H-D Roland Sands Café Sportster

H-D Roland Sands Café Sportster

Redazione - @InMoto_it

01.03.2013 ( Aggiornata il 01.03.2013 17:04 )

Una delle icone della moto americana trasformata “all’inglese” attingendo a piene mani ad un catalogo del marchio californiano per eccellenza     Il culto delle café racer è da tempo ben radicato negli USA, e anche se il Sunset Boulevard non è ancora il corrispondente californiano della North Circular londinese, dove si trova l’Ace Café, si possono vedere tante moto che non avrebbero sfigurato nel parcheggio dell’Ace o del Busy Bee negli anni ’60, gli Swinging Sixties. Ma con una grande differenza. Perché assieme agli inevitabili tributi… transatlantici alle café racer britanniche come Triton, Tribsa, Norton e simili, ci sono anche tante americane, non a caso spesso su base Sportster, la più longeva e venduta fra le Harley-Davidson. Proprio una di queste è stata scelta da Roland Sands per creare una specie di vetrina ambulante per il catalogo delle parti speciali prodotti dalla sua Roland Sands Design. Il trentasettenne, ex campione AMA 250, è figlio d’arte: suo padre è quel Perry che fondò la Performance Machine, leader statunitense nella produzione di cerchi, pedane e particolari ciclistici impiegati in alcune delle special più famose dell’ultimo quarantennio. Oggi Roland, fattosi le ossa nell’officina del padre, è titolare di uno dei più quotati atelier di customizzazione statunitensi. Ed è l’autore di alcune delle moto più folli mai viste al mondo, con estetiche solitamente di netta rottura rispetto agli schemi e spesso dotate di forcella rovesciata, freni oversize, pinze pluripistoncino e in generale una forte propensione ad aggredire le curve e uscirne con la ruota anteriore che punta il cielo, piuttosto che a recitare il ruolo del capolavoro da salotto. In altre parole, il perfetto equivalente californiano delle café racer. Da sportiva vera, cinquanta e passa anni fa quando Harley-Davidson lottava con le Norton e le Triumph, prima ancora che Ducati producesse una bicilindrica a V e Honda una quattro cilindri, la Sportster è diventata una specie di moto d’accesso alla gamma di Milwaukee. Quindi, pur se tutte dotate di iniezione elettronica dal 2007, la Sportster resta l’unica fra le Harley ad avere il cambio a cinque marce, pur se con trasmissione finale a cinghia, e il vecchio propulsore Evolution privo di contralberi di equilibratura. Motore che aveva debuttato nel 1984, ora montato nell’agile telaio Sportster con silent block per eliminare le vibrazioni una volta ritenute un vero e proprio rito di passaggio per gli avventizi delle motociclette di Milwaukee. Harley ha però venduto, nel corso degli anni, più di mezzo milione di XL Sportster, e il semplice fatto che siano così diffuse ed accessibili le rende la base ideale, in questo periodo di crisi, per creare un tributo motociclistico alla moda delle café racer che sta prendendo piede fra i ventenni statunitensi con la stessa virulenza con cui si diffuse negli anni Sessanta in Gran Bretagna… spec2 Sands ha creato la sua minimalista Café Sportster scartando diverse delle componenti (manubrio, scarico e tante altre) e riportando alla forma originaria il serbatoio prima di montare un tappo RSD, asportare altro metallo dal parafango posteriore già accorciato dal precedente proprietario ed assottigliare anche l’anteriore. Telaio e forcellone sono stati “ripuliti” eliminando tutto il superfluo, per poi consegnare il tutto in mano a Chris Woods di AirTrix perché lo verniciasse. La forcella è stata rialzata per aumentare la luce a terra e modificata nell’idraulica da Progressive Suspension per irrigidirne l’azione. Al retrotreno troviamo due ammortizzatori di 370 mm, serie 970, della stessa Casa: la moto risulta dunque molto più alta soprattutto al retrotreno, chiudendo il cannotto di sterzo per velocizzarne la sterzata pur restando lontani da eccessi. «Non le serve ancora l’ammortizzatore di sterzo» commenta lo stesso Sands. I cerchi in alluminio sono RSD Boss, con anteriore nelle stesse misure (19” e canale di 1”85) mentre al posteriore Sands ha preferito sostituire il 16” originario con un 18”, dal canale di 4”25 per aumentare l’impronta a terra e adottare una Dunlop Sportmax 160/60 che garantisce grip sufficiente a fresare le pedane (anch’esse RSD), un po’ troppo lunghe a dire la verità, ma fortunatamente retraibili, nelle curve. L’impianto frenante conta su un disco anteriore Performance Machine Turbo di 330 mm Ø, lavorato da pinza (sempre PM) a 6 pistoncini; al posteriore troviamo un’unità della stessa misura di quella di serie e una pinza a ben 4 pistoncini. La posizione di guida è decisamente più sportiva, con una sella RSD Mustang che “accoglie” il pilota molto più di quanto non avvenga con l’unità originale mentre stringe i due semimanubri, molto inclinati e dotati di comandi regolabili RSD, montati sotto la piastra di sterzo modificata per offrire una sostanziosa avancorsa di 117 mm. Il colpo d’occhio sul ponte di comando è molto più pulito, con fanale e tachimetro riposizionati più in basso grazie ad un kit RSD Nostalgia. Il resto della strumentazione? Non serve su una café racer, così come gli specchietti. Un altro kit è servito per spostare la chiave di accensione dal lato destro alla posizione attuale, sotto il coperchio accensione (anch’esso RSD), sulla sinistra in mezzo ai cavi accensione Twin Tec. Il risultato è un avantreno ben più pulito e compatto dell’originale, che mantiene una precisa identità americana pur con forti influenze da Ace Café. Inoltre, la Café Sportster così perde gran parte dell’asimmetria tipica delle Harley-Davidson, avendo aumentato sostanziosamente le masse sul lato sinistro. Sempre in quest’ottica è da vedere lo spostamento a sinistra del portatarga, pieghevole, naturalmente, solo per facilitare il parcheggio, capirete… Il cavalletto, sempre RSD, ha una molla leggerissima che offre un buon appoggio in parcheggio ed è semplicissimo da far rientrare, ma allo stesso tempo risulta virtualmente impossibile da raggiungere con il piede quando ci si ferma. Sands ha parlato di un’unità prototipale, su cui evidentemente c’è ancora bisogno di un po’ di lavoro. Il propulsore di 1.229 cm3 a corsa lunga (88,9 x 96,8 mm) della Sportster è rimasto completamente di serie nelle sue componenti interne, ma il corpo farfallato ora è alimentato da una griglia RSD tagliata a contrasto Venturi 7 con filtro dell’aria K&N e cornetto Turbine. Sands dichiara che una volta montato lo scarico Tracker 2-in-1 sviluppato da Vance & Hines in esclusiva per RSD e la loro centralina aggiuntiva, il motore guadagna fra gli 8 e i 12 cavalli a seconda della moto, dunque circa 65 CV a 5.750 giri contro i 55 dell’originale. Il pacchetto aspirazione/scarico ha però benefici collaterali che vanno oltre la semplice cavalleria, ovvero la risposta all’acceleratore, e cosa ancora più importante per la clientela di questa moto, un sostanzioso miglioramento dell’estetica e della voce del motore. spec3 All’avviamento, il propulsore Evo ad iniezione si esibisce in un profondo ringhio allo scarico perfettamente in tono con il look retrò della Café Sportster. Assenti, fortunatamente, le vibrazioni tipiche delle café racer dell’epoca. Il motore prende giri pulito e preciso, con un’alimentazione perfetta fin dai bassi regimi. Con 65 CV e qualche chilo in meno rispetto ai 251 della Nightster originale, le prestazioni sono sufficientemente vivaci da divertirsi nella guida in extraurbano; i 107 Nm di coppia offrono un’accelerazione più che decorosa, accompagnata peraltro da una gran bella voce allo scarico. Il cambio a 5 rapporti è lento e rumoroso come su tutte le Sportster, anche se la folle si trova facilmente e la frizione si rivela morbida e leggera. Il comfort non era fra le priorità quando Harley ha creato la Nightster, ma l’interpretazione di Sands rende la Café Sportster più accogliente della versione di serie nonostante i manubri molto spioventi e le pedane larghe determinino una posizione abbastanza raccolta e quasi costrittiva per chi, come me, passa il metro e ottanta. Sarebbe stato bello poter disporre delle pedane arretrate ora in catalogo ma non ancora pronte all’epoca della mia prova, per poter godere di un po’ più di luce a terra in curva e di facilità di manovra. C’è solo un modo di guidare una moto come questa: restare dritti sulla sella senza sporgersi in curva. Bisogna essere fluidi, seguire il ritmo, evitando assolutamente di guidare di forza nel vano tentativo di farla curvare come una sportiva moderna. Perché non lo farebbe comunque: nonostante si resti sorpresi dalle velocità che si possono tenere in curva fresando le pedane, questa Harley-RSD non verrà mai descritta come rapida nell’ingresso curva. Del resto non lo erano nemmeno le Triton o le altre Café Racer anni ’60: le moto che adottavano il leggendario telaio Norton Featherbed compensavano un ingresso in curva lento e pesante con una stabilità superba su buche, gobbe e curvoni veloci. Esattamente come la RSD Café Sporster oggi, che si dimostra perfettamente a suo agio nel misto di montagna a patto che la guidiate raccordando le curve con la massima pulizia, piegando tanto e tenendo alta la velocità alla corda. Una guida filologicamente corretta e gustosa, grazie anche a una frizione leggera e a una pronta risposta all’acceleratore. Ottimi anche i freni PM. Se qualcuno volesse costruirsi una replica di questa moto, secondo una stima approssimativa dello stesso Roland, servirebbero circa diecimila dollari oltre alla moto originale. Ma verniciatura e manodopera a parte, bastano circa 1.500 “verdoni” per trasformare una Sportster in una perfetta Café Sportster: tutti i pezzi sono disponibili nel catalogo RSD. La Café Sportster di Roland Sands è una perfetta interpretazione sud-californiana di uno dei tipi di moto più fortemente legati alla tradizione britannica. Qui l’influenza statunitense è fortissima grazie all’uso della più americana di tutte le moto come base di partenza. Un approccio di ottimo gusto a uno dei settori più di moda negli ultimi tempi, realizzato dal re dei preparatori californiani.

  • Link copiato

Commenti

InMoto in abbonamento