Bimota DB9 Brivido

Bimota DB9 Brivido

Redazione - @InMoto_it

01.01.2013 ( Aggiornata il 01.01.2013 18:15 )

Linee anticonvenzionali ma inequivocabilmente “made in Rimini”, componentistica di assoluto pregio, un motore che straborda potenza, poca elettronica e prestazioni (quasi) alla portata di tutti. Questa in sintesi la nuova Bimota, non a caso chiamata Brivido   Negli ultimi due anni la piccola factory riminese non ha goduto degli onori della ribalta, complice anche la crisi la struttura è stata rivista non tanto nelle figure tecniche, quanto in quelle commerciali. Il nuovo assetto ha portato la serenità necessaria per intraprendere nuovi progetti, che hanno interessato le competizioni, con la Moto2 che ha corso anche nel Motomondiale, ma anche con nuovi progetti destinati alla produzione. Modelli come al solito esclusivi che in occasione di EICMA 2011 hanno riscosso subito univoci consensi: la DB9 protagonista di questo nostro primo piano e la DB10 Bimotard di cui siamo in ansiosa attesa. Dopo la presentazione statica a Milano nel 2011 (e la partecipazione all’Alpen Master, che abbiamo pubblicato sullo scorso numero 9/2012), ecco il nostro test completo della DB9 Brivido, una naked che si colloca al top della categoria, forte della sua esclusività, dovuta oltre che al prezzo (24.000 Euro) soprattutto a una dotazione tecnica di alto livello e a doti di guida che francamente entusiasmano. DA FERMO Carbonio, titanio e tanto alluminio lavorato dal pieno. Sono i particolari, come su ogni Bimota che si rispetti, che la elevano al di sopra della media, niente è comune o standardizzato, e di certo il prezzo di acquisto ne risente, ma il colpo d’occhio è unico, e la DB9 in sosta davanti a un bar alla moda o su un passo frequentato da motociclisti, attirerà subito l’attenzione, fosse anche parcheggiata fra altre cento moto. Bimota definisce la DB9 Brivido non una naked, bensì una roadster, in gergo automobilistico è il termine che identifica le vetture scoperte che derivano da coupé sportive. E in effetti la Brivido non è una nuda nel senso classico del termine, perché in effetti le carene ci sono anche se ridotte ai minimi termini, una scelta intelligente per rendere la moto snella per quanto possibile pur sfruttando al contempo il contributo dell’aerodinamica nell’assicurare stabilità alle velocità più alte. Una roadster quindi che tradisce la stretta parentela con la sportivissima DB8, pur assumendo tratti unici, ancora più netti e spigolosi, forme sottili che improvvisamente si allargano nella piccola carenatura che alloggia radiatori e impianto elettrico, per poi nuovamente rastremarsi verso il codino minimalista. Il tutto è supportato dal telaio a struttura mista con tubi a sezione ovale che fanno capo alle piastre pivot realizzate in alluminio lavorato CNC, in pratica lo stesso della DB9 al pari del serbatoio e del posteriore della moto. Il quadro globale è di assoluta eccellenza, con finiture curate e un design che riserva una posizione in sella non eccessivamente sacrificata anche per un eventuale passeggero. Qualche piccola caduta di stile solo su particolari secondari, l’impianto elettrico appare, ma magari è solo una impressione, molto esposto alle intemperie, e fra tante raffinatezze, stonano gli indicatori di direzione anteriori che hanno un’aria già vista. bimota2 IN SELLA È un dato di fatto: risulta più difficile realizzare una nuda ad alte prestazioni che una sportiva, perché le prestazioni del motore devono essere assorbite da baricentri e quote ciclistiche non pensate unicamente per la prestazione, ma anche per garantire agilità e un minimo di comfort. Il rischio è sempre quello di ottenere o una moto troppo “lunga”, magari docile ma che garantisce poco feeling quando si forza, oppure una belva indomita riservata a piloti esperti che soccombe ai trasferimenti di carico con continue impennate e frequenti bloccaggi del posteriore. La DB9 appare un ottimo compromesso, la posizione di guida infatti è più che buona, con il pilota che sente sempre la moto e quote ciclistiche indovinate. Si guida a busto eretto ma con il peso ben caricato anche sulle pedane ed il largo manubrio che infonde sicurezza grazie anche all’ammortizzatore di sterzo Extremetech che allontana il rischio di sbacchettate in accelerazione. I limiti maggiori della DB9 sono sostanzialmente due, il primo è facilmente risolvibile ed è legato alla sella, che risulta dura al punto che dopo anche solo un centinaio di chilometri provoca indolenzimenti alla zona del coccige, ma ad ogni modo è prevista una sella comfort per migliorare la situazione. Più fastidioso è invece il limitato angolo di sterzo, che se è vero che non pregiudica la guida, rende laboriose le manovre da fermo e può mettere in difficoltà nelle svolte a bassa velocità tipiche della guida urbana. Del resto solo lodi per la Brivido, che tenendo fede al suo nome regala emozioni in ogni frangente. Il motore piace a dismisura, direttamente mutuato dalla Ducati Diavel offre una curva di coppia esemplare ed una risposta anche al minimo praticamente priva di strappi senza peraltro affliggere il pilota con vibrazioni eccessive. La voce del bicilindrico è convogliata da un silenziatore Arrow in titanio che regala un sound pienissimo, se poi accidentalmente si dovesse sfilare il dB-killer… si inizierebbe ad ascoltare il tuono di una vera Superbike! Bene anche frizione e cambio, la prima con un comando non eccessivamente pesante seppure perfettibile nello stacco, il secondo che si fa apprezzare se comandato in maniera secca e decisa tipica della guida sportiva. Rispetto alle cugine di Borgo Panigale, la DB9 presenta una elettronica minimalista, la centralina Walbro lavora bene, ma non implementa alcuna assistenza alla guida, niente ABS (questo un po’ dispiace), niente mappature, ma dobbiamo dire che la ciclistica è talmente riuscita che difficilmente si sente la mancanza della tecnologia all’ultimo grido. Ottima è la taratura della sospensione posteriore, perché risulta un gran bel compromesso: è vero infatti che la moto impenna tanto, anche quando si prende in mano il gas in uscita di curva l’anteriore si alleggerisce subito, ma in compenso le sconnessioni sono ben copiate e soprattutto non viene mai a mancare il grip, una bella sicurezza quando si hanno 162 CV da gestire. Anche in frenata dal posteriore non vengono mai comportamenti strani, neanche scalando rapidamente o frenando forte. Certo se si insiste anche col freno si arriva in fretta al bloccaggio del posteriore, ma è inevitabile, consideriamo poi che l’ammortizzatore è completamente regolabile, quindi le personali esigenze di ognuno possono essere soddisfatte. Buono, anche se un gradino più in basso il comportamento dell’anteriore. La frenata è potente ma mai eccessiva, il sistema con pinze e pompa radiale non è quello più aggressivo che Brembo può offrire, e l’affondata dell’anteriore è quella che ci si deve aspettare, peccato solo perché la forcella Marzocchi, comunque ben tarata, non brilli per scorrevolezza e questo toglie un pochino di feeling in conduzione soprattutto sul veloce quando l’avantreno non è sufficientemente caricato. Sul misto guidato la DB9 ha poche avversarie, e il logico confronto con la Ducati Streetfighter vede il prevalere della riminese fino a quando le velocità non si alzano a dismisura, fino a quando cioè la Ducati fa valere la sua ciclistica chiaramente pensata per eccellere nelle piste veloci e nei lunghi curvoni in percorrenza anche a velocità prossime alla massima. Bimota3

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