Guardare una moto con la mezza carena pu&ograve; mettere qualcuno a disagio a causa dell&#39;apparente mancanza di senso, un po&#39; come uscire con pantaloni e giubbotto senza maglietta sotto. Eppure fra gli anni &#39;90 e i primi del 2000 anche queste inconsuete varianti di moto sportiva hanno avuto un pubblico e una loro piccola nicchia di mercato, che ha portato diverse case occidentali e giapponesi a proporre la loro personale versione della mezza carena. Ora sono definitivamente sparite, ma analizziamo il fenomeno per capire cosa &egrave; davvero successo in quei quasi 20 anni di diffusione.  DUCATI E YAMAHA    Nel 1988 la casa di Borgo Panigale prende il motore raffreddato ad aria della Pantah e lo mette dentro un nuovo telaio a traliccio di concezione moderna e con quote sportive riprese dalla serie 851, nasce la SuperSport offerta dapprima in cilindrata di 750cc ma in seguito con un ventaglio di propulsori dal 350 al 900. Oltre alle varianti meccaniche, Ducati decide di offrire la moto in due configurazioni estetiche: una carenata e una con mezza carena denominata HF, ovvero Half Fairing.    Ma che senso aveva? Molti appassionati la vedevano come una moto sportiva bella, ma alla quale qualcuno ha dimenticato di montare carene basse e pancia. Logico parlare di flop, eppure una piccola nicchia di appassionati l&#39;ha avuta, e la sua essenza mette le radici nella storia delle due ruote.  La HF ci riporta indietro agli anni &#39;60, quando si &egrave; visto per la prima volta un cupolino aerodinamico anche nelle versioni stradali ad alte prestazioni dell&#39;epoca. Le moto inglesi furono le prime, seguite dalle italiane (due esempi su tutti, Norton Commando 750 Production Racer e Laverda SFC750), fin quando ducati presenta nei primi anni &#39;70 la sua SS, moto sportiva per eccellenza e dotata di cupolino nei canoni estetici dell&#39;epoca, ovvero con ampia superficie &ldquo;a bolla&rdquo; fissato rettamente al telaio e non alla forcella, con il motore sempre in bella vista e senza alcun tipo di sovrastruttura. Ora &egrave; tutto chiaro, le moto sportive con cupolino sono nate con la semicarena, e la SuperSport HF&nbsp;ne &egrave; un romantico tributo, incompreso dai pi&ugrave; e accettato solo da pochi, perch&eacute; un po&#39; anacronistico e non sempre aggraziato su moto dall&#39;estetica moderna.   La concezione di sportiva &quot;cupolinata&quot; a motore scoperto ma con contenuti ed estetica contemporanei ha stimolato la passione di diversi centri stile che hanno deciso di seguire la strada battuta da Ducati sul&#39;onda di un consenso ristretto ma molto caloroso e con regole ben precise: mezzi manubri e motori dalle caratteristiche tipicamente stradali sono obbligatori. Nel giro di pochi anni nascono altre variazioni sul tema come la Yamaha TRX850 del 1995, con telaio a traliccio e motore della TDM 850, ispiratissima all&#39;italiana ma con un carattere pi&ugrave; docile e trattabile. Inutile dire che anche questo fu un flop sul mercato, ma chi l&#39;ha scelta l&#39;ha fatto con convinzione ed orgoglio.    &nbsp;  &nbsp;  Gli anni di Suzuki, Honda ed Aprilia   Nel giro di qualche anno sono comparsi altri esempi come la Suzuki SV650S del 1999 - unico caso di successo della categoria grazie alle caratteristiche di moto facile ed economica - la Ducati SuperSport ridisegnata nel 1998 da Terblanche - meravigliosa nella sua morbidissima estetica ma anche qui poco diffusa in versione HF &ndash; la Honda VTR 1000 Firestorm del 1997 - con il suo massiccio e inarrestabile bicilindrico a V che fa il verso alle sempre pi&ugrave; diffuse Ducati &ndash; e la Suzuki TL1000 del 1997 dall&#39;estetica massiccia ed aggressiva e una potenza esagerata per un bicilindrico stradale di fine millennio, 125CV, appena 10 in meno della carenatissima supersportiva TL1000R con lo stesso motore.    Il picco di popolarit&agrave; (senza esagerare) &egrave; stato raggiunto a cavallo del 2000, ma il mercato gi&agrave; iniziava a ragionare in maniera diversa. Le economie di scala diventavano sempre pi&ugrave; importanti anche nella produzione motociclistica e le nicchie sono state pian piano tagliate fuori dai piani futuri delle case. Non aveva pi&ugrave; senso produrre moto per un&#39;utenza cos&igrave; ristretta e che col passare degli anni andava sempre pi&ugrave; ad assottigliarsi.  L&#39;ultima spinta di orgoglio della categoria &egrave; arrivata da Aprilia, che con la SL1000 Falco del 2000 ha proposto una alternativa stradale semicarenata motorizzata Rotax V60 nella variante montata sulla Caponord: moto sublime sotto tutti i punti di vista ma ennesimo tonfo di mercato in un periodo di esplosione delle sportive carenate &ldquo;prontopista&rdquo;.    Ultima in elenco la seconda serie Suzuki SV650S del 2003 offerta anche con il motore 1000 che fu della TL. Entrambe le versioni non hanno raggiunto il successo di vendite della sola 650 dell&#39;esordio e anche qui bastarono pochi anni a vederla completamente sparire, lasciando sul mercato solo la pi&ugrave; razionale e apprezzata versione naked.   La breve storia delle sportive stradali con carena a met&agrave; &egrave; passata inosservata a molti, ad altri &egrave; rimasta nel cuore come una piccola epoca di sentimento puro. L&#39;idea di moto fatte da appassionati per altrettanti fanatici delle moto di carattere, approvate dai piani pi&ugrave; alti delle case produttrici senza badare ai numeri di vendita e sapendo che sarebbero rimasti mezzi di nicchia, &egrave; qualcosa che di questi tempi &egrave; difficile da immaginare.  Rewind, Moto Guzzi MGS- 01 Corsa: l&#39;aquila che vinse a Daytona 

<p>Erano moto con semimanubri e cupolino, come vere supersportive, ma con il motore a vista come le stradali e naked. Un ibrido estetico &ldquo;ne&#39; carne ne&#39; pesce&rdquo; dallo scarso successo, ma dalla grande passione</p> 

Moto semi carenate: storia breve, ma intensa

Nata per affiancare e poi sostituire la 750 SS, la Ducati SS 900, ne riprende in blocco le sovrastrutture, con il motore  “Carter Quadri” che deriva dalla 860 GT, con l’aggiunta della distribuzione desmodromica, rapporto di compressione elevato a 9,5:1 e l’eliminazione dell’avviamento elettrico

Ducati SS 900: DNA sportivo FOTO

Nata per affiancare e poi sostituire la 750 SS, la Ducati SS 900, in effetti, ne riprende in blocco le sovrastrutture, con il motore - definito &ldquo;Carter Quadri&rdquo; - che deriva per&ograve; dalla 860 GT, con l&rsquo;aggiunta della distribuzione desmodromica, un rapporto di compressione elevato a 9,5:1 e l&rsquo;eliminazione dell&rsquo;avviamento elettrico. Una scelta quest&rsquo;ultima che ha messo una pezza ai grattacapi che affliggevano la 860 GT, ed inoltre va a migliorare una estetica del motore che risultava un po&rsquo; discutibile alla vista. La soluzione del passaggio all&rsquo;avviamento a pedale, semplice ed al tempo stesso funzionale, &egrave; valso un ritorno ad un aspetto decisamente pi&ugrave; snello e sportivo.   Il motore con i carter dal design decisamente squadrato era all&rsquo;epoca un tocco di modernit&agrave;, ma oggi possiamo affermare che nel cuore degli appassionati non ha mai davvero rimpiazzato le pi&ugrave; fascinose e tondeggianti linee presenti sul motore montato invece sulla 750 SS.   LA SERIE - La 900 SS venne prodotta in quattro serie: la prima con colorazione blu/argento, la seconda, a partire dal 1977, che era del tutto simile alla prima versione ma si differenziava per il serbatoio carburante;&nbsp; la terza serie, quella di questo&nbsp;servizio, arriv&ograve; l&rsquo;anno seguente e vantava un&rsquo;inedita colorazione nero/oro che si aggiungeva alla livrea precedente e - grande novit&agrave; &ndash; veniva proposta anche in versione biposto. Inoltre, su questa ultima versione fanno la loro comparsa per la prima volta i cerchi in lega. L&rsquo;ultima serie in ordine di tempo risale al 1980, e si diversifica dalla precedente per nuove colorazioni e per i cerchi in lega di diversa fattura.   La moto nel suo complesso pesava 196 kg, aveva un interasse di 1510 mm ed una capacit&agrave; del serbatoio di 20 litri. Le ruote erano da 18&rdquo; mentre il comparto freni vantava tre dischi. La cilindrata effettiva era di 863,9 cc (alesaggio/corsa 86x74), e contava sullo schema tutto Ducati di distribuzione desmodromica monoalbero.  L&rsquo;accensione era di tipo elettronico e l&rsquo;alimentazione era affidata a due carburatori Dell&rsquo;orto PHM da 40 mm. Il cambio era a 5 rapporti e la potenza erogata dal bicilindrico si attestava sugli 80 CV a 7000 giri. Un valore che spingeva la Ducati 900 SS fino a 225 km/h di velocit&agrave; massima.  Nel 1982, dopo oltre 6100 esemplari prodotti verr&agrave; sostituita dalla nuova Ducati 900 S2. 

<p>Commercializzata a partire dal 1975 e fino al 1982, la Super Sport 900 affianca e poi sostituisce la sorella minore di 750 cc</p> 