        Beta ha recentemente annunciato il lancio della sua prima moto da cross, la RX 300 2T, che aveva gi&agrave; fatto la sua comparsa nel 2021 come CrossCountry, modello di derivazione enduro ma adattato ai percorsi in off-road. Oggi, la moto si presenta come un modello da cross a tutti gli effetti, con solo alcuni punti in comune con i modelli da enduro&nbsp; e con motore pi&ugrave; performante ai regimi di rotazione medio-alti. Solo un numero limitato di esemplari verr&agrave; prodotto per il suo lancio.  Specifiche e ciclistica La RX 300 2T presenta alcune caratteristiche distintive rispetto ai modelli RR 2T. Il cilindro, ad esempio, &egrave; stato progettato con una configurazione diversa, passando dal recente "Superquadro" alla pi&ugrave; classica forma "Quadro", con una misura di alesaggio e corsa di 72,0 x 72,0 mm. Questa configurazione garantisce una maggiore coppia e potenza, con un incremento approssimativo di 5 CV a 8.000 giri/min e 1,5 Nm a 7.000 giri/min. Insieme alle diverse caratteristiche del cilindro, come il rapporto di compressione pi&ugrave; elevato e le diverse quote ottenute, &egrave; stato sviluppato un nuovo pistone bifascia appositamente adattato. Per quanto riguarda l'alimentazione, la RX 300 2T &egrave; dotata di un carburatore Keihin PWK da 38 mm e di una candela NGK BR8ECM. L'albero motore &egrave; stato alleggerito e ridotto nel diametro per garantire una risposta pi&ugrave; rapida agli alti regimi, e ha un carter appositamente progettato allo scopo. La valvola allo scarico &egrave; stata ritarata per adattarsi al diverso range di giri e pu&ograve; comunque essere personalizzata dal pilota tramite il tradizionale registro. Lo scarico &egrave; pi&ugrave; corto, privilegiando le prestazioni ai regimi di rotazione medio-alti, mentre la frizione &egrave; stata adattata dal modello recentemente introdotto sulla RR, garantendo un comando morbido, un innesto efficace e una coppia trasmissibile molto elevata. La RX 300 2T presenta anche miglioramenti nei tubi di raffreddamento. Dal punto di vista ciclistico, &egrave; equipaggiata con una forcella e un monoammortizzatore Kayaba, simili a quelli presenti sulle RR Racing. Entrambe le componenti hanno settaggi dedicati per l'utilizzo cross. La forcella da 48 mm presenta una diversa geometria, con una corsa maggiore (steli pi&ugrave; lunghi di 10 mm), mentre il monoammortizzatore mantiene una maggiore somiglianza con quello delle moto da enduro. Le sospensioni sono completamente regolabili e sono state tarate dai tecnici di Rignano per garantire stabilit&agrave;, velocit&agrave; e precisione, puntando a amantenere allo stesso tempo la facilit&agrave; di guida. Il telaio non subisce stravolgimenti rispetto al modello enduro RR 300, ma la RX 300 2T risulta leggermente pi&ugrave; alta. Il telaietto posteriore &egrave; realizzato in materiale composito. Le ruote hanno un diametro di 21 pollici all'anteriore e 19 pollici al posteriore, con pneumatici Michelin Starcross 6 nelle misure 80/100-21 e 120/80-19. Il sistema frenante &egrave; Nissin, con pinze flottanti e dischi da 260 mm all'anteriore e 240 mm al posteriore. Elettronica ed estetica Per quanto riguarda i comandi al manubrio, sono stati ridotti al minimo indispensabile. Sul lato destro si trova il pulsante di avviamento, mentre sul lato sinistro c'&egrave; il pulsante di spegnimento della moto. L'impianto elettrico &egrave; stato ridotto al minimo, e la batteria &egrave; al litio. Come molti modelli Beta a due tempi recenti, anche questa moto pu&ograve; sfruttare due mappe motore selezionabili (asciutto/bagnato) tramite un pulsante situato dietro il cannotto di sterzo.  La RX 300 2T &egrave; dotata di alcuni componenti speciali che arricchiscono la sua dotazione, come il tendicatena in ergal rosso, cerchi Excel anodizzati blu, cruna catena rossa, corona bimateriale anodizzata rossa, pedane poggiapiedi in ergal nero con pin in acciaio e paramani. La moto presenta anche una nuova e inedita grafica, che utilizza i colori tipici dei modelli Racing per caratterizzare questo modello unico nel catalogo Beta. La RX 300 viene fornita con un cavalletto incluso. La disponibilit&agrave; della Beta RX 300 2T &egrave; prevista per il mese di giugno. BETA LANCIA LA NUOVA GAMMA 125 BASE E RACING       

Nuova off-road da gara: il motore ha la stessa cilindrata della versione enduro con alcuni adattamenti per l'utilizzo agonistico

Beta RX 300 2T, la new entry del motocross dedicata ai piloti europei

Novit&agrave; in casa Fantic che, facendo tesoro dell&rsquo;esperienza maturata nelle competizioni (e dei successi ottenuti), rinnova tutta la gamma Cross 2T 2023 con soluzioni performanti e innovative. Una famiglia che si fregia del titolo di Campione Europeo EMX250 e di Campione del Mondo Junior 125. Dopo aver dominato lo scorso anno ed essersi riconfermati nei campionati nazionali ed internazionali di Motocross anche nella stagione in corso, l&rsquo;offerta Fantic MX 2T 2023 si presenta rinnovata. Tra le novit&agrave; pi&ugrave; importanti dei due modelli, XX 125 e XX 250, c&rsquo;&egrave; il retrotreno ridisegnato con inedito airbox e accesso filtro laterale. Nuovi anche i fianchetti posteriori, con plastiche snelle, e la sella (tutto per migliorare l&rsquo;ergonomia, in collaborazione con Factory Team). E poi si &egrave; optato per un dimensionamento dell&rsquo;air box, ora ottimizzato per massime prestazioni agli alti.  &nbsp;  Fantic XX125 2T my 2023: il motore    La moto Campione del Mondo Junior 125 nel 2021 e al vertice dei campionati 2T della stagione in corso presenta le sue novit&agrave;. Il piccolo ma performante propulsore 125cc 2T non cambia, ma grazie a studio e lavorazioni su cilindro, pistone e biella il my 2023 diventa la&nbsp;XX125 pi&ugrave; potente e sfruttabile di sempre. Il motore &egrave; alimentato tramite il carburatore Kehin da 38 mm che, grazie al Powerjet controllato da una elettrovalvola, aumenta ancora di pi&ugrave; le prestazioni in pista.  Grazie al lavoro del reparto R&amp;D Fantic, l&rsquo;impianto di scarico spicca per un&rsquo;espansione cromata. Il silenziatore, invece, &egrave; 100% pronto gara, con silenziatore&nbsp; in alluminio e che rispetta le normative FIM in termine di prova fonometrica. E poi c&rsquo;&egrave; la centralina CDI, sviluppata dal reparto corse Fantic.  &nbsp;  Fantic XX125 2T my 2023: la ciclistica    Condivisa con la sorella XX250, Fantic XX125 &egrave; dotata di un telaio tecnologico, in alluminio a semi-doppia culla che, dicono dall&rsquo;azienda, vanta il miglior rapporto rigidit&agrave; leggerezza, con un peso di solo 8 kg. Alle sospensioni ci pensa Kayaba: forcella SSS (Speed Sensitive System) a cartuccia chiusa pressurizzata da 48 mm, 300 mm di corsa, completamente regolabile, e monoammortizzatore con 315 mm di escursione ruota.  &nbsp;  Fantic XX125 2T my 2023: la mappatura    Fantic XX125 ha di serie due mappe motore selezionabili da manubrio: la Mappa Soft ritarda i tempi di accensione addolcendo l&#39;erogazione ed &egrave; indicata per i terreni pi&ugrave; insidiosi; la Mappa Hard, invece, &egrave; consigliabile per tracciati che offrono un grip maggiore.  Prezzo 8.590 euro.  &nbsp;  Fantic XX250 2T my 2023: il motore    Vittoriosa nel Campionato Europeo Motocross EMX 250, aperto a 2 e 4T (e quindi in grado di gareggiare con le 4 tempi), la potenza di Fantic XX250 arriva dal due tempi Fantic Racing, con un pistone, e gode dello sviluppo del Factory team Maddii. Il risultato &egrave; una moto potente e contemporaneamente equilibrata.  Per il my 2023 troviamo una nuova ergonomia anche grazie al nuovo serbatoio da 8L, che rende la moto pi&ugrave; snella.  &nbsp;  Fantic XX250 2T my 2023: la ciclistica    La ciclistica, dicevamo, &egrave; in comune con la XX125: telaio in alluminio a semi-doppia culla e peso di solo 8 kg. Kayaba firma le sospensioni, forcella SSS (Speed Sensitive System) a cartuccia pressurizzata da 48 mm, 300 mm di corsa, completamente regolabile, e monoammortizzatore con 315 mm di escursione ruota.  &nbsp;  Fantic XX250 2T my 2023: la mappatura    Anche in questo modello troviamo di serie due mappe motore selezionabili da manubrio: la Mappa Soft ritarda i tempi di accensione addolcendo l&#39;erogazione ed &egrave; indicata per i terreni pi&ugrave; insidiosi; la Mappa Hard, invece, &egrave; consigliabile per tracciati che offrono un grip maggiore.  Prezzo 9.490 euro.  FANTIC MOTOR INVESTE SULLE BICI: ACQUISITO LO STORICO MARCHIO BOTTECCHIA 

Novit&agrave; per le XX 125 e XX 250 2T che vantano titoli europei e mondiali, a partire dal retrotreno ridisegnato e nuovi fianchetti posteriori

Fantic arriva la gamma cross 2T 2023

La sigla LC, per un appassionato che abbia pi&ugrave; di quarant&#39;anni ma non solo, si abbina inevitabilmente alla RD 350 di Yamaha. Apparsa nel 1980, la moto, sportivissima, &egrave; ormai un simbolo delle stradali due tempi raffreddate a liquido che apparvero in quel decennio scuotendo il mercato a due ruote.    La RD (Race Developed) e il suo potentissimo bicilindrico, che le regalava prestazioni che profumavano di corse, introdusse la novit&agrave; del raffreddamento a liquido, che rispetto al modello ad aria contribuiva a un netto miglioramento sia delle prestazioni che del controllo della carburazione.  Moto che hanno fatto storia: quando osare diventa leggenda  Una soluzione tecnica subito riproposta da Yamaha su altri modelli di serie, tutti pi&ugrave; o meno famosi come la RD 350. Abbiamo pensato di elencare le dieci pi&ugrave; rappresentative&nbsp;secondo noi, in rigoroso ordine cronologico, in un piccolo viaggio dal sapore d&#39;antan.  &nbsp;  &nbsp;  YAMAHA RD 250 LC (1980)  S&igrave;, perch&eacute; oltre alla RD 350, non tutti forse ricordano la RD 250 LC. La &quot;sorellina&quot; della 350 in realt&agrave; arriv&ograve; nel marzo del 1980, tre mesi prima del modello pi&ugrave; celebre, che accus&ograve; alcuni problemi di produzione. Le differenze rispetto alla 350? Ovviamente la minore cilindrata (247cc) e la potenza (35 cv), ma non solo.    La 250 si distingue per avere una diversa ruota posteriore, un impianto frenante con disco all&#39;anteriore e pompa pi&ugrave; piccola. Per il resto, la RD 250 era quasi altrettanto veloce come la 350, tanto che alcuni report parlano di come fosse la prima 250cc a potersi spingere fino ai 160 km/h (un dato ancora oggi in realt&agrave; discusso e mai ufficializzato). La soluzione del raffreddamento a liquido rese la RD 250 LC talmente popolare che alla fine degli anni &#39;80 i club appassionati del modello istituirono addirittura una categoria di corse dedicata.  &nbsp;  &nbsp;  YAMAHA RD 350 LC (1980)  E&#39; probabilmente la 2T raffreddata a liquido pi&ugrave; famosa della famiglia RD, una sorta di Sacro Graal della categoria. Lanciata nel 1980, la RD 350 era l&#39;erede della RD 400, modello raffreddato ad aria, ispirato a sua volta alla Yamaha TZ 350 che correva nel Motomondiale. Da qui infatti arriv&ograve; l&#39;ispirazione per soluzioni come LC (Liquid Cooled), per il cantilever e la colorazione rosso e nera.    Sviluppata ad Amsterdam (era destinata principalmente al mercato europeo), la RD 350 LC colse nel segno sapendo unire velocit&agrave;, divertimento alla guida, maneggevolezza e convenienza, divenendo un mito per i pi&ugrave; giovani. Ancora oggi, &egrave; una delle moto pi&ugrave; ricercate dai collezionisti di modelli del passato.  &nbsp;  &nbsp;  YAMAHA RD 125 LC (1982)  Due anni dopo la &quot;regina&quot;, si scese di cilindrata. La 125 era spinta da un monocilindrico dalla potenza limitata a 12,2 cv. Dal punto di vista stilistico, era caratterizzato dalla carenatura frontale, un nuovo puntale e un monoammortizzatore motatato con schema Cantilever sul forcellone in alluminio.    Nonostante fosse nettamente meno potente della 250 e della 350, ottenne un bel successo, rimanendo in listino fino al 1987 quando venne rimpiazzata dalla TZR.  &nbsp;  YAMAHA RD 80 LC (1982)  Uscita sul mercato praticamente insieme alla 125, RD 80 LC era, oltre che di cilindrata minore, meno famosa. Commercializzata nel Regno Unito tra il 1982 e il 1984, il monocilindrico da 79cc erogava 8,7 cv. Aveva un telaio necessariamente pi&ugrave; piccolo, livrea bianconera e uno scarico direttamente prelevato dalla TZ.    Era di certo minuscola, ma sicuramente pi&ugrave; economica rispetto alla RD 125, elemento che le fece ottenere un buon successo di vendita nel mercato britannico.  &nbsp;  YAMAHA RD 350 YPVS (1983)  L&#39;erede della 350 LC, uscita tre anni dopo: pi&ugrave; moderna e potente (da 47 a 59 cv), la YPVS si caratterizzava per il fatto di essere pi&ugrave; versatile della LC, grazie alle sospensioni migliorate (al cantilever &egrave; subentrato un monoammortizzatore sempre progressivo ma montato su leveraggi), a una pi&ugrave; fluida erogazione della potenza e al rinnovato impianto frenante.    Nonostante fosse l&#39;evoluzione della RD 350 LC, non ottenne lo stesso successo della moto originaria: addirittura qualche purista estremo la defin&igrave; una &quot;falsa LC&quot;, francamente esagerato. Da segnalare che negli USA venne lanciata con la livrea giallonera di Kenny Roberts ma anche con un convertitore catalitico per ridurre la potenza e le emissioni nocive.  &nbsp;  YAMAHA RD 350 N (1984)  E cos&igrave;, dopo solo un anno, la YPVS venne sostituita da ben due varianti: la naked RD 350 N e la carenata RD 350 F. Sono due moto che hanno risentito dell&#39;avvento, a met&agrave; anni &#39;80, di propulsori di piccola e media cilindrata a 4 T molto pi&ugrave; performanti, tra cui la bicilindrica 2T Suzuki RG250, le 4 cilindri 4T VF500F e il CBX550 di Honda e il GPZ550 Kawasaki. Yamaha decise quindi di concentrarsi maggiormente sul fattore divertimento, dato che l&#39;RD non poteva competere con quei motori in fatto di prestazioni.    La naked RD 350 N era la pi&ugrave; conveniente delle due. Presentava una posizione di guida pi&ugrave; &quot;aggressiva&quot; grazie ai semimanubri abbassati. Ma rimane tutt&#39;oggi uno dei modelli meno apprezzati della gamma Liquid Cooled.  &nbsp;  YAMAHA RD 350 F (1984)    Yamaha RD 350 F era praticamente identico alla N, ad eccezione del fatto di essere carenata. Una carenatura completa, abbinata a una posizione pi&ugrave; rialzata dei manubri. Molto pi&ugrave; versatile della &quot;gemella&quot; naked, proprio come lei non conobbe eccessiva fortuna commerciale, rivelandosi comunque il modello ideale per chi voleva acquistare una 2T LC e non spendere tanto.  &nbsp;  YAMAHA RD 500 LC (1984)  Sebbene sia classificata come LC, si tratta di una replica della 500 GP del periodo&nbsp;della Casa di Iwata, spinta da un V4 e ricca di soluzioni tale da essere annoverata tra le regine degli anni &#39;80. Erogava 88 cavalli, presentava una ruota anteriore da 16&quot;, un telaio in acciaio a sezione quadrata.    Rimane un&#39;icona dell&#39;epoca, anche se alcune &quot;colleghe&quot; di quegli anni come la Suzuki RG500 erano nettamente&nbsp;pi&ugrave; performanti soprattutto in termini di ciclistica.  &nbsp;  YAMAHA RD 350 N2 (1986)  Questa moto esce in una fase del mercato ben diversa rispetto al 1980. Perch&eacute; nel 1986 le 2T raggiungevano il picco di notoriet&agrave; grazie a modelli come la RD 500 LC della stessa Yamaha, la Honda NS400R e la RG500 di Suzuki, mentre Kawasaki GPZ600R si poneva come la nuova regina delle medie sportive.    Dato il momento, da Iwata decisero di dare una rinfrescata alla gamma, &quot;incattivendola&quot; aumentando la potenza a 62 cv, alleggerendo il peso e migliorando i freni, anche se la novit&agrave; pi&ugrave; importante era la nuova carenatura, resa pi&ugrave; liscia e semplice, fino al serbatoio carburante.  &nbsp;  YAMAHA RD 350 F2 (1986)  La versione carenata dell&#39;ultima LC costruita in Giappone ha seguito la stessa formula della F ma con gli stessi aggiornamenti tecnici della N2, tra i quali la nuova carrozzeria, il restyling di motore e freni, i nuovi scarichi e le ruote pi&ugrave; leggere.    Economica e divertente, venne presto soffocata dal crescente successo delle moto delle altre Case nipponiche, e rimase in produzione fino al 1990.  Honda NSR 500: la prova (e la storia) di una belva d&#39;altri... Tempi 

Hanno segnato un decennio, dagli anni &#39;80 al 1990, partendo dal modello pi&ugrave; celebre, 350 LC, fino alla replica della 500 GP della Casa di Iwata: ecco&nbsp;i modelli pi&ugrave; importanti della gloriosa famiglia RD

TOP 10, Serie Yamaha RD LC: prestazioni e nobilt&agrave;

        Le 2T sono ormai cadute nel dimenticatoio? Ci pensa la britannica Langen a riproporre sul mercato un modello con motore a 2 tempi. Lo fa con la Two Stroke. Nessun nome poteva essere pi&ugrave; azzeccato: "two stroke", "due tempi", per evitare equivoci. La prima serie sar&agrave; limitata a soli 100 esemplari, 150 unit&agrave; invece per la seconda, con inizio della produzione previsto per l'estate 2021. Il prezzo &egrave; di circa 30.600 euro, con anticipo di 1.000 sterline. IL 2T &Eacute; MADE IN ITALY  Langen Two Stroke si presenta come una classica caf&eacute; racer, il cui piatto forte &egrave; naturalmente la motorizzazione: un V2 da 90&deg; e 249,5cc con alberi motore controrotanti e sistema di iniezione, per una potenza da 75 cv a 11.500 giri/min e 45 Nm di coppia. La Casa di Manchester dichiara una velocit&agrave; massima di 225 km/h. Niente male, anche se la particolarit&agrave; di questo propulsore &egrave; che &egrave; stato realizzato dalla Vins, marchio italiano con sede a Maranello. ESCLUSIVA  Il prezzo elevato &egrave; giustificato dai componenti esclusivi utilizzati. A partire dalla carrozzeria, realizzata in fibra di carbonio con inserti addirittura in foglia d'oro. In carbonio &egrave; anche il serbatoio, anzi, quest'ultimo &egrave; persino rinforzato in kevlar. In alluminio sono invece il telaio tubilare e il braccio oscillante posteriore. La forcella regolabile &egrave; &Ouml;hlins, con steli da 43 mm. Regolabili anche gli ammortizzatori posteriori, firmati K-Tech. L'impianto frenante presenta due dischi anteriori da 320 mm con pinze ad attacco radiale e un disco singolo da 265 mm dietro. I cerchi a raggi misurano 17".       

Un bicilindrico a due tempi da 250cc e 75 cv spinge la caf&eacute; racer britannica, che verr&agrave; prodotta in edizione limitata e realizzata con componenti esclusivi come carbonio e alluminio

Langen Two Stroke, il ritorno delle 2T

        Le 125 di oggi vanno piano, &egrave; un dato di fatto. L&rsquo;impietosa legge ha imposto 11 kW come limite massimo: oltre, le ottavo di litro non si possono spingere. Per di pi&ugrave;, la moto non &egrave; pi&ugrave; l&rsquo;oggetto dei desideri adolescenziali, il sogno proibito per cui rimanere svegli la notte. O quantomeno, non lo &egrave; pi&ugrave; per la stragrande maggioranza dei ragazzi. Ma chi ha avuto la fortuna di vivere la propria adolescenza a cavallo tra gli anni 80 e 90 non pu&ograve; aver dimenticato com&rsquo;era allora. Tutti sognavamo di cavalcare l&rsquo;ultimo modello delle fumose e spregiudicate 125. Le pareti della cameretta erano tappezzate di poster a tema moto, i carburatori elaborati affollavano i garage dei pi&ugrave; abili con la meccanica. Ma soprattutto, le 125 volavano. Fa un po&rsquo; strano pensarci oggi, in un mondo (apparentemente) sicuro e innocuo, ma una volta, in sella a una sportiva 125 (se debitamente &ldquo;sbloccata&rdquo;), si potevano sfiorare i 170-180 km/h. Era come toccare il cielo con un dito; forse meno sicuro ed ecologico di oggi, ma certamente pi&ugrave; romantico. Metafore a parte, sull&rsquo;onda canaglia della nostalgia abbiamo deciso di elencare quelle che, a nostro modesto avviso, sono state le migliori 125 sportive 2T di quegli anni. Se avete altri suggerimenti, sono ben graditi! Aprilia RS 125  &Egrave; ritenuta da molti la regina della classe, e non a caso. Presentata ufficialmente nel 1992, &egrave; stata l&rsquo;evoluzione dell&rsquo;Aprilia Futura, discendete della mitica AF1 nata negli anni 80. Il suo strabiliante motore Rotax erogava circa 34 CV ed era alimentato da un carburatore Dell&rsquo;Orto da 34 mm. Le versioni Replica di quegli anni (dovute agli innumerevoli successi sportivi) si sprecavano, tra cui l&rsquo;indimenticabile Chesterfield. &nbsp; Cagiva Mito  La grande antagonista dell&rsquo;Aprilia &egrave; sempre stata la Cagiva Mito, presentata per la prima volta nel 1991 come evoluzione della Cagiva Freccia. Anche per lei, le versioni replica non si contano (una su tutte: la Lucky Explorer con livrea bianca e rossa, omaggio alla Cagiva Elefant vincitrice con Edi Orioli alla Parigi-Dakar). Aveva la particolarit&agrave; del cambio a 7 rapporti, mentre il motore era un monocilindrico da circa 32 CV. Nel 1994 venne presentata la Mito EV, speculare nel design alla Ducati 916/996. Gilera SP01  La madre di tutte le 125 sportive &egrave; lei, la Gilera SP01, nata per sbancare il Campionato Italiano Sport Production nel 1988. Il motore era alimentato da un carburatore Dell&rsquo;Orto da 32 mm ed erogava all&rsquo;incirca 30 CV. Aveva due tappi sul serbatoio, uno per la benzina, l&rsquo;altro per l&rsquo;olio. &nbsp; Honda NSR 125 R  La prima ottavo di litro giapponese in ordine alfabetico &egrave; la NSR 125, prodotta a partire dal 1988 e nata inizialmente come naked (F). Caratterizzata dalla totale assenza di protezione aerodinamica, lasciava a vista lo splendido&nbsp;telaio Alcast&nbsp;in alluminio, una rivoluzione rispetto al semplice tubi in acciaio della NS. Successivamente debutt&ograve; la R, con carena e fari anteriori tondi. Il motore aveva una potenza dichiarata nell&rsquo;ordine dei 30 CV, ma per quanto riguarda le prestazioni pure &egrave; sempre stata un po&rsquo; inferiore alle italiane. &nbsp; Suzuki RG 125 Gamma  Il nome Gamma per Suzuki ha un sapore dolce-amaro: mentre la 250 e la 500 riscossero un discreto successo per via dei loro potenti motori (l&rsquo;Aprilia RS 250 sfruttava il motore Suzuki), la 125 non riusc&igrave; mai a far davvero breccia nel cuore dei giovani appassionati. Ma merita comunque una menzione, soprattutto il modello prodotto a partire dal 1992 che aveva una potenza dichiarata di ben 33 CV. Yamaha TZR125R Red Rocket  La prima serie di TZR deluse parecchio i sogni dei ragazzini, ma bastarono pochi anni perch&eacute; Yamaha decise di passare la produzione in Italia. Nacque nel 1991 per contrastare il predominio italiano in questa categoria e la sua dotazione tecnica era degna di nota: la TZR guadagn&ograve; infatti un telaio decisamente pi&ugrave; moderno (perimetrale in alluminio rispetto al precedente Deltabox in acciaio), forcella rovesciata e forcellone a banana, per facilitare il passaggio dello scarico. Il motore &egrave; un Minarelli con carburatore Dell&rsquo;Orto da 32 mm, capace di sviluppare la bellezza di 33 CV. La versione Red Rocket (Marlboro) &egrave; un omaggio a Cadalora, Harada e tutti gli altri piloti dell&rsquo;epoca.       

Anti-ecologiche, pericolose, fumeggianti&hellip; ma incredibilmente irresistibili. Sono le sportive 125 2T degli anni 90, tanto spregiudicate quanto affascinanti. Abbiamo raccolto quelle che, secondo noi, sono le migliori.

Top 6: le migliori 125 sportive 2T anni 90

La Casa di origini svedesi,&nbsp;con un video che mostra l&rsquo;enduro senza limiti, presenta i suoi nuovi modelli TE 250i e TE 300i enduro due tempi a iniezione. Due nuove tassellate dalle qualit&agrave; senza precedenti in termini di prestazioni, guidabilit&agrave;, consumo di carburante e praticit&agrave; di utilizzo. L&rsquo;introduzione della tecnologia a iniezione realizza un coraggioso passo avanti verso il futuro del motociclismo off-road.

Husqvarna: fuori dalle rotte ordinarie

Per certi impieghi &egrave; innegabile che i motori a due tempi risultino assai pi&ugrave; indicati dei 4T. Sembravano destinati a scomparire, forse lo sono, ma ciclicamente e anche di recente si ridesta un certo interesse nei loro confronti&hellip;  &nbsp;  Dopo aver dominato in campo agonistico per decenni, tanto in velocit&agrave; quanto in fuoristrada, e dopo essere stato a lungo protagonista indiscusso nelle piccole cilindrate, per quanto riguarda la produzione di serie, il motore a due tempi gradualmente &egrave; uscito di scena. Il suo campo di impiego si &egrave; ridotto al punto che oggi in pratica solo i ciclomotori, gli scooter di minori dimensioni, qualche 125 e un numero relativamente contenuto di moto da enduro lo adotta ancora. Per quanto riguarda le competizioni, sono stati i regolamenti a metterlo fuori gioco, ma la cosa &egrave; stata inevitabile. Non aveva senso infatti continuare a gareggiare con moto che in comune con quelle di normale produzione avevano ormai solo la ciclistica e non il tipo di motore. Dunque, &egrave; opportuno analizzare le ragioni che hanno portato i costruttori a disinteressarsi progressivamente dei 2T per concentrare le loro attenzioni e i loro sforzi, anche nelle piccole cilindrate, sui quattro tempi, nonostante la maggiore complessit&agrave; meccanica di questi ultimi, per non dire della minore potenza specifica che sono in grado di fornire. Da sempre i motori a due tempi hanno dalla loro proprio la grande semplicit&agrave; costruttiva (mancano gli organi della distribuzione, la testa si riduce a un semplice coperchio del cilindro, e non vi &egrave; un circuito di lubrificazione), che si traduce in un ingombro e in un peso molto contenuti, in relazione alla cilindrata, e soprattutto in un costo di fabbricazione di gran lunga inferiore, rispetto ai loro cugini a quattro tempi. Per quanto riguarda poi le prestazioni, basta pensare che gli ultimi 125 monocilindrici da GP sono in grado di erogare attorno a 55 cavalli, a un regime superiore ai 13.000 giri/min. Un risultato che i 4T aspirati non sono certamente in grado di avvicinare. Per fornire una potenza vicina a una quarantina di cavalli (cio&egrave; in pratica il massimo che oggi potrebbe essere ipotizzabile) dovrebbero girare a pi&ugrave; di 20.000 giri/min. Il motivo di questa superiorit&agrave;, in termini di prestazioni, &egrave; duplice. Tanto per cominciare nel 2T in ciascun cilindro si svolge una fase utile ad ogni giro dell&rsquo;albero, mentre nel 4T ce ne &egrave; una ogni due giri. In secondo luogo, da molti anni a questa parte i motori a due tempi possono essere considerati in effetti sovralimentati, mediante un semplice ma efficacissimo dispositivo a onde di pressione, la marmitta a espansione. Grazie ad essa &egrave; possibile ottenere delle pressioni medie effettive molto elevate, non tanto lontane da quelle raggiunte dai 4T. E siccome la potenza non &egrave; altro che il prodotto della PME per la cilindrata per il numero di fasi utili nell&rsquo;unit&agrave; di tempo, ecco spiegate le straordinarie potenze specifiche dei 2T sportivi e da competizione.  Si tratta di motori straordinari dunque, ma esiste un rovescio della medaglia, ed &egrave; molto serio. Il motore a due tempi, nella sua esecuzione tradizionale, ossia con alimentazione a carburatore, &egrave; un grande sprecone. Oltre il 25 % del carburante che gli viene fornito esce incombusto allo scarico. Questo non solo si traduce in un consumo elevato, ma (e oggi la cosa &egrave; di importanza vitale) anche in emissioni di scarico assolutamente inaccettabili, segnatamente per quanto riguarda gli idrocarburi. Insomma, un 2T classico per erogare un cavallo consuma una quantit&agrave; di carburante di gran lunga superiore, rispetto a un motore a quattro tempi. E non &egrave; socialmente accettabile, per via degli inquinanti che immette nell&rsquo;atmosfera tramite il tubo di scarico. La causa di tutto questo &egrave; il cattivo lavaggio. Mentre nei 4T le fasi del ciclo sono separate nettamente (o quasi), nei 2T si sovrappongono ampiamente. In particolare, l&rsquo;ingresso della miscela aria-carburante nel cilindro ha luogo contemporaneamente alla fase di scarico. I gas combusti iniziano a uscire poco prima che si aprano le luci di travaso, tramite le quali la miscela arriva al cilindro dal carter-pompa. Dopo aver raggiunto il punto morto inferiore, il pistone inizia a risalire. A un certo punto chiude le luci di travaso e poco dopo anche quella di scarico. &Egrave; quindi inevitabile che una parte considerevole della miscela fresca si perda allo scarico, sia per cortocircuitazione che in quanto miscelatasi con i gas combusti che escono dal cilindro (l&rsquo;effetto &ldquo;pistone fluido&rdquo; in questo caso &egrave; una chimera) o in quanto fuoriuscita in coda ad essi. Analogamente, una parte rilevante dei gas bruciati rimane all&rsquo;interno del cilindro allorch&eacute; inizia la corsa di compressione. A tutto questo esiste comunque un rimedio (tutto sta a metterlo in pratica); si tratta della iniezione diretta. Se il carburante viene immesso nel cilindro dopo che il pistone ha chiuso la luce di scarico, da quest&rsquo;ultima assieme ai gas combusti esce solo aria pura. In altre parole, il lavaggio viene effettuato con aria e viene ad essere eliminata la perdita di benzina, fonte di consumo elevato e di inquinamento! Ovviamente questa soluzione non poteva sfuggire ai tecnici del settore, che hanno iniziato a lavorare in questo senso gi&agrave; molti anni fa. Nella prima met&agrave; degli anni Cinquanta le moto di piccola cilindrata erano popolarissime (non c&rsquo;erano le auto utilitarie e le condizioni economiche erano depresse, anche se stava iniziando la ripresa dopo i disastrosi eventi bellici) e la maggior parte di loro aveva un motore a due tempi. Come al solito, da quando esistono la metallurgia e la meccanica, i tedeschi erano pi&ugrave; avanti. I loro motori erano copiati da quasi tutte le altre nazioni. Un classico esempio &egrave; il monocilindrico DKW RT 125, che &egrave; stato copiato dalla BSA (Bantam, il modello prodotto in maggior numero di esemplari nella storia del motociclismo britannico), dalla Harley-Davidson, dalla Yamaha per il suo primo modello, da non si sa bene quante aziende italiane (per fortuna con qualche variazione sul tema, in genere) e addirittura in milioni di esemplari, per decenni, dalle industrie di stato russe e cinesi. Durante la seconda guerra mondiale i motori d&rsquo;aviazione tedeschi, a differenza di tutti gli altri, erano a iniezione diretta. Dunque in Germania esisteva una tecnologia evoluta e consolidata in questo settore, ed &egrave; stato logico che alcuni costruttori di motori a due tempi per motoleggere (NSU) e per minivetture (Goliath, Gutbrod) si siano interessati a questo sistema di alimentazione con l&rsquo;obiettivo di ridurre drasticamente i consumi. Gi&agrave; nel 1950 sono state effettuate le prime esperienze in questo senso, con sistemi completamente meccanici, e l&rsquo;anno successivo sono entrati in produzione due motori&nbsp; di serie a iniezione diretta; si trattava del bicilindrico Gutbrod di 600 cm3 e del Goliath di 700 cm3 che, grazie al nuovo sistema di alimentazione, hanno visto il loro consumo specifico diminuire drasticamente. La NSU ha continuato le sperimentazioni, senza per&ograve; passare alla produzione di serie, per via del costo del sistema di iniezione, ritenuto eccessivo per delle moto di tipo utilitario. I risultati ottenuti con il monocilindrico Lux di 200 cm3 meritano comunque di essere segnalati; il consumo specifico infatti era diminuito del 20 % circa. Per vedere altri sviluppi nel settore della iniezione diretta si sono dovuti attendere i primi anni Settanta, quando gi&agrave; si cominciava a parlare di limiti di emissione, almeno sull&rsquo;importantissimo mercato americano. Vanno qui segnalate le ricerche compiute dai tecnici della Fuji Heavy Industries, uno dei pi&ugrave; importanti gruppi industriali giapponesi. In particolare, risale al 1972 uno studio relativo alla migliore posizione dell&rsquo;iniettore, con prove effettuate disponendolo nella testa (con getto rivolto verso il cielo del pistone), all&rsquo;interno di un travaso e nel cilindro, dal lato opposto allo scarico, con getto rivolto verso la testa.  Dell&rsquo;iniezione diretta si &egrave; tornati a parlare una quindicina di anni dopo, con lo sviluppo dapprima di sistemi pneumoassistiti (Orbital) e quindi del tipo a onde di pressione (Ficht). Il primo sistema &egrave; stato valutato a lungo anche da alcuni costruttori automobilistici, mentre il secondo ha trovato impiego di serie su alcuni motori fuoribordo. Giova ricordare che questi ultimi non raggiungono velocit&agrave; di rotazione elevate e non sono certo soggetti a variazioni repentine e continue di carico e di regime come quelli delle moto, il che ha sicuramente semplificato le cose in misura assai sensibile. Inoltre questi motori dalla potenza specifica relativamente modesta non sono neanche destinati ad avere una durata particolarmente elevata. Poi l&rsquo;iniezione &egrave; arrivata finalmente sulle moto di serie per merito del sistema Ditech sviluppato dall&rsquo;Aprilia. Il funzionamento dei motori dotati di questo tipo di iniezione diretta, con iniettore nella testa (come nei sistemi Orbital e Ficht) si &egrave; rivelato eccellente, ma i costi di produzione aumentavano, anche se non in misura cospicua. Soprattutto, il sistema non risultava adatto all&rsquo;impiego su motori molto veloci. Il fatto &egrave; che nei 2T i tempi a disposizione per ogni singola iniezione sono ridottissimi. Inoltre, il numero di iniezioni nell&rsquo;unit&agrave; di tempo risulta doppio rispetto a quello che si ha in un 4T, a parit&agrave; di regime di rotazione. L&rsquo;ideale sarebbe stato impiegare un iniettore automobilistico, del tipo a bassa pressione, a solenoide o piezoelettrico, con comando elettronico, dal costo contenuto e dal funzionamento ultracollaudato. In questo caso, per&ograve;, l&rsquo;estremit&agrave; dell&rsquo;iniettore avrebbe dovuto essere protetta dai gas in combustione. E poi rimaneva il problema del tempo ridottissimo a disposizione (cosa che ha portato alcuni tecnici a sviluppare sistemi pneumoassistiti) e dell&rsquo;elevatissimo numero di iniezioni nell&rsquo;unit&agrave; di tempo. La Piaggio ha realizzato, attorno alla met&agrave; degli anni Novanta, un motore sperimentale dotato di due elettroiniettori di tipo automobilistico, a bassa pressione, collocati nel cilindro, che spruzzavano il carburante sopra la luce di scarico. Questa soluzione consentiva di disporre di un tempo maggiore per l&rsquo;iniezione, dato che questa poteva avvenire anche con un sensibile anticipo rispetto al momento di chiusura della luce di scarico (per uscire attraverso di essa il carburante doveva compiere un considerevole tragitto ed essere trasportato da una corrente d&rsquo;aria riflessa dalla parete e dalla testa). I risultati sono stati incoraggianti, con una riduzione del consumo dell&rsquo;ordine del 30% e una diminuzione delle emissioni di idrocarburi che in certe zone del campo di funzionamento arrivava quasi al 60%! Le estremit&agrave; degli iniettori che si affacciavano nel cilindro erano protette dalle alte pressioni e dalle alte temperature che si raggiungevano durante la combustione dallo stesso pistone, quando saliva verso il punto morto superiore. La durata dell&rsquo;iniezione era leggermente inferiore a 2,5 millisecondi, corrispondenti a 90&deg; di rotazione dell&rsquo;albero a gomito, a un regime di 6000 giri/min. I tempi non erano ancora maturi per&ograve;, e le caratteristiche degli iniettori non erano ancora all&rsquo;altezza delle esigenze. Oggi la situazione &egrave; cambiata e proprio la disponibilit&agrave; di iniettori di ultima generazione, in grado di fornire prestazioni straordinarie ma reperibili a costi contenuti, nonch&eacute; quelle di sensori sempre pi&ugrave; sofisticati e di una gestione elettronica sempre pi&ugrave; accurata consentono di realizzare sistemi di iniezione diretta finalmente semplici ed efficienti, in grado di funzionare anche a regimi di rotazione superiori ai 10.000 giri/min. Recenti prove condotte su motori monocilindrici dotati di un elettroiniettore a bassa pressione piazzato nel cilindro, di fronte alla luce di scarico, con una forte inclinazione verso l&rsquo;alto (il getto di carburante viene indirizzato verso la testa), cio&egrave; con una delle disposizioni studiate dalla Fuji all&rsquo;inizio degli anni Settanta, hanno dimostrato questo. Rimane il fatto che nei motori a due tempi la lubrificazione &egrave; a tutta perdita. Questo significa che l&rsquo;olio non circola ma finisce in parte con l&rsquo;essere bruciato nella camera di combustione e in parte col fuoriuscire incombusto allo scarico. Le percentuali in gioco sono modeste ma non trascurabili, per quanto riguarda gli effetti, ovvero le emissioni di idrocarburi da parte del motore. Staremo a vedere se queste nuove possibilit&agrave; saranno sufficienti a rilanciare il due tempi, almeno in certi settori del panorama motociclistico.  

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