsp;  ALLA DOGANA, PERDIAMO UN&#39;ORA PER UN FOGLIO INESISTENTE che uno zelante poliziotto russo ci chiede di mostrargli; ma Serena capisce subito che lo scopo &egrave; tutt&#39;altro quando ci indica la parola Euro. Non ne abbiamo, gli unici soldi nel portafoglio sono 1200 Rubli (meno di 20&euro;) che poco interessano anche a lui. Ci lascia passare. Dal lato ucraino tutto fila liscio, tranne un&#39;altra ora persa perch&eacute; di 10 sportelli aperti solo uno aveva una guardia di frontiera a svolgere le pratiche. Alla fine entriamo, ma &egrave; bastato poco per farci finire dritti in un incubo.  &Egrave; STATO SUFFICIENTE UNO STOP NON VISTO e una frenata cinque metri pi&ugrave; in l&agrave;. Gli agenti erano ovviamente in agguato. Scendiamo dalla moto pensando a un rimprovero o ad una contravvenzione e invece ci ritroviamo con un biondino trentenne che dice essere il capo della polizia locale. Inizia a chiedere da dove veniamo, controlla i documenti nostri e della moto e anche la carta verde. Tutto OK. Ma quando mi chiede se la sera prima avevo bevuto inizio ad agitarmi. Gli dico di s&igrave;: eravamo in Russia, il nostro ultimo vino a cena. Tira fuori un alcool test e mi ricorda che il limite per guidare &egrave; 0,2mg/l. Tra me e me penso &ldquo;nessun problema, sono passate 16 ore, figurati...&rdquo;.  SOFFIO E LUI GIRA IL TEST TENENDOLO IN MANO PER CINQUE MINUTI mentre continua la sua predica. Quando finalmente ci mostra il test, questo segna 0,22mg/l. Non ho certezze, ma a mio parere il test &egrave; stato contraffatto. Se cos&igrave; non fosse, ogni ucraino non dovrebbe guidare il giorno dopo aver bevuto due birre. Da l&igrave; partono discorsi su fermi della moto di tre giorni, multe di 2000&euro; (in una nazione dove lo stipendio di un poliziotto &egrave; di 150&euro;/mese). Non contento chiede a Serena se sa guidare. Lui sa di averci in pugno. In Italia avrei chiesto di rifare il test e di appoggiarlo sul tavolo in bella vista; qui mi lascio prendere dal panico.  INVECE DI INIZIARE A URLARE E MINACCIARE DI CHIAMARE L&#39;AMBASCIATA inizio a chiedere quanti soldi vuole per lasciarci andare. Lui spara 1000&euro; e Serena, pi&ugrave; lucida di me, dice subito che quello &egrave; il nostro stipendio di un mese. Io, sbagliando per la seconda volta, dico che possiamo ritirare 250&euro; e nel frattempo incrocio gli occhi della mia dolce met&agrave; che mi fulmina con lo sguardo. Alla fine, colma di rabbia, Serena resta l&igrave;, fuori dalla caserma ad aspettare, mentre un poliziotto mi porta al primo bancomat distante 30 km volando a 140 Km/h. Ritiro i soldi sotto il suo sguardo zelante, mentre nel sangue mi scorre odio puro. Glieli consegno in macchina e lui mi restituisce patente e libretto. Una volta rientrati mi scarica facendomi segno di stare zitto. HO SBAGLIATO, NON POSSO NEGARLO, a non fermarmi al cartello di stop. Decidiamo di lasciarci tutto alle spalle, domani confidiamo di raggiungere la Moldova, ci possiamo solo augurare che il popolo Ucraino si possa liberare dalla piaga sociale della corruzione che distorce totalmente il concetto di legalit&agrave;.  &nbsp;  IL MATTINO SEGUENTE PARTIAMO PRESTO. Dopo circa 200 km di strada statale con buon asfalto iniziamo a pensare di aver sbagliato strada per via delle strane indicazioni fornite dal navigatore. Seguiamo la M13 verso sud e la condizione del manto peggiora, tra lastre di cemento e buche da dribblare. Poco prima del confine ci fermiamo a fare benzina e consumare il nostro pranzo a base di noci, mandorle e mezza coca-cola.  PECCATO PER&Ograve; CHE NON SIAMO IN MOLDOVA ma in in Transinistria. Il navigatore non era impazzito, cercava solo di farci evitare una delle nazioni autoproclamate del mondo, l&#39;unica forse dell&#39;Europa geografica. Militari in divisa sotto una bandiera rossa e verde, con tanto di simbolo con falce e martello, ci aspettano al varco circondati da due carri armati battenti bandiera Russa.  LA TRANSINISTRIA &egrave; una striscia di terra chiusa tra Ucraina e Moldova, a maggioranza russa, che ai tempi del soviet produceva il 90% dell&#39;energia della ex Repubblica socialista e che possedeva una fabbrica di armi molto importante per l&#39;esercito sovietico. Al momento della dissoluzione dell&#39;impero non &egrave; riuscita a non essere annessa alla Moldova, grazie all&#39;intervento di volontari Ucraini e di un battaglione di soldati Russi. Il risultato &egrave; uno stato poverissimo, di circa 500.000 anime, in cui un&#39;elite ristretta si spartisce i proventi di una distilleria, di una fabbrica di armi e di una Holding facente capo al figlio del presidente. Una sorta di buco nero, tenuto in piedi col benestare della Russia, da cui passa gran parte della merce di contrabbando di questa parte del mondo.  CI ARMIAMO DI TUTTA LA PAZIENZA DI CUI DISPONIAMO. Un poliziotto cerca tra le nostre medicine chiss&agrave; cosa, un altro vuole rispedire indietro Serena per il piccolo strappo sul suo passaporto. Storia gi&agrave; vista, bastano i pochi rubli rimasti dalla Russia per fargli cambiare idea. Passiamo tra mezzi blindati e soldati armati fino ai denti, con un foglietto in mano che ci viene ritirato dopo pochi km. Fine della Transinistria. Al vero confine con la Moldova, grandi sorrisi della guardia e zero controlli nei bagagli. Abbiamo appena passato, senza saperlo, una delle aree pi&ugrave; sconsigliate d&#39;Europa.    ARRIVIAMO A CHISINAU IN SERATA e per la prima volta, dopo 9 giorni e 4.500 km circa, ci concediamo una pausa di un giorno. Tutto ci ricorda il nostro ultimo viaggio in Romania, con i caratteri latini a dominare su quelli cirillici e quella lingua tanto simile alla nostra. La capitale &egrave; il vanto della nazione ma non rappresenta lo standard di vita delle piccole citt&agrave;. Qui troviamo relax per noi e dedichiamo un po&#39; di tempo a rimettere in sesto Africa dopo tanto viaggiare.  &nbsp;  CAMMINIAMO PIACEVOLMENTE NELLE PIAZZE tra filobus e furgoncini carichi, di chi ha appena fatto la spesa o torna da lavoro. Mentre lo facciamo, troviamo un vecchio BMW GS interamente ricoperto di adesivi. Capiamo subito che si tratta di un motoviaggiatore Moldavo. Sul baule, il percorso del giro del mondo iniziato nel 2010, quando ancora si potevano attraversare tutta l&#39;Africa e la Siria. Lo vediamo seduto al bar, un uomo sulla sessantina con lunghi capelli bianchi e il classico gilet pieno di patch da motociclista. Sar&agrave; lui a indicarci il concessionario Yamaha dove troveremo una gomma anteriore e la catena nuova per Africa. &Egrave; il primo concessionario di moto che incontriamo dall&rsquo;inizio del viaggio.  NEL POMERIGGIO CI PERDIAMO NELL&#39;IMMENSO MERCATO e spesso sentiamo parlare Italiano con accenti sparsi, tipici della nostra penisola. Ci sono molte donne del luogo, che lavorano come badanti in Italia. Non perdiamo l&#39;occasione di assaggiare i vini locali. Qui la vite fu importata dai romani e la feteasca &egrave; oggi esportata in tutto il mondo. Trascorriamo il giorno di Ferragosto percorrendo i 700 km necessari ad attraversare Moldavia e Romania fino a raggiungere Veliko Tarnovo in Bulgaria, unica citt&agrave; di quella nazione che riusciremo a visitare.    ORMAI SIAMO IN EUROPA. Veliko Tarnovo &egrave; davvero una delle mete pi&ugrave; visitate della regione e lo capiamo dalle comitive di turisti a cui non eravamo pi&ugrave; abituati. Il motivo fondamentale &egrave; la sua cittadella ben conservata sulla collina che domina la citt&agrave; nuova. Ci godiamo una bella passeggiata tra negozi di ogni tipo e la visita del silenzioso monastero della trasfigurazione a pochi km dalla citt&agrave;. Interamente affrescato, anche sulle pareti esterne, ricorda quelli della bucovina rumena. Due giorni, ed &egrave; gi&agrave; tempo di ripartire verso quel mare che manca dalla nostra estate da troppo tempo: last stop, Greece.  LASCIATA VELIKO TARNOVO attraversiamo il bel passo di montagna Shipka, per poi deviare dal percorso principale e raggiungere la scalinata che porta ad un enorme monumento, in cima alla montagna, in ricordo dei giovani soldati russi e dei volontari Bulgari, che si scontrarono con l&#39;esercito ottomano durante la guerra Russo-Turca. Il panorama &egrave; stupendo cos&igrave; come la strada che ci riporta a valle. Poi la strada torna a salire per attraversare i monti Rodopi che segnano il confine naturale tra Bulgaria e Grecia. Alla frontiera passiamo i documenti al poliziotto bulgaro che li passa a quello greco: appena vede che siamo Italiani ce li consegna con un bel &quot;arrivederci&quot;. Cosi dopo circa 11.500 km entriamo nell&rsquo;undicesimo stato del nostro viaggio.  &nbsp;  ENTRIAMO NELL&#39; EGNATIA ODOS, la prima vera autostrada del nostro viaggio. Un&rsquo;opera di ingegneria enorme che, ricalcando il tracciato dell&#39;antica strada romana, collega la costa occidentale della Grecia al confine con la Turchia. Si copre ormai l&#39;intera tratta da Igoumenitsa alla periferia di Istambul in poche ore a fronte dei giorni di viaggio necessari fino a pochi anni fa. E compare il mare. Quello vero: il nostro Mediterraneo. La gioia vince sul sentimento di malinconia per il viaggio prossimo alla fine. La Calcidica &egrave; quello strano prolungamento nell&#39;Egeo del nord, vicino a Salonicco. Le sue tre dita si allungano nel mare formando tre mondi vicini e molto diversi: Kassandra, ormai sfruttata ai limiti dal turismo giovanile; Sithonia, ammantata da foreste di pini che arrivano a lambire le acque cristalline del suo mare; e monte Athos, uno stato a s&eacute;, abitato solo da monaci ortodossi che vivono nei 20 monasteri o addirittura eremiti nelle grotte. Non &egrave; la prima volta che la visitiamo.    A VOURVOROU &Egrave; NATA UN&#39;AMICIZIA CON IOANNIS e la sua famiglia e quando abbiamo voglia di mare stupendo e tranquillit&agrave; sappiamo di poter contare su di lui. Sithonia &egrave; una penisola il cui periplo misura circa 90 km, con belle strade e vedute stupende sul blu, circondate da rigogliose montagne punteggiate da decine di sorgenti. Al mare ci scivola via di dosso la fatica di guidare, la polvere del Pamir, la sabbia dell&#39;Uzbekistan e del Kazakistan. Il nostro naso torna a respirare come non succedeva da un mese. Torniamo a mangiare pesce freschissimo del mercato, a correre al mattino e a nuotare. L&rsquo;Italia &egrave; ormai vicina.  SCOPERTA DI LUOGHI, PERSONE E STRADE. Questo &egrave; stato il nostro viaggio e posto migliore dove rielaborarlo, non potevamo scegliere. Intanto, in cuor nostro lo sentiamo perfettamente, non finisce qui&hellip; in attesa della prossima storia da vivere e raccontare. Neanche a dirlo, sempre su due ruote!  Il Cicca e la Sere: la pagina Facebook - Foto: Serena Baroncini 

Un raid affascinante e avventuroso, un lento &quot;ritorno&quot; in moto attraverso le 1.000 suggestioni dell&rsquo;Asia centrale. La quinta tappa sulle strade di Russia, Ucraina, Transnistria, fino a raggiungere l&rsquo;Italia

Dall&rsquo;Asia centrale all&rsquo;Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #5

Un raid affascinante e avventuroso, un lento &quot;ritorno&quot; in moto attraverso le 1.000 suggestioni dell&rsquo;Asia centrale. La quarta tappa attraverso il Kazakhstan, passando per Samarcanda fino al lago d&rsquo;Aral

In moto dall'Asia centrale all'Italia #4 - LE FOTO

Un viaggio lungo 13.000 km e 11 paesi: Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Russia, Ucraina, Transnistria, Moldova, Romania, Bulgaria, Grecia e Italia. Nella quarta parte del loro racconto (QUI le puntate precedenti) Serena e Francesco vanno alla scoperta delle citt&agrave; storiche dell&rsquo;Uzbekistan, attraversano il deserto e incrociano lunghe carovane di cammelli che li accompagneranno attraverso il Kazakhstan insieme a Dave l&rsquo;ennesimo incontro del loro viaggio con cui condivideranno l&rsquo;esperienza del mare che non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;: Il lago d&rsquo;Aral.  OGGI SIAMO TORNATI A VIAGGIARE. Facce sorridenti le nostre, di chi non sopporta pi&ugrave; l&#39;idea di essere bloccato in citt&agrave;, vedendo scorrere giorni preziosi di viaggio. Dushanbe &egrave; gi&agrave; lontana e la M34 scorre sotto la moto con un asfalto cos&igrave; perfetto, che sembra irreale dopo settimane di sterrati. Superiamo i monti Fan, la cui visita &egrave; rimandata al prossimo viaggio (troppi i giorni persi) e dopo poco lo smog del tunnel di Anzob ci avvolge. Ce lo avevano raccontato come un incubo, ma i recenti lavori all&rsquo;asfalto e qualche luce di servizio lo hanno reso un attraversamento tranquillo. L&rsquo;attraversamento di frontiera risulta facile, salutiamo il Tagikistan e tempo mezz&#39;ora siamo a Samarcanda.  PASSIAMO DI FRONTE AL REGISTAN cercando di guardare il meno possibile per non rovinarci la sorpresa. Tutto facile, se non fosse che, al momento di pagare l&#39;albergo, ci rendiamo conto che sono spariti i dollari. Riavvolgiamo il nastro di qualche ora: forse l&rsquo;apparentemente ingenua signora che curiosava intorno a noi, mentre caricavamo la moto alle 7.00 del mattino, non stava facendo lezioni rapide di mototurismo. Passiamo il pomeriggio a cercare un bancomat che accetti le nostre carte di credito, poi una cena regale e tanto buon riposo per prepararci, il giorno seguente, alla scoperta di una delle mete pi&ugrave; sognate del nostro viaggio: la mitica Samarcanda.  &nbsp;  LA SUA MAGIA &Egrave; TUTTA RACCHIUSA in una serie imprescindibile di ingredienti: il nome, una storia affascinante, mirabili memorie del passato in bella mostra tra vialoni in stile sovietico. La piazza del Registan vale da sola il viaggio, con le tre medrese che sembrano sfidarsi a colpi di bellezza; ma anche la moschea di Bibi-Khanim, enorme e totalmente aperta, e uno degli angoli pi&ugrave; suggestivi della citt&agrave;: Shah-i-Zinda, un viale ornato di mausolei dei personaggi pi&ugrave; importanti del regno di Tamerlano. Tutto immensamente magnifico. Ci rimane un unico dubbio: il perch&eacute; del muro che nasconde agli occhi dei turisti la citt&agrave; vecchia con le case basse, le vie acciottolate, i forni attivi e i bambini che corrono. Noi lo attraversiamo volentieri e dietro vi troviamo pane freschissimo e cartoline bellissime. Forse, per&ograve;, al turista medio poco importa di come viva davvero la gente di Samarcanda.    IL GIORNO SEGUENTE affrontiamo i 700 km tra Samarcanda e Khiva. I primi 300 scorrono veloci su una strada a quattro corsie fino Bukhara. Poi 100 km di delirio, con una pavimentazione disastrata, tra camion e furgoncini che fungono da taxi collettivi. In quel tratto, il primo incontro inatteso: vediamo da lontano un&#39;auto della polizia e rallentiamo. Una volta vicini, ci rendiamo conto che si tratta di una sagoma. Giungiamo al cospetto del deserto con un&#39;autostrada nuova di zecca ad accoglierci. Guardiamo scorrere le dune e i cespugli, vediamo piccole abitazioni e qualche mucca; ma, soprattutto, piste che sulla nostra cartina portano a pozzi in mezzo al nulla.  IL DESERTO HA FASCINO. Un luogo magico dove miraggi e realt&agrave; si fondono, al punto che la visione, in lontananza, di una moto e tre macchine gialle sulle prime ci lascia incerti. Pensiamo possano essere partecipanti al &quot;Mongol rally&quot;, la celebre traversata tra Londra e Ulan Batur, invece sono due Trabant, una Fiat 126 ed un Java 250 impegnate in un viaggio dall&#39;India fino a Praga. Li ritroveremo a sera, parcheggiati sotto le mura di Khiva.  MA VENIAMO AL PROBLEMA DI GIORNATA: quanti distributori ci sono in un&#39;autostrada nel deserto? Dipende. Mentre il nostro sguardo &egrave; rapito dalle oasi create dal fiume Amu-Darya, tutt&rsquo;a un tratto ci rendiamo conto di aver gi&agrave; percorso 290 km ed essere nel pieno della riserva. Ci fermiamo e sfruttiamo i 2,5 litri della tanica di riserva. Magicamente appare un distributore, ma &egrave; sull&#39;altra carreggiata; cos&igrave; il secondo e il terzo. Panico! Al quarto non abbiamo scelta e ci fermiamo. A turno andiamo in &ldquo;missione&rdquo; con tanica e bottiglia vuota. 5000 somoni (0,50&euro;) e riusciamo a prendere i 4 litri che ci permetteranno di arrivare al distributore dalla &ldquo;parte giusta&rdquo;.  IN FONDO AL DESERTO RITORNA IL VERDE. Siamo a Khiva, citt&agrave; fortificata che si &egrave; mantenuta bene anche grazie ai restauri che l&#39;hanno riportata agli splendori medievali. Possiamo solo immaginare il sollievo che provavano le carovane a vedere quel verde, dopo settimane di sabbia, rocce e polvere. Questo luogo offre il meglio di s&eacute; dal tramonto, quando i suoi vicoli si riempiono di abitanti e le bancarelle turistiche spariscono. Usciamo dalla citt&agrave; museo per vedere il bazar, dove colori, suoni e profumi ci invadono i sensi. Osserviamo il tramonto dalle imponenti mura, mentre il giallo ocra dei mattoni prende le sfumature dell&rsquo;oro.  &nbsp;  RIPERCORRIAMO IL DESERTO e memori degli errori commessi all&rsquo;andata, ci riforniamo ogni volta che possiamo. Mentre Africa corre veloce a circa 100Km/h spunta da un cespuglio uno dei simpatici omini con il manganello che, insieme al suo compare con il tele laser, mi mostra il video prova dell&rsquo;eccesso di velocit&agrave;. Stessa storia: nessun verbale, ma ci tocca pagare; regaliamo altri 70$ alle forze dell&rsquo;ordine. Dobbiamo ancora imparare. Giungiamo nel pomeriggio a Bukhara, citt&agrave; sacra dell&rsquo;Uzbekistan, nella quale si perde quell&rsquo;aria di citt&agrave; museo che avevamo respirato a Khiva.  MOSCHEE, MA ANCHE VASCHE, che nei secoli hanno funto da abbeveratoio (ma al contempo dispensatrici di peste); e le pi&ugrave; belle scuole coraniche mai viste. Medresse incredibili capaci di ospitare fino a 5000 studenti. Ogni facciata e ogni minareto che incontriamo &egrave; decorato a piastrelle, con illustrazioni che, in alcuni casi, infrangono il divieto musulmano di rappresentare volti o animali. Per lo pi&ugrave;, per&ograve;, sono ricoperte da motivi geometrici che ci ricordano come l&rsquo;algebra, la geometria e persino gli algoritmi siano nati da queste parti.    ATTORNO A TUTTO QUESTO una citt&agrave; viva con i suoi negozi e il suo incredibile bazar ma, soprattutto, i suoi fantastici laboratori dove giovani e giovanissimi imparano a realizzare piatti di ottone decorati e oggetti in legno dai maestri. Le donne, magnificamente vestite e di una bellezza che rapisce, lavorano ai telai manuali le preziose sete Uzbeke e confezionano abiti su misura. E&rsquo; bello osservare come il popolo Uzbeko inizi a risollevarsi dopo anni di crisi.  RIPARTIAMO IL GIORNO SEGUENTE e a pomeriggio inoltrato raggiungiamo Tashkent, la capitale, in cui il governo fa di tutto per mostrare (con risultati discontinui) il lato cosmopolita e moderno dello stato. La piazza Amir Timur Maydoni, al centro della quale svetta la statua di Tamerlano, &egrave; quella da cui irradiano le principali vie della citt&agrave;. L&rsquo;ex presidente dittatore, Karimov, costru&igrave; attorno al suo perimetro edifici imponenti, ma davvero poco aggraziati, come ad esempio il Dom Forum. Grazie alla moderna e super-sorvegliata metro, ci spostiamo velocemente verso il &quot;Chorsu&quot; un immenso bazar dove si pu&ograve; acquistare di tutto. Molto pi&ugrave; disordinato e colorato rispetto ai nostri supermercati, ci colpisce la cura con cui sui banchi le spezie formano piramidi perfette. Qui si capisce il prezzo reale dei beni, spesso gonfiato nei ristoranti per turisti.    &nbsp;  DELL&rsquo;USCITA DALL&rsquo;UZBEKISTAN&nbsp;ricorderemo soprattutto l&rsquo;estenuante controllo alla dogana dove una simpatica poliziotta ci fa aprire tutti i bagagli sotto il sole cocente in cerca di chiss&agrave; cosa. Non contenta, ride delle nostre felpe invernali, delle nostre pentole e di tutto quello che ci portiamo dietro. Chiede di ogni cosa e si percepisce che lo fa per farci perdere la pazienza. Siamo pi&ugrave; forti di lei e conserviamo le energie per affrontare i 650 km di strada della nostra prima tappa Kazaka.  UNICA NOTA POSITIVA &egrave; che anche stavolta non dobbiamo pagare nessuna mazzetta e iniziamo a pensare, o a sperare, che le storie di corruzione alle frontiere lette in tanti racconti appartengano al passato. Entriamo nel quarto stato del nostro viaggio, percorrendo una perfetta strada asfaltata, facente parte del nuovo corridoio Russia-Cina. Ai suoi lati i primi cammelli, s&igrave;, quelli con due gobbe, e mandrie di cavalli liberi al galoppo nella steppa. Attraversiamo le decine di canali di irrigazione che deviano il Syr Darya e hanno contribuito a prosciugare il Lago d&#39;Aral, uno dei pi&ugrave; grandi disastri ambientali dei nostri tempi. Arriviamo in serata a Quyzylorda, e ad attenderci nel parcheggio dell&#39;hotel c&#39;&egrave; un bel KTM 990 adventure.    DOPO LE DECINE DI BIKER AVVISTATI IN PAMIR, da circa una settimana siamo tra i pochi a percorrere queste strade in moto, per la gioia degli automobilisti, che pi&ugrave; volte ci fotografano dalle loro macchine. Un minuto e arriva Dave, arzillo pensionato canadese, che con la moto di un suo amico, si sta confezionando un viaggio senza limiti di tempo tra Asia, Europa e il coast to coast degli USA. Ci ritroviamo con lui dopo una bella doccia, a cena davanti a una birra ghiacciata, che rinfresca e aiuta la conversazione. Bastano poche parole e tutto &egrave; deciso: le nostre strade proseguiranno unite per attraversare la pianura desertica del Kazakhstan.  &nbsp;  DAVE ERA UN EX PIOTA DI MOTO, la cui carriera si &egrave; interrotta per un mostruoso incidente; &egrave; simpatico e ride mentre gesticoliamo quando guidiamo; ride della moka e delle nostre colazioni dolci, lui che non pu&ograve; rinunciare a uova, pane e salsicce; ride del nostro inglese e lo fa con noi, ogni volta che ci scordiamo una parola e cerchiamo in ogni modo di farci capire; ride del nostro serbatoio troppo piccolo, lui che con 50 litri potrebbe fare 700 km e invece si ferma con noi ogni 250 km; ride quando Serena mi chiede di fermarci per catturare con la sua macchina fotografica cammelli e strani cartelli stradali che parlano di divieti di circolazione e temperature. E noi ridiamo con lui, che ha tre figli e che dovr&agrave; tornare a casa prima della nascita di suo nipote.    CON LUI CONDIVIDIAMO LA TRISTE VISIONE DEL LAGO D&#39;ARAL, quello che fu uno dei laghi salati pi&ugrave; grandi e pescosi del mondo. A partire dagli anni &lsquo;50 l&#39;Unione Sovietica decise di deviare i suoi principali emissari (Amu Darya e Syr Daria) con canali di irrigazione per le piantagioni di cotone. Risultato? Dal 1978 a oggi la linea dell&#39;acqua &egrave; arretrata di 100 km. La tragedia &egrave; visibile ad Aralsk, cittadina kazakha, di una tristezza disarmante. Qui c&#39;erano l&#39;industria di pesca pi&ugrave; grande dell&#39;ex URSS, cantieri navali dove lavoravano 3.000 persone, spiagge e stabilimenti balneari. Hanno lasciato le gru su quella che una volta era la banchina del porto. Dove c&#39;era l&#39;acqua, rimangono sabbia e polveri contaminate dai fertilizzanti dell&#39;agricoltura.  DOPO ARAL SI &ldquo;VOLA&rdquo; A AQTOBE. Qui, per la prima volta in tutto il nostro viaggio, vediamo clochard chiederci soldi e tanti di loro, forse troppi, visibilmente alcolizzati o intossicati da chiss&agrave; quale droga. L&rsquo;ultima tappa insieme a Dave &egrave; lunga altri 600 km tra pianure, deserti, piantagioni, oasi e cammelli, fino a raggiungere Uralsk. Altra enorme citt&agrave; dopo km di nulla. Tutto sembra nuovo e non finito; dalle strade ai negozi, dalle case alle banche. Dave si fermer&agrave; qui due giorni, prima di affrontare la settimana di viaggio attraverso la Russia, per dirigersi poi verso capo Nord. Strade che si sono incrociate e che ora tornano a dividersi.    CI GODIAMO TUTTI INSIEME un&rsquo;ultima cena cucinata da Serena e annaffiata con ottimo vino georgiano. &ldquo;Goodbye David&rdquo;, domani non ti potremmo pi&ugrave; vedere nel nostro specchietto. Un giorno forse ti raggiungeremo in Canada per vivere una nuova avventura insieme. Noi domani continueremo il nostro viaggio verso Ovest, oltre il confine ci attende la Russia.  Il Cicca e la Sere: la pagina Facebook - Foto: Serena Baroncini 

Dall&rsquo;Asia centrale all&rsquo;Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #4

Un raid affascinante e avventuroso, un lento &quot;ritorno&quot; in moto attraverso le 1.000 suggestioni dell&rsquo;Asia centrale. La terza tappa, dal corridoio del Wakhan alla sosta forzata di Dushambe

In moto dall’Asia centrale all’Italia #3 - LE FOTO

Un viaggio lungo 13.000 km e 11 paesi: Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Russia, Ucraina, Transnistria, Moldova, Romania, Bulgaria, Grecia e Italia. Nella terza parte del loro racconto (QUI le puntate precedenti) Serena e Francesco si avventurano tra gli incredibili paesaggi del corridoio del Wakhan, incontrando strade difficili e persone disposte ad aiutarli di fronte a problemi e imprevisti, fino alla sosta forzata di Dushambe.  ORMAI &Egrave; CONSUETUDINE, al mattino non c&rsquo;&egrave; bisogno di regolare la sveglia per ritrovarsi in moto prestissimo. Giunti al bivio per il Wakhan, svoltiamo abbandonando l&rsquo;asfalto. Subito il gioco si fa duro, con il tule ondul&egrave; che ci accompagna per i primi km. Arriva la sabbia e la temperatura si alza. Incrociamo un motociclista che viaggia sulla sua Royal Enfield strusciando i piedi per terra. So che non posso guidare in quel modo per 200 km, quindi mi tengo in piedi sulle pedane e lascio che il manubrio di Africa oscilli, seguendo le asperit&agrave; del terreno. Per un istante mi chiedo chi ce l&rsquo;ha fatto fare.  POI LA STRADA DIVENTA QUASI UN SENTIERO e arrivano le pietre smosse e i canaloni da guadare. Sento Serena tranquilla quando ogni tanto urlo - &ldquo;Reggiti! Reggiti!&rdquo; - mentre do gas. So perfettamente che se mi fermo su quelle pietre potrebbe finire male. Altre volte &egrave; Serena che mi urla nell&rsquo;interfono: &ldquo;France dai gas!&rdquo;. Nei momenti di tregua ci godiamo i conigli selvatici che sembrano chiederci cosa ci facciamo lass&ugrave;. Incontriamo un paio di laghi, poi l&rsquo;ultimo volo sopra i 4.000 del Kargush pass.  IL POSTO DI BLOCCO DEL GBAO lo incontriamo dopo qualche chilometro. Buona parte del Pamir &egrave; sotto l&rsquo;amministrazione di una regione autonoma (Oblast). Il Wakhan &egrave; una striscia di terra che si insinua tra Afghanistan e Pakistan, uno dei risultati del grande gioco che vide coinvolte Russia e Regno Unito per spartirsi questo angolo di mondo nel XIX secolo. La regione &egrave; quella del Gorno Badakhshan e gli abitanti sono fieri di definirsi discendenti della famiglia di Al&igrave;, seguaci dell&rsquo;Ismailismo, setta dell&rsquo;islamismo sciita diffusasi qui nell&rsquo;XI sec. In giro non si vedono moschee ma sale di preghiera e piccoli santuari in cui i devoti lasciano offerte. Si tratta di un Islam moderato, profondamente diverso da quello imposto dai Talebani nel vicino Afghanistan.  &nbsp;  DA KARGUSH, LA STRADA PRENDE A SCENDERE ma quando il peggio sembra ormai alle spalle, ecco di nuovo le pietre smosse e la mancanza di protezione su un dirupo di centinaia di metri. Come se non bastasse, nell&rsquo;ultimo tratto arrivano cinque tornanti occupati da decine di mucche in sosta. Mi attacco ai freni della moto. Intanto lo sterzo si chiude da una parte all&rsquo;altra, mentre suono il clacson all&rsquo;impazzata, cercando contemporaneamente di non cadere nel dirupo e di evitare le mucche.    ABBIAMO VINTO&hellip; per fortuna! La strada diventa pianeggiante e tornano a farsi vedere gli alberi e qualche casa. Siamo a Langar, dove consumiamo il meritato pranzo e ripartiamo. Il paesaggio &egrave; da levare il fiato, tra piccoli villaggi assonnati e l&rsquo;impetuoso Panji, che ci divide dalla strada sterrata e dalle case afghane. Alle nostre spalle, sua maest&agrave; Hindu Pradesh, che con i suoi 7000 m e oltre segna la divisione tra Pakistan e Afghanistan. Tutt&#39;intorno, alberi da frutta, pioppi verdissimi e pascoli, come non ne vedevamo da giorni.  SAR&Agrave; PER LA BELLEZZA DEL LUOGO o per essere a soli 30 km dalla meta, che prendo alla leggera i detriti sulla strada lasciata dal fiume: mi fermo, faccio scendere Serena per sorreggere la moto e, proprio quando mi sembra di avercela fatta, cado come un sacco di patate. Dopo aver passato indenni la strada pi&ugrave; brutta mai percorsa, riesco a cadere praticamente da fermo. Ripartiamo, ma dopo 10 Km sentiamo un gran botto e Serena inizia a urlare: &ldquo;Abbiamo perso la valigia!&rdquo;. E&rsquo; stato tristissimo vedere nello specchietto la borsa aperta e le nostre cose sparse sulla strada. Mi fermo, a spezzarsi &egrave; stata la vite che regge, sia la pedana del passeggero, che l&rsquo;attacco della valigia.    ANCHE STAVOLTA C&rsquo;&Egrave; CHI CI AIUTA: un pick-up si ferma, carica su tutte le valige e ci accompagna da quello che loro chiamano &ldquo;Service&rdquo;. E&rsquo; il meccanico del villaggio capace di aggiustare praticamente di tutto. E cos&igrave; &egrave;, anche per l&rsquo;attacco della borsa, dopo qualche ora di lavoro. Ripartiamo ma si sa, la fretta &egrave; cattiva consigliera e sbagliamo ad agganciare le borse. Dopo altri 10 Km vola di nuovo via la stessa borsa.  SIAMO DISTRUTTI: cinque ore prima eravamo convinti di essere arrivati; ora gli ultimi 15 km sembrano impossibili da percorrere. Sognavamo una doccia e una passeggiata alle sorgenti di Bibi Fatima; siamo ancora a lottare tra polvere e borse che volano. Rimontiamo tutto e con il sole ormai al tramonto prendiamo la deviazione per le sorgenti. Cerchiamo &ldquo;Akim Homestay&rdquo;, ma sar&agrave; lui a trovare noi. Mentre Serena prova a cercare la casa a piedi, io lo sento bussare alle mie spalle. E&rsquo; davvero buffo, con il suo cappello e la tuta. In quel momento non lo so ancora, ma saranno lui e la sua famiglia a rimetterci in sesto. Mi dice che al cancello di casa mancano duecento metri di strada fangosa. Salto lo scalino ma per la troppa velocit&agrave;, l&rsquo;anteriore scivola facendomi cadere ancora. Sono distrutto!  AKIM CORRE COME UN PAZZO insieme ad un altro ragazzo e in quattro solleviamo la moto. Non faccio in tempo a parcheggiare nel cortile che io e Serena scoppiamo a piangere come due bambini. Sono le 20:30, &egrave; buio, abbiamo fame e siamo a pezzi fisicamente e psicologicamente. Crolliamo tra gli abbracci di Akim e sua moglie che ci trattano come figli. Doccia calda e la pi&ugrave; buona zuppa di verdura mai mangiata. E&rsquo; deciso staremo qui due giorni: dobbiamo rimettere insieme noi e la moto.  NE APPROFITTIAMO ANCHE PER VISITARE IL FORTE DI YAMCHUN, godendoci finalmente lo splendore della valle, camminiamo fino alle sorgenti di Bibi Fatima. La sera finalmente conosciamo meglio Akim, che manger&agrave; insieme a noi. Il professor Akim (io e Serena insegniamo entrambe alle superiori) &egrave; da 38 anni il preside della scuola di Togouz, ha quattro figlie femmine e un maschio; si &egrave; laureato a Mosca e rimpiange un po&rsquo; i tempi dell&rsquo;unione sovietica in cui si poteva volare fino a laggi&ugrave; con pochi dollari e i servizi di istruzione e salute erano garantiti per tutti. In quello che da noi sarebbe considerato un agriturismo, produce tutto ci&ograve; che ci offre da mangiare. Gli piace ospitare i viaggiatori ed &egrave; felice di parlare in russo con Serena mentre ci mostra con orgoglio il suo guest book pieno di dediche di turisti da ogni parte del mondo. Tra una chiacchiera e l&rsquo;altra si fa tardi ed &egrave; ora di spegnere le luci e di andare a letto.  &nbsp;  LA MATTINA DOPO, tra un bacio e un abbraccio, ripartiamo. Proseguiamo fino a Korogh senza grandi inconvenienti. La strada sterrata in alcuni punti scende al livello delle acque impetuose del Panji e possiamo scorgere, sulla sponda opposta, l&rsquo;Afghanistan, dove uomini in abiti tradizionali si spostano a bordo di muli e piccole moto. Ad Ishkashim ritroviamo l&rsquo;asfalto e vediamo il ponte di attraversamento del confine. Giunti a Korogh nel primo pomeriggio, evitiamo gli alberghi che offrono camere ai turisti per 60$ a notte (incredibile come ci caschino in tanti, in una nazione dove il costo medio della vita permette con quei soldi di pagarsi vitto e alloggio almeno per tre notti). Troviamo sistemazione presso una famiglia. Le case tornano ad avere la forma delle nostre e i comfort a cui siamo abituati. La citt&agrave; &egrave; pi&ugrave; piacevole di Murghab e la sera ci concediamo il &ldquo;lusso&rdquo; di cenare in un ristorante in riva al fiume potendo scegliere da un men&ugrave;.    L&rsquo;INDOMANI, PRIMA DI PARTIRE, NOTO L&rsquo;ANTERIORE UN PO&rsquo; SGONFIO ma non gli do troppo peso e, grazie al compressore portatile, riporto tutto alla corretta pressione. Non far controllare la camera d&rsquo;aria si riveler&agrave; un errore che pagheremo caro lungo i 240 km di pessima strada per Kala-i Khumb: saremo costretti a fermarci dal gommista di un piccolo villaggio per far mettere un&rsquo;altra toppa alla camera d&rsquo;aria.  LA STRADA &Egrave; PESSIMA: asfalto con buche enormi, tanto da rimpiangere la sterrata dei giorni precedenti. Si procede con lentezza, al punto che la media scende sotto i 30 Km/h. Ad ogni colpo spero di non spaccare niente. Diventa difficile salutare anche i mille bambini sorridenti dei villaggi che attraversiamo. Gli ultimi 10 km sono critici, la strada &egrave; davvero brutta e monotona. Arriviamo a destinazione dopo otto ore di guida ininterrotta e 6 litri di acqua consumata. Per la notte scegliamo un ostello che capiamo aver ospitato centinaia di motociclisti dai tanti adesivi lasciati sul cancello; si riconoscono anche viaggiatori italiani. Ottima cena e tanto riposo.  IL MATTINO SEGUENTE RIPARTIAMO VERSO DUSHAMBE, TAGIKISTAN: finalmente ritroviamo l&rsquo;asfalto vero. Si sale verso lo Shurabad Pass dove sembra di essere in Austria. Mentre scendiamo verso gli 800 mslm della capitale, in cui troviamo velocemente l&rsquo;appartamento prenotato il giorno prima, iniziamo a sentire caldo. Rimane, per&ograve;, una brutta sensazione e c&rsquo;&egrave; da chiedersi perch&eacute; tutto sia cambiato appena usciti dal GBAO. Strade perfette, cartelli, strisce pedonali, lampioni e case con giardini. Addirittura fermate del bus con pensilina. Case con impianti elettrici e Wi-Fi, rete mobile con 3 o 4G sempre a disposizione.  &nbsp;  PENSIAMO TUTTO QUESTO mentre l&#39;ennesima immagine del presidente del Tagikistan ci sorveglia dall&#39;alto attorniato ora da operai felici, ora da studenti ammirati. Pensiamo e non capiamo mentre vediamo passare i politici ben vestiti sulle loro macchine di lusso. Pensiamo e torniamo l&agrave;, dove anche i nostri occhi tornavano pari a quelli di un bambino, perch&eacute; vedevano quello che non avevano mai visto. A Dushanbe cerchiamo di riprendere i chili persi in Pamir e tornare a vita pi&ugrave; regolare. Facciamo la spesa e mangiamo quel che ci va, possiamo usare la lavatrice e fare i turisti alla coperta di una citt&agrave; che alla fine tanto brutta non &egrave;. Qui c&rsquo;&egrave; anche l&rsquo;unico meccanico per moto di tutto il Tajikistan, nato per dare assistenza a chi esce con le ossa rotte dal Pamir: &egrave; da lui che andiamo non appena possibilr.    AZIZ CI MOSTRA IL PARAOLIO ROTTO, che insieme al cupolino spezzato e alle viti della pedana del passeggero da sostituire, sono i danni pi&ugrave; evidenti di 3.000 Km di fuoristrada. Abbiamo abusato di Africa e lo sappiamo. Viaggiare in due, stracarichi su quelle strade, vuol dire sottoporre a sollecitazioni estreme la moto. E se all&rsquo;inizio avevamo avuto qualche dubbio sulla tenuta della nostra compagna di viaggio, ci &egrave; bastato passare una mattina in compagnia di Aziz, per veder sfilare moto di ogni genere ed et&agrave; in cerca di cure.  RIMANIAMO BLOCCATI PER QUATTRO GIORNI in attesa del paraolio ordinato da Mosca. Giorni interminabili, che ci fanno salire la voglia di ripartire a livelli altissimi, grazie alle storie di altri motoviaggiatori di lungo corso, in quella che assomiglia pi&ugrave; al classico bar da motociclisti che ad un&rsquo;officina. Quando il corriere consegna il pacco ad Aziz, la mattina del quinto giorno, esultano con noi tutti i presenti. Da domani si riparte verso l&rsquo;Uzbekistan, ma questa storia merita un nuovo capitolo.  Il Cicca e la Sere: la pagina Facebook - Foto: Serena Baroncini 

Dall&rsquo;Asia centrale all&rsquo;Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #3&nbsp;

Un viaggio lungo 13.000 km e 11 paesi: Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Russia, Ucraina, Transnistria, Moldova, Romania, Bulgaria, Grecia e Italia. Nella seconda parte del racconto (QUI la prima parte), Serena e Francesco raggiungono i suggestivi territori del Palmir, attraversano passi &ldquo;sul tetto del mondo&rdquo; e scoprono uno dei luoghi pi&ugrave; belli mai visitati in tutta la loro vita.  CI SVEGLIAMO PRESTO. Davanti a noi le montagne che segnano il confine del Pamir. Sotto le ruote, la strada M41, che in questo tratto si presenta ancora asfaltata. Siamo quasi timorosi al cospetto di tanta bellezza e inconsapevoli di ci&ograve; che ci aspetta. Lungo la strada, solo noi e una BMW GS targata Germania con a bordo una coppia di Turchi. Scambiamo due parole alla frontiera di Bordobo (Kirghizistan), che stranamente superiamo in fretta malgrado la tipica burocrazia di stampo sovietico e le tante storie sulla corruzione di cui avevamo letto. La nostra Africa borbotta tra una buca e l&rsquo;altra ma l&rsquo;altitudine sembra dare pi&ugrave; noia a noi che a lei.  QUINDICI CHILOMETRI DI TERRA DI NESSUNO. Superiamo il primo passo a 4.282 mslm, caratterizzato da montagne color rosso e strada in terra battuta (Kyzyl Art Pass). Il colore del cielo, a queste altezze, diventa puro, non ci sono altri termini per descriverlo. Una cosa che sconvolge. In cima al passo troviamo la figura di una &ldquo;pecora di Marco Polo&rdquo;, cos&igrave; chiamata perch&eacute; divenuta nota in Europa grazie ai racconti del grande viaggiatore. Dopo secoli di caccia spietata oggi &egrave; un animale protetto, sebbene alcuni abitanti del luogo parlino di turisti pronti a pagare cifre spropositate, pur di ucciderne una e farsela spedire imbalsamata a casa. Noi ci accontenteremmo di catturarla con la nostra macchina fotografica.  POCO OLTRE, LA FRONTIERA TAGICA. Anche in questo caso nessun problema tranne la richiesta di cantare qualche verso di Toto Cutugno e dei Ricchi e Poveri da parte dei gendarmi. Strana, poi, la tassa per la disinfestazione della moto con un soldato che spruzza da uno zaino del liquido sulle ruote, simile a quello che si usa per dare il rame. Impareremo presto, che le doti maggiormente richieste nei passaggi di frontiera da queste parti, sono la calma e la pazienza, e cos&igrave; l&rsquo;ora passata a girare tra i vari uffici in cui tutti chiedono soldi (ma rilasciano ricevuta) passa in fretta. Tutto troppo facile?  &nbsp;  PROPRIO COS&Igrave;. A pochi chilometri dal passo, una frana ci costringe a fermarci e a riflettere sul da farsi. Il guado di per s&eacute; non sarebbe difficile ma lo scalino da superare &egrave; piuttosto alto: cadere nel torrente sarebbe un disastro. Pochi secondi e ci raggiunge la coppia turca sul GS che avevamo conosciuto prima. Cerchiamo di proseguire, seguendo una pista che sembra aggirare l&rsquo;ostacolo, ma nulla da fare. Rimane un&rsquo;unica soluzione: affrontare il guado. Uno di noi monter&agrave; in sella e gli altri tre cercheranno di tenere la moto lateralmente. Iniziamo con il GS e fino all&rsquo;ingresso del guado tutto ok. Sentiamo l&rsquo;acqua arrivare alle ginocchia, proseguiamo. Ecco lo scalino, &egrave; alto circa 50 cm. Malgrado la stazza, il pilota turco &egrave; gi&agrave; privo di appoggi con i piedi. Si fatica, il motore urla. Ma dopo uno dei secondi pi&ugrave; lunghi della nostra vita, si passa dalla parte opposta.  ORA TOCCA AD AFRICA, ma non voglio fare il supereroe, e la mole del turco mi suggerisce di lasciare il manubrio a lui. Monta in sella. Stesse identiche operazioni di prima, ma i secondi, malgrado si parli della nostra moto, passano pi&ugrave; velocemente. Nella testa risuonano le parole del mio amico Fabio: &ldquo;Basta aspettare, darsi una mano a vicenda e gli ostacoli si superano&rdquo;. Abbracci e strette di mano; attimi di gioia pura dopo la paura. Vedremo il profilo della moto turca sparire all&rsquo;orizzonte durante una delle nostre pause fotografiche.    LA STERRATA PROSEGUE FINO AL PASSO UY BULOQ a 4.332 m. Siamo in un territorio che ricorda quello lunare, privo di vegetazione, dove montagne color grigio sono sormontate da ghiacciai di una bellezza impressionante. Lo stupore &egrave; enorme quando, dopo pochi km, ci si apre davanti a noi&nbsp;il profilo del lago Karakul. Formatosi in seguito all&#39;impatto di&nbsp;un impatto di un meteorite, &egrave; uno dei laghi alpini pi&ugrave; alti del pianeta. Prendete il blu pi&ugrave; bello che conoscete, il cielo celeste dei vostri sogni e circondate il tutto con le montagne ricoperte del bianco pi&ugrave; candido, solo cos&igrave; avrete un&#39;idea di questo luogo. Le vette che abbiamo davanti sono quelle che solo il giorno prima stavamo guardando dall&rsquo;altra parte. Da lontano riconosciamo il profilo del Pick Lenin. Ora finalmente lo possiamo dire: siamo sull&rsquo;altopiano del Pamir, quota: 3923 mslm.  IL SILENZIO &Egrave; TOTALE e non riusciamo a trattenere l&rsquo;emozione per ci&ograve; che stiamo vivendo. Mentre scendiamo verso le rive del lago cosparse di sale (le sue acque ne sono ricche) iniziamo a pensare che si tratti davvero del luogo pi&ugrave; bello del mondo. Ci fermiamo nel piccolo villaggio sulle sue sponde, che ha lo stesso nome del lago.    LASCIATA LA STRADA PRINCIPALE, sparisce l&rsquo;asfalto e al suo posto, terra e polvere. Per quanto modesta, la piccola casa che funge da Home stay &egrave; pulita e l&rsquo;ospitalit&agrave; offerta la rende pi&ugrave; calda e accogliente di tanti hotel in cui siamo stati. Il prezzo &egrave; irrisorio per noi occidentali: circa 10$ la mezza pensione. Passiamo il resto del giorno a camminare lungo il lago e alla scoperta del piccolo villaggio, dove assistiamo a diverse scene di vita quotidiana. Entriamo anche in un tipico &ldquo;market&rdquo;: una stanza in cui si trova di tutto, dallo zucchero alle vecchie divise militari russe, dalla pasta ai bottini, dall&rsquo;olio alle lampadine ma soprattutto, una valanga di caramelle. Non cercate frutta e verdura, da queste parti non arrivano.  &nbsp;  LA VITA IN QUESTI LUOGHI &Egrave; MOLTO DIVERSA DALLA NOSTRA. Solo poche case hanno la linea elettrica, ancora meno una parabola per ricevere la TV. Le abitazioni sono fatte di mattoni di sabbia e fieno, il bagno &egrave; un buco per terra in un casottino esterno e la luce in casa arriva fino alle dieci, solo grazie all&rsquo;uso di batterie da auto o di un piccolo generatore a benzina (per i pi&ugrave; fortunati). Si dorme a terra su soffici materassi, infilati dentro &ldquo;sacchi&rdquo; che ricordano vagamente i nostri piumoni. In casa si sta senza scarpe, tranne le madri e le nonne, che calzano alti stivali lucidi per rispettare l&#39;abbigliamento tradizionale. Non esistono tavoli o sedie ma piccoli palchi rialzati sui quali condividere i pasti seduti per terra. Il modo in cui queste persone condividono le poche risorse con chi siede allo loro tavola e quella mano sul cuore con cui sono soliti salutare, aprono gli occhi sul vero significato della parola ospitalit&agrave;.  TORNIAMO ALLA HOME STAY e nella confusione delle chiacchiere con alcuni viaggiatori, sentiamo arrivare altre moto, incredibilmente hanno targhe australiane. Sar&agrave; Kim a raccontarci del loro viaggio: partiti dall&rsquo;Australia con un gruppo di sei moto, spedite a Vladivostok, dopo varie vicissitudini si sono ritrovati a viaggiare in soli due equipaggi: Kim con sua moglie e un altro viaggiatore dal nome incomprensibile. Hanno attraversato la Siberia e girovagato per la Mongolia, proseguiranno per gli &ldquo;Stan&rdquo; e poi via fino in Europa dove, in Portogallo, prenderanno il volo di ritorno verso casa. Nessun vincolo temporale. Le moto le venderanno prima di rientrare.    LA MATTINA SEGUENTE ci mettiamo in marcia molto presto. Lungo la strada iniziamo a scorgere i primi yak al pascolo. Qui non ci sono alberi e i prati rappresentano l&rsquo;unica forma di vegetazione. Voliamo sul tetto del mondo mentre le marmotte si nascondono al passaggio della moto e finalmente eccoci: il secondo passo carrozzabile pi&ugrave; alto del mondo. Per noi, l&#39;Ak-Baital o passo del Cavallo Bianco (4.655 mslm), rimane il punto pi&ugrave; alto mai raggiunto in moto. Pensavamo di patere di pi&ugrave; l&rsquo;altitudine, e invece, solo un po&#39; di respiro affannato.  DOPO IL PASSO INCROCIAMO UNA MACCHINA TARGATA ITALIA. Alessandro &egrave; partito ad Aprile dall&rsquo;Emilia a sua Citroen C3 ed &egrave; prossimo al giro di boa. Ci dice che ha evitato il Wakhan perch&eacute; troppo duro con una vettura normale, mentre la tratta di M41 che passa a nord non gli &egrave; sembrata troppo difficile. Ci salutiamo. Davvero strano trovare da queste parti qualcuno che&nbsp;abita a pochi km da casa tua.  POCO PI&Ugrave; AVANTI IL SECONDO INCONTRO DI GIORNATA. Sul ciglio della strada, un uomo a bordo di un vecchio sidecar della Ural con motore boxer. E&rsquo; carico di Tersken, cespugli a ricrescita lenta ma che bruciano velocemente, usati dai locali per scaldarsi. Ci dice che ha bisogno di benzina, mentre agita tra le mani banconote per pagarci. Lo aiutiamo cedendogli i 3 litri che conserviamo nella tanica di scorta. Non manca molto a Murghab e il carburante che abbiamo nel serbatoio &egrave; sufficiente. Ci spiega che sta portando i cespugli ai pastori nomadi, che rimangono nelle yurte a badare alle greggi. Per noi la ricompensa pi&ugrave; bella non sono i soldi, che gentilmente rifiutiamo, ma la sua gioia nel ringraziarci e salutarci.  &nbsp;  SCENDIAMO SALUTANDO QUALCHE MOTOCICLISTA e soprattutto ciclisti che, a volte, ci fermano per chiedere distanze chilometriche e condizioni delle strade. Rispondiamo con piccole bugie. Noi che siamo anche ciclisti, sappiamo che spesso &egrave; la testa a comandare le gambe e non viceversa. Arriviamo a Murghab prestissimo e decidiamo subito di proseguire verso Alichur, ma ci fermiamo a vedere l&rsquo;unica vera citt&agrave; all&rsquo;interno dell&rsquo;altopiano del Pamir (dista circa 130 km, in entrambe le direzioni, da tutti gli altri centri abitati).    DUE STRADE CORRONO PARALLELE e nel mezzo l&rsquo;abitato della cittadina, tra vie polverose e case leggermente pi&ugrave; moderne rispetto a quanto visto a Karakul. Mettiamo benzina e proviamo a cercare qualcosa da mangiare nello strano bazar fatto di negozi-container. Riusciamo a trovare acqua, pane, un paio di pomodori e qualche susina. Anche qui pochi prodotti freschi ma montagne di caramelle che, dalle nostre parti, farebbero la fortuna dei dentisti. Se il Pamir &egrave; un elogio alla bellezza, davvero non si pu&ograve; dire lo stesso di Murghab: nonostante la stupenda posizione e i monti che la circondano, ci appare davvero brutta e poco accogliente.  USCITI DALLA POLVERE E DALLO SMOG DEI CAMION, ritroviamo la pace del Pamir e un ottimo posto dove consumare il pranzo: uova sode, pane e pomodori, con vista sulla Pamir Highway. Sar&agrave; per la fame o forse il paesaggio ma ci &egrave; sembrato uno dei pasti pi&ugrave; buoni del viaggio. Nel pomeriggio arriviamo ad Alichur e ci sistemiamo nella prima Home stay che troviamo. Doccia, qualche panno da lavare, piccoli lavori alla moto e una passeggiata nel villaggio per sgranchire le gambe dopo otto ore di moto. Ceniamo insieme a chi ci ospita con una buonissima minestra di verdure e tanto pane fresco, accompagnando il tutto con cay e acqua di sorgente. Quando cala il sole vediamo i quattro bambini della casa che si preparano il letto e noi facciamo altrettanto.  ORMAI &Egrave; DECISO: domani inizia l&rsquo;avventura nella valle del Wakhan e speriamo che la nostra scelta si riveler&agrave; quella giusta.  Il Cicca e la Sere: la pagina Facebook - Foto: Serena Baroncini 

Un raid affascinante e avventuroso, un lento &quot;ritorno&quot; in moto attraverso le 1.000 suggestioni dell&rsquo;Asia centrale. La seconda tappa, alla scoperta del Palmir&nbsp;

Dall&rsquo;Asia centrale all&rsquo;Italia, il viaggio in moto del Cicca e la Sere #2

In moto dall’Asia centrale all’Italia #2 - LE FOTO

Un&nbsp;viaggio affascinante e avventuroso,&nbsp;un lento &quot;ritorno&quot; in moto attraverso le 1000 suggestioni dell&rsquo;Asia centrale. La prima tappa, dai preparativi al&nbsp;Kirghizistan

In moto dall’Asia centrale all’Italia - LE FOTO

Un viaggio lungo 13.000 km e 11 paesi: Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Russia, Ucraina, Transnistria, Moldova, Romania, Bulgaria, Grecia e Italia. Nella prima parte del loro report, Serena e Francesco ci raccontano la scelta del percorso, paure e timori prima della partenza&nbsp;e di come queste si siano sciolte, insieme al loro meticoloso programma, di fronte agli imprevisti che hanno dovuto affrontare fin dall&rsquo;inizio, fin dalla prima nazione visitata: il Kirghizistan.  TRENO, PULLMAN E AEREO. Davvero strano come inizio per un viaggio in moto. Durante le passate avventure su due ruote, eravamo arrivati fino alla sponda occidentale del Caspio. il Caucaso ci aveva conquistato. Ma cosa avremmo potuto scoprire oltre? Sulla cartina potevamo leggere di Stati dai nomi impronunciabili, che finivano tutti con &ldquo;stan&rdquo;, &quot;terra di&quot;.&nbsp;Paesi custodi di territori affascinanti ed eterogenei, dai deserti sconfinati ad alcune tra le montagne pi&ugrave; alte del pianeta, fino ai laghi salati al confine con la Cina. E poi una citt&agrave;, cos&igrave; importante nei libri di storia, che il pensiero di raggiungerla con la nostra moto valeva da solo il viaggio. E al centro di tutto il Pamir: un luogo quasi mitologico per chi, come noi, passa inverni a sognare, leggendo libri e racconti di altri viaggiatori.  COME FARE PER RAGGIUNGERE QUEI LUOGHI E RIUSCIRE A TORNARE, nei 45 giorni a nostra disposizione? Unica soluzione: spedire la moto. Cercando su Internet si trovano tante agenzie che si occupano di &ldquo;recapitare&rdquo; mezzi di ogni tipo, in ogni parte del globo. Ne scegliamo una con una grande esperienza in quella regione del pianeta. Pensavamo che il pi&ugrave; fosse fatto, ma invece eravamo solo all&rsquo;inizio della nostra progettazione: visti, scelta del percorso, scelta delle gomme e dell&#39;equipaggiamento, cartine da acquistare e, soprattutto, domande a raffica ai nostri amici globetrotter che avevano gi&agrave; visitato quei luoghi.  QUESTIONE PRINCIPALE: la condizione delle strade. Io non sono un pilota di off-road e Serena ama molto pi&ugrave; l&#39;asfalto che lo sterrato, ma se per visitare un luogo unico ci sono chilometri su ghiaia, sassi o terra da percorrere, non ci tiriamo certo&nbsp;indietro. Stavolta, per&ograve;, la situazione &egrave; pi&ugrave; complessa; leggendo nei racconti e diari di viaggio si parla di alcune delle strade pi&ugrave; alte e dissestate del mondo. Strade che cambiano di anno in anno.  COSA CI HA CONVINTI A NON DESISTERE? Le voglia di partire e il nostro amico Fabio, che dopo ore passate a studiare una cartina conclude con: &ldquo;Francesco vai! In qualche modo ce la farete, se non da soli, grazie a qualcuno che sicuramente vi aiuter&agrave;&rdquo;. E allora, eccoci all&#39;aeroporto di Bologna, armati di borsa da serbatoio e zainetto da trekking. La moto era stata caricata sotto casa, su un camion, quasi un mese prima.  &nbsp;  ARRIVIAMO IN KIRGHIZISTAN ALL&#39;ALBA e gi&agrave; notiamo, ad ogni incrocio, strani individui dotati di un manganello luminoso, che impareremo a conoscere molto presto. Bi&scaron;kek, citt&agrave; da pi&ugrave; di un milione di abitanti, fino a poco pi&ugrave; di un secolo fa piccolo presidio russo, offre una bella piazza che la sera diventa il centro della vita cittadina. Diverse le fontane che creano giochi di acqua e luce, mentre donne in abiti tradizionali aiutano bambini a mangiare gelati enormi, dopo una giornata davvero molto calda.  CI EMOZIONA RIVEDERE LA NOSTRA MOTO parcheggiata davanti ad un hotel, in compagnia di molte altre, provenienti da mezza Europa. Incontriamo alcuni motoviaggiatori e, parlando parlando, cerchiamo di raccogliere informazioni sulla condizione di alcune strade. Un consiglio, se vi capiter&agrave; di ripetere la nostra esperienza: non chiedete troppo. Spesso ci hanno descritto come impraticabili strade rivelatesi bellissime e viceversa. Le sterrate cambiano con il passare del tempo e con il meteo, e ognuno ha termini di paragone troppo diversi, dettati spesso da esperienze e gusti personali.    IL TEMPO DI FISSARE I BAGAGLI e indossare le &ldquo;divise&rdquo;, che mi ritrovo a guidare in pieno centro citt&agrave;. In realt&agrave;, come spesso accade, il caos non &egrave; quello di cui avevo letto in alcuni racconti. Torniamo rapidamente al nostro albergo, dove passiamo la serata a sistemare i bagagli. La mattina dopo, il tempo non promette nulla di buono e noi vogliamo raggiungere il lago Song Kol. Per arrivarci, ci aspettano i primi 50 km di off del viaggio. Anzi, ci aspetterebbero. Perch&eacute; appena imboccata la strada sterrata, inizia il diluvio e vince la paura. Primo cambio di programma e ci dirigiamo verso Naryn. Qui, invece, la strada &egrave; bellissima e, attraversati i 3.030 m slm del passo Dolon, ci ritroviamo davanti agli occhi lo spettacolo dei pascoli di alta quota del Kirghizistan: colli verdissimi punteggiati di yurte bianche, centinaia di cavalli al pascolo e cascate, fanno da scenario alla strada che stiamo percorrendo. All&#39;ufficio turistico scopriamo di poter raggiungere il lago Chatyr Kol al confine con la Cina, praticamente privo di turisti, con un permesso ottenibile in meno di un&#39;ora. Quando abbiamo programmato il viaggio, avevamo escluso questa tappa perch&eacute; pensavamo che ottenere il permesso sarebbe stato troppo difficile. Perfetto, non tutto il male vien per nuocere.  IL GIORNO DOPO ci ritroviamo su una strada asfaltata nuova di pacca, lungo un altopiano a quota 3.500 m slm. &Egrave; l&igrave; che abbiamo la conferma di aver fatto centro, cambiando il programma all&#39;ultimo. Il lago &egrave; enorme e ci accompagna fino al confine, dove su una roccia consumiamo il nostro picnic. Il silenzio &egrave; rotto solo dai pochi TIR targati Cina. Sulla strada del ritorno, 15 km di deviazione sterrata ci portano a uno dei caravan serragli meglio conservati sulla via della seta: Tash Rabat.  &nbsp;  DORMIAMO PER LA PRIMA VOLTA IN YURTA, non prima di aver consumato una cena regale a base di stufato di carne di cavallo, uno dei piatti tipici della cucina Kirghisa. Proviamo a parlare con chi ci ospita grazie alle parole in russo di Serena e iniziamo a capire quanto queste persone siano legate al loro territorio e di come questa zona, che d&rsquo;estate offre da vivere grazie anche al turismo, sia abitata pure durante l&rsquo;inverno. Per casa, vecchi vagoni del treno e un piccolo furgone ormai utilizzato come cucina. Al mattino la bellezza del caravanserraglio &egrave; incredibile, sgombro da Jeep che portano i turisti e circondato da monti su cui passeggiano mucche e cavalli in stato di semilibert&agrave;.    TORNIAMO SULLA STRADA PRINCIPALE, convinti di poter avviarci finalmente verso il lago Song-Kol, quando avvertiamo strani rumori dalla ruota posteriore; smontati i bagagli, scopriamo di aver rotto un cuscinetto. Se in un primo momento siamo colti quasi da disperazione, ripensiamo alle storie di tutti i motociclisti aiutati dagli abitanti di queste zone. E infatti, non passano cinque minuti che buona parte degli abitanti del piccolo villaggio nel quale ci siamo fermati ci attornia e, tra chi conferma la rottura, e chi ci vuole solo offrire del cay, spunta un signore che ci apre le porte del suo giardino. Grazie agli attrezzi, che per la prima volta ci siamo portati dietro, smontiamo la ruota. Poi saliamo in macchina e, circa un&rsquo;ora e tre autoricambi dopo, troviamo il cuscinetto nuovo. Costo? Meno di due euro.  RIMANE DA RIMUOVERE IL VECCHIO CUSCINETTO, ormai &ldquo;incollato&rdquo; nella sua sede: fabbri, meccanici e aggiusta-tutto ci mettono del loro e il lavoro &egrave; completato. Si torna a casa, si rimonta e si mangia. Pane, marmellata, cay a volont&agrave; e abbracci, per quello che diventer&agrave; un giorno da ricordare. A Serena viene anche offerto il famoso latte di giumenta fermentato che - vi pu&ograve; garantire - &egrave; la cosa pi&ugrave; schifosa che abbia mai assaggiato. Cerca di fare buon viso a cattivo gioco, ma il padrone di casa e sua moglie hanno capito che non ha gradito e ridono a crepapelle di fronte alla sua faccia disgustata. Nel frattempo, si &egrave; fatto tardi e torniamo a Naryn; il lago Song Kul dovr&agrave; attendere  &nbsp;  FINALMENTE LA MATTINA DOPO, cielo sereno e si parte lungo la sterrata che tanto avevamo temuto, rivelatasi, chilometro dopo chilometro, una delle pi&ugrave; belle strade mai percorse. Ad un certo punto, la paura e la fatica sono sparite e nonostante il mio metro e 68 per 61 Kg di peso, i quasi 300 chili di moto e bagaglio sono diventati &ldquo;leggeri&rdquo;&nbsp;davanti alla bellezza di ci&ograve; che ci circonda. Poco dopo il passo, la strada si spiana e compare la sagoma del lago. Ci fermiamo a contemplarlo di fronte a delle yurte che ci daranno ospitalit&agrave;. Accanto alla nostra moto, due biciclette: sono Massimo e Ingrid e vengono dalla Svizzera. Passiamo con loro il pomeriggio, e mentre Serena e Ingrid scattano foto, cercando di catturare la bellezza del luogo, io e Massimo, di origine pugliese, ci raccontiamo i nostri viaggi a due ruote, con e senza motore.    PERCORRENDO PARTE DELLA STRADA CHE CIRCONDA IL LAGO senza bagagli, la sensazione &egrave; incredibile. Il mattino seguente, tanti saluti ai nostri amici ciclisti (che proseguiranno verso Naryn) e ci avviamo verso i 200 km di sterrato che conducono a Kazarman: si naviga a vista, non ci sono cartelli e la strada consigliata da Googlemaps parrebbe essere in uno stato pietoso. Decidiamo, allora, per una strada interna, una delle poche per cui in molti avevano usato la definizione di &lsquo;really shitty road&rsquo;. Non facciamo in tempo a prendere velocit&agrave;, che sento l&rsquo;anteriore oscillare. Forato! Nel nulla, in una sterrata e di Domenica mattina.  SMONTIAMO I BAGAGLI e proviamo con lo &ldquo;Slime&rdquo;, ma niente. Uno dei miei incubi diventa realt&agrave;. Dobbiamo smontare la ruota e stallonare la gomma per cambiare la camera. Anche stavolta l&rsquo;unica macchina che passa di l&igrave; si ferma e un signore scende a darci una mano. Quando il pi&ugrave; sembra fatto, notiamo che la camera d&rsquo;aria di scorta &egrave; a sua volta forata. Forse qualcosa in borsa gli ha premuto contro. Non ho toppe n&eacute; altre soluzioni. Per fortuna che da queste parti le persone si ingegnano; il signore prende una rondella e la piega sulla camera d&rsquo;aria nel punto della foratura, punzonandola. Gonfia la camera d&rsquo;aria ci guarda e dice: &ldquo;Korasho&rdquo; (in russo, &ldquo;va tutto bene&rdquo;). Rimaniamo di sasso. Il mio scetticismo sulla tenuta della riparazione svanisce di fronte al gommista di Kazarman dopo 8 ore di guida: la camera d&rsquo;aria ha retto, nonostante la strada pessima. Anche il gommista si mette a ridere di fronte alla rondella!    ARRIVIAMO NELLA HOMESTAY che ci ospiter&agrave; per la notte, distrutti ma soddisfatti. Se ne rende subito conto anche la coppia di ciclisti francesi con cui facciamo volentieri quattro chiacchiere. Gente tosta, che passati i sessant&rsquo;anni si &egrave; messa in testa di arrivare dalla Francia fino a qui pedalando. Qualcuno un giorno mi disse che pi&ugrave; viaggi e pi&ugrave; conosci viaggiatori: sono simpatici e hanno voglia di parlare, soprattutto con Serena che conosce bene il Francese e funge da traduttore. Ci raccontano della Pamir Highway e di come sia bella e impegnativa, delle strade al confine con il Kazakhistan da evitare e di come poterle aggirare. Tutte informazioni che si riveleranno vere e utili.  &nbsp;  DI MATTINO PRESTO partiamo per Osh: circa 300 km, di cui i primi 200 di sterrate. Di una bellezza struggente, i panorami sui prati dal primo passo. Sapevo di dover salire e 3.600 m e non ho avuto cuore di spiegare a Serena che in pratica non avevamo fatto ancora niente di ci&ograve; che ci aspettava. Dopo una ripida discesa, eccola la seconda &ldquo;really shitty road&rdquo; del nostro viaggio. Tornanti di terra strettissimi con pendenze assurde su cui transitano camion. E all&rsquo;ennesimo tornante, il danno di giornata &egrave; fatto: tengo una velocit&agrave; troppo bassa e tutti gi&ugrave; per terra. &ldquo;Niente panico&rdquo; inizio a urlare mostrando cos&igrave; di essere calmissimo.    C&rsquo;&Egrave; DA SMONTARE TUTTO E TIRARE SU LA MOTO. Polvere ovunque e sudore. Uno dei &#39;maledetti&#39; camion si ferma e il gentile autista ci d&agrave; una mano. Da l&igrave; la mia guida si fa insicura per qualche km, fino a quando raggiungiamo il muro di neve che segna il passo. D&rsquo;ora in avanti tutta discesa e, sebbene la maggior parte di motociclisti che fanno off-road non la pensino cos&igrave;, per me la situazione migliora sensibilmente. Quando l&rsquo;asfalto si rif&agrave; vivo, urliamo come dei bambini. Arriviamo nel primo pomeriggio a Osh, forse ancora pi&ugrave; sconvolti del giorno precedente. La padrona di casa ci accoglie dicendo: &ldquo;Venite da Kazarman vero? Quella strada &egrave; terribile, noi non ci andiamo mai, ci passate solo voi turisti&rdquo;.  OSH NON &Egrave; DAVVERO NIENTE DI CHE, nonostante i suoi 3.000 anni di storia. &Egrave; per&ograve; molto bello il profilo del Suleiman Too, la roccia a cinque punte che sovrasta la citt&agrave;, visibile da qualunque angolo. Malgrado sia la seconda citt&agrave; del Kirghizistan, &egrave; abitata prevalentemente da uzbeki, le cui donne sfoggiano abiti incredibilmente belli e colorati. La sosta ci serve pi&ugrave; che altro per rifocillarci. Facciamo anche piccoli interventi sulla moto: la laviamo, lubrifichiamo la catena, gonfiamo le gomme, controlliamo lo stato dei bagagli.  RIPARTIAMO IL POMERIGGIO SEGUENTE dopo essere riusciti a trovare un saldatore di alluminio per riparare il bauletto. Anche stavolta la riparazione la pagheremo carissima, si fa per dire: un bel grazie e tanti complimenti per il nostro viaggio. A proposito, ricordate i simpatici omini con il manganello citati all&rsquo;inizio? Se c&rsquo;&egrave; una piaga in Asia Centrale, sono proprio loro: i poliziotti corrotti, pronti a spennare il turista di turno. E cos&igrave; &egrave; stato.  &nbsp;  MI FERMO DAVANTI AD UN UFFICIO POSTALE per far spedire a Serena alcune cartoline e, tempo un secondo, mi sento bussare sulle spalle. L&rsquo;agente mi fa scendere dalla moto e, mentre, indica il cartello di divieto di sosta e fermata, fa la foto alla moto parcheggiata con il suo telefonino. Danno fatto! Mi porta all&rsquo;auto di servizio, dove inizia a fare incomprensibili discorsi in russo. Quando Serena ci vede, ci viene incontro, ma io mi ero gi&agrave; stufato di starlo a sentire. Gli chiedo quanto vuole e, consegnando l&rsquo;equivalente di 10 euro e un sacco di offese in italiano, ci restituisce i documenti. D&rsquo;ora in poi ci ripromettiamo massima attenzione, che di pagare cene ai poliziotti non ne abbiamo davvero voglia.    DA OSH INIZIAMO A PERCORRERE LA PAMIR HIGHWAY con i 180 km che ci porteranno a Sary Tash. La strada &egrave; perfetta e scorre scavata nelle rocce rosse fino al passo Taldik (3615 mslm): da qui inizier&agrave; la nostra collezione di passi d&rsquo;alta quota. A pochi chilometri&nbsp;da Sary Tash ci compaiono davanti i monti del Pamir. Enormi, altissimi e pieni di neve. Il villaggio sembra minuscolo e noi non ci accontentiamo di quella vista. Viaggiamo fino a Sary Mogul ai piedi di sua maest&agrave; Pick Lenin (7.134 mslm), che abbiamo la fortuna di osservare privo di nuvole. Torniamo indietro alla guest house in cui trascorreremo la notte. Guardiamo il tramonto dalle finestre, parlando con altri ciclisti (di cui ci meravigliamo per la nutrita presenza) e con un simpatico signore francese giunto fin qui con un vecchio sidecar. E&rsquo; spassosissimo parlare con lui, ci racconta aneddoti e curiosit&agrave; sul suo viaggio: partito da solo, perch&eacute; la moglie &egrave; caduta dalle scale rompendosi delle costole, ci parla del suo mezzo che vibra da morire sulle strade del Tagikistan. Ci consiglia le strade da percorrere e quelle da evitare, ma soprattutto, ci dice di passare assolutamente dalla valle del Wakhan, uno dei grandi punti interrogativi del nostro viaggio. Lui non ci &egrave; riuscito, ma ha visto foto e sentito persone che la descrivevano come una parte a s&eacute; del Pamir, abitata da gente tra le pi&ugrave; ospitali del mondo.  CI CONVINCER&Agrave;, ma di come andr&agrave; ve lo diremo nelle parti successive del racconto. Da domani si va in Pamir e si entra in Tagikistan; ma questa ha tutte le ragioni per essere un&rsquo;altra pagina del nostro viaggio.  Il Cicca e la Sere:&nbsp;la pagina Facebook&nbsp;- Foto: Serena Baroncini 

Un viaggio affascinante e avventuroso,&nbsp;un lento &quot;ritorno&quot; in moto attraverso le 1000 suggestioni dell&rsquo;Asia centrale. La prima tappa, dai preparativi al&nbsp;Kirghizistan

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