Moto Guzzi sulla Via della Seta, 2a puntata

Moto Guzzi sulla Via della Seta, 2a puntata
Il 14 giugno sono partiti da Malpensa 22 piloti pronti per percorrere in sella a ventidue esemplari di V7 III Stone la rotta di Marco Polo, fino in Cina, passando per il miraggio di Samarcanda. Ecco le prime giornate

Redazione - @InMoto_it

21.06.2017 10:50

“Alle 12:00 del nostro “mercoledì da leoni” confluiamo nell’ampia area check-in dell’aeroporto di Malpensa. Suscitiamo un minimo di curiosità con le nostre giacche e stivali da moto indosso, nonostante la temperatura esterna superi i 30°; nessuno di noi ci bada però, siamo troppo concentrati sull’avventura che ci aspetta, pervasi da quello stato d’animo di serena curiosità condita al tempo stesso da un pizzico di trepidazione, nell’attesa del nostro lungo viaggio verso l’ignoto, il non conosciuto. Biglietti, bagagli, controlli, gate … ci spostiamo in massa lungo il tunnel d’imbarco dove rimbombano i nostri passi e le nostre chiacchiere di viaggiatori!, così racconta il diario di viaggio dei 22 piloti che spingeranno le loro moto fino in Cina..

“La hostess della Turkish Airways ci sorride, non immagina sicuramente quale “rotta” stiamo per intraprendere con le nostre Moto Guzzi; nei nostri sguardi la fiera consapevolezza di affrontare un viaggio fuori dall’ordinario e, quindi, straordinario!

 “Sono quasi le 2:00 del mattino quando atterriamo a Mashhad, in Iran. Abbiamo proprio la sensazione di “entrare” in qualcosa di insolito: regna un silenzio assoluto, nessuna presenza di turisti, una enorme effigie dell’Ayatollah Khomeini ci scruta dalla parete”, prosegue il racconto del piloti.

 “Eccoci prestissimo in dogana, armati della nostra miglior pazienza: sappiamo che non sarà né semplice né veloce. Ci rimarremo infatti oltre 3 ore, a compilare montagne di documenti (tutto rigorosamente a mano) e a cercare di familiarizzare con le quasi 40 persone che a vario titolo si occupano di noi: siamo in una delle città più grandi dell’Iran, eppure solo noi stiamo impegnando la dogana, e il nostro carico effettivamente insolito suscita grande curiosità.

“All’interno di un capannone ingombro di un incredibile mix di oggetti … eccole! Le avevamo salutate a Milano e ritrovarle qui è una grande emozione (oltre che un sollievo): le nostre 22 Moto Guzzi V7 III Stone ci strizzano l’occhio, hanno voglia di rombare.

“Oltre 35 gradi; ci mettiamo per strada, nell’attraversare Mashhad, e ci rendiamo subito conto di “fare notizia”! Molte macchine si accodano, ci suonano: vogliono capire chi siamo, che moto sono, anche quanto costano”.

“Il viaggio inizia veramente qui -  Oggi finalmente facciamo “amicizia” con le nostre Moto Guzzi: ci aspettano i primi 300 km, per prendere confidenza.

Partiamo verso le montagne di confine, attraversando un paesaggio che pian piano muta da piana arida e desertica ad un susseguirsi di colori che animano le vallate e i canyon, in cui i minerali lavorati dall’acqua e dall’aria hanno prodotto un’incredibile tavolozza. Sono 200 km di full immersion con la natura. Non incontriamo praticamente nessuno. Saliamo il Kopet Dag, la catena montuosa situata tra Iran e Turkmenistan: è immensa, si estende a perdita d’occhio per circa 650 km lungo il confine asiatico. La sommità è a 3191 metri ed è lì in cima che incredibilmente c’è la frontiera!

“Può apparire una stranezza, ma si spiega con la lunga inimicizia tra i due Paesi divisi dalla religione (sciiti gli iraniani, sunniti i turkmeni) e da interessi economici e politici contrastanti.

“E’ una delle frontiere più difficili al mondo, e ce ne accorgiamo, sia per la lunga e faticosa burocrazia, sia per l’atmosfera molto militarizzata. E’ una barriera vera, dura, con un sistema di difesa organizzato in ben 5 presidi di protezione dei confini. Per cui, passato il primo controllo, saranno altri 4 ad attenderci, in un susseguirsi di filo spinato, torrette armate, militari con cani da assalto. Siamo gli unici a voler passare, oggi, e indubbiamente la nostra colonna di centauri deve apparire strana, ma rimane festosa e non ci facciamo scalfire dall’accoglienza fredda. Ci controllano qualsiasi cosa, pare vogliano persino smontare le moto, ma alla fine passiamo, indenni, a parte il drone di Riccardo, il nostro film maker, che viene piombato un po’ con mala grazia affinché in nessun caso possa essere utilizzato in territorio turkmeno per riprese che mai verrebbero autorizzate.

L’arrivo nella capitale - "Cinque ore e molta pazienza dopo, eccoci in Turkmenistan. La capitale, Ashgabat, dista solo 50 km, e anche questo fa comprendere il perché di tanta prudenza a concedere il visto d’ingresso.

"Arriviamo, stanchi ed accaldati, e ci accoglie una città inaspettata: è tutto bianco, con un’illuminazione sfarzosa, esagerata. La attraversiamo, con la sensazione di essere a tratti a Montecarlo, per l’eleganza curata, ma anche a Dubai per la grandiosità dei palazzi; lo scintillio sfavillante del milione di luci colorate suggerisce invece Las Vegas! Che città incredibile! Solo qualche scatto oggi, domani la visiteremo e ne capiremo meglio le logiche.

"Al momento, i 45 gradi ci stanno sciogliendo e abbiamo bisogno di un po’ di riposo. Il clima è un po’ faticoso, anche se siamo davvero ben equipaggiati: giacche e caschi Dainese sono veramente eccezionali; con il loro sistema di traspirazione ci consentono un continuo ricambio d’aria e questo è importantissimo per mantenere comunque una sensazione di benessere, anche durante la guida.

“Quella che vediamo oggi è l’Ashgabat della post indipendenza concepita dal Presidente Niazov. I proventi di gas e petrolio degli ultimi venti anni (il Turkmenistan è il terzo produttore al mondo di gas naturale!) sono serviti a finanziare un capitolo tutto nuovo dell’esistenza della città. Mentre la visitiamo, si conferma l’impressione che ne avevamo avuto all’arrivo ieri: Ashgabat è una città incredibile! L’effetto è davvero quello di una “cattedrale nel deserto”.

“Tra il deserto del Karakum, che le nostre Moto Guzzi V7 III affronteranno­ tra poco, e le pendici della catena montuosa Kopet Dag, da cui proveniamo, la città si trova nell’oasi di Akhal Tekin ad un’altitudine di circa 230 mt. Il clima è arido-desertico.

“Nell’ottobre del 1948, venne completamente distrutta da un devastante terremoto. Vi furono oltre 110.000 morti, pari a due terzi della popolazione. Per cinque anni l’accesso alla zona fu interdetto per permettere il recupero delle vittime, di rimuovere le macerie e di ricostruire la città che fu riprogettata su un perfetto reticolato di vie perpendicolari. La ricostruzione è avvenuta con una perizia fuori dal comune, nel rispetto di regole ferree, come ad esempio l’utilizzo di travertino bianco – esclusivamente bianco! – per tutti i palazzi. Una vera e propria fissazione del presidente che desiderava per la sua città il Guinness dei primati, anche per le luci: sono centinaia di migliaia, sfavillanti, di tutti i colori. Però non esistono insegne: è vietato, e i negozi così non si riconoscono.

“Non possiamo fotografare palazzi governativi; in realtà ci proviamo, ma veniamo “gentilmente” invitati a non rifarlo! Ci riproviamo con il mercato russo, chiaro segno della passata dominazione. Ma non l’unico. Il carattere, l’atteggiamento stesso delle persone che incontriamo è stato indubbiamente e profondamente influenzato. Nessun sorriso, nessuna confidenza. Non possiamo dire di incontrare ostilità, ma di certo freddezza e distanza. D’altronde sono abituati a rituali per noi inconcepibili: quando il presidente passa per le strade, ad esempio, nessuno è autorizzato nemmeno ad affacciarsi alle finestre, pena multe molto severe.

“Un mondo surreale - Un Paese a suo modo unico al mondo, caparbio nel difendere la sua neutralità ed indipendenza, con una palese mania di grandezza che si riversa nell’architettura, negli arredi. Tra l’altro, scopriamo che sono moltissimi gli artigiani italiani incaricati durante la ricostruzione e sarà un italiano famoso a firmare la regia dei giochi olimpici asiatici che si terranno qui il prossimo settembre: Marco Balich, l’immaginifico regista veneziano che ideò l’inaugurazione dei Giochi di Rio.

“Percorriamo ancora le strade, e capiamo come la capitale stia vivendo un momento di boom economico e come il suo profilo architettonico sia in continua evoluzione. Una cosa curiosa è che i nomi delle strade sono stati sostituiti negli ultimi anni di vita del presidente Niyazov da numeri, il che ha contribuito a rendere ancora più caotico l’orientamento in città anche in virtù del fatto che, essendo i nomi delle vie già cambiati nel passaggio tra il periodo sovietico e quello dell’indipendenza negli anni Novanta, la stessa strada può essere indicata con tre nomi diversi a seconda dei casi.

“Sono molte le stranezze di questo paese; tra queste, i prezzi esorbitanti dei musei accanto ad attrazioni gratuite. Un’altra cosa incredibile è la ruota panoramica, voluta dal presidente, ma chiusa in una sorta di guscio a causa della temperatura insostenibile: volteggiare a 50 gradi ad alta velocità avrebbe causato non pochi problemi; così, lo si può fare, ma “sotto vetro”, in un ambiente condizionato!

“Abbandonando questo mondo surreale, si può entrare in contatto anche con il volto tradizionale di Ashgabat nello spettacolare Bazar di Tolkuchka, un enorme mercato alla periferia della città dove si può comprare e contrattare veramente di tutto, dai gioielli ai cammelli, dalla frutta agli accessori per la casa, passando per ogni sorta di abbigliamento. Il pezzo forte è sempre il commercio di tappeti.

“Ora ci attende il deserto. Siamo pronti e anche un po’ emozionati…”

(Leonardo Lucarelli – Continua nella prossima puntata)

Qui la 1° puntata

 

 

 

 

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